venerdì 31 ottobre 2008

Caro Max


Caro Max,
sei partito da pochi minuti, e mi sento un po’ “perso”. Pensavo tu andassi domani, e la notizia improvvisa che ci eravamo sbagliati di data e che dovevi lasciarci entro pochi minuti, mi ha lasciato un tantino spaesato: mi sono messo a pensare a quei tubi nelle pance, alle prostate ancora in lavaggio continuo... ma poi, come sempre ci dicevamo l’un l’altro prima di ogni intervento: “c’e’ la Provvidenza”.
Anche quest’anno la tua presenza e’ stata allo stesso tempo come un uragano e come una brezza leggera di primavera.
Sei per noi un uragano, in quanto con te sempre ci sono interventi nuovi da imparare, tecniche antiche da perfezionare, ulteriori conoscenze sui materiali e metodi chirurgici da impiegare.
Pero’ sei un dolce venticello di primavera, perche’ con te si sta bene; si lavora tanto ma sempre con serenita’ e senza tensioni di sorta.
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Quello che piu’ ammiro in te e’ la tua calma, la capacita’ di non arrabbiarti mai, nemmeno quando io o il nostro staff compiamo palesi errori. Tu non sei come tanti chirurghi, che in sala si trasformano, diventano scortesi, fanno volare i ferri e creano tensione.
Anche quando l’intervento va male, riesci a rimanere padrone dei tuoi nervi, e questo per noi inesperti e’ una medicina potente, un ansiolitico migliore del valium.
Poi sai rapportarti con i nostri infermieri in maniera encomiabile: gia’ ora continuano a dire che ci mancherai molto e che sei stato bravissimo davvero.
Per Kanyua e Gatwiri hai avuto la tenerezza di un padre, e cosi’ ti hanno definito: baba, che vuol dire appunto papa’... e credimi; data la loro innata ritrosia, ed il timore reverenziale verso un medico bianco, questo e’ davvero un grosso traguardo: hai fatto breccia nel loro cuore.
Mi piace anche molto il tuo essere instancabile: non ti risparmi; sei come una macchina da combattimento dal mattino alla sera. Non capita mai di sentirti dire, a meta’ intervento: “ma chi me lo ha fatto fare di mettermi in questo pasticcio”. Questa e’ una caratteristica veramente importante che, nel il mio curriculum di “chirurgo-fai-da-te”, ti rende il mio mentore piu’ significativo.
Grazie anche per i momenti in cui abbiamo parlato, per le due volte in cui mi hai accompagnato a Meru per la formazione ECM. Parlare un po’ con te in macchina e’ stato terapeutico, ha guarito le ferite della mia anima, mi ha aiutato a ritrovare la pace. Oggi, quando ti ho salutato ero davvero nella pace, e le tue parole mi sono calate nel cuore come un nettare: “ricordati che sono i tuoi malati e le persone che servi, che ti devono rendere felice”.
Sono in piena sintonia di valori con te. Ricordo quando mi dicesti: “Non so perche’ faccio del volontariato... l’unica idea che mi e’ chiara e’ questa: ho dei talenti, e sarebbe stupido seppellirli ora che sono in pensione. Voglio mettere ancora a disposizione degli altri le cose che so fare”.
Che bello... e questo lo fai in modo davvero intelligente: tu non sei geloso del bisturi. Vuoi che il bisturi lo tenga in mano io, perche’ hai capito bene che non e’ la tua casistica personale quella che conta; e’ piuttosto il fatto che ogni anno tu mi insegni qualcosa di nuovo, e lasci Chaaria un po’ migliore di quello che era l’anno precedente, in mdo da servire la nostra gente sempre meglio e sempre di piu’.
L’anno scorso ci hai regalato la tecnica delle isterectomie, e quest’anno ci hai messi in condizione di iniziare con le prostatectomie e con le appendicectomie.
L’anno prossimo cosa ci porterai? La chirurgia intestinale?
“Insh Allah”... Adesso pero’ viviamo alla giornata, ringraziamo Dio per te e per le cose che ci hai insegnato, godiamo della tua amicizia e stima, e poi, come sempre, “ci abbandoniamo alla Provvidenza”.
Avremmo dovuto bere una birra insieme questa sera... ed invece la berremo noi in tuo onore. Anche la “pietra del Kisii” preparata per te e Grazia mi e’ rimasta in camera... Vuol dire che sei obbligato a tornare per prendertela... e la prossima volta non dimenticarti Grazia a casa.
Dio benedica te e la tua famiglia.

Fr Beppe

giovedì 30 ottobre 2008

Un volontario speciale a Chaaria: Dio

Carissimi amici del blog,
vi propongo il testo che ha vinto il premio Luigina Barella. E’ una storia di un anno fa, ma rileggendola mi sono venute le lacrime agli occhi. Spero di farvi cosa gradita. Il titolo originale era: IL GIORNO DEL SIGNORE, poi cambiato dalla redazione de il nostro tempo in:

UN VOLONTARIO SPECIALE A CHAARIA: DIO.
La cosa buffa è che molti mi chiedevano quale fosse l’articolo che era stato premiato, ma io non ne ero affatto sicuro, in quanto avevo lasciato piena libertà alla mia carissima amica Mariapia, vicedirettrice del giornale, di scegliere per me il pezzo più adeguato, tra quelli che avevo inviato.
Eccovi la storia. Ciao.
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Sono le 23 e mi avvio verso camera mia trascinando i piedi. La luna è piena e ci si vede benissimo. Gli alberi di papaia vicino all’ospedale fanno addirittura ombra. Mentre cammino guardo in alto e mi viene un tonfo al cuore nel contemplare la selvaggia bellezza delle nuvole rischiarate dalla soffusa luminosità lunare. Che bello il cielo nella stagione delle piogge! Crea nel mio cuore un’atmosfera biblica e mi aiuta a pensare a Dio.
Voglio passare in cappella e salutare il Signore anche se non avrò la forza di aprire un libro o di recitare un salmo. Mi siedo al buio per qualche minuto, semplicemente guardando il tabernacolo che intravedo nella luce rossa del cero.
Offro al Signore la mia domenica. Avrebbe dovuto essere un giorno di riposo, un giorno da dedicare alle “cose di Dio”… e invece è stato un susseguirsi di corse e di problemi difficile da risolvere. Fortunatamente sono riuscito a partecipare alla Messa con i malati nella lavanderia dell’ospedale. E’ sempre bella questa Eucaristia, celebrata nel cuore della nostra casa della sofferenza e della speranza, in mezzo a tante persone che soffrono e che ripongono in noi tanta fiducia. Quando sono seduto sulle panche e guardo tutti quei volti segnati dalla malattia, quelle mamme che allattano bambini più o meno malconci, quelle puerpere così orgogliose del dono di vita appena ricevuto da Dio, allora sento che la mia Messa è vera, è un reale incontro con quel Dio che mi ha donato forza e luce per aiutare tante persone nel suo nome. L’Eucaristia con i malati è come il completamento della settimana, in cui ringrazio Dio per tutte le volte in cui mi ha aiutato a non fare pasticci, in cui mi ha dato luce per dare la terapia corretta, in cui mi ha dato la forza per alzarmi anche di notte per rispondere ad una chiamata, in cui ha guidato la mia mano in sala operatoria anche quando a metà intervento avrei voluto svenire perché non ero più in grado di continuare.
Spesso poi, come oggi per esempio, la Messa prosegue anche dopo, quando Dio mi viene incontro e mi chiede di continuare a riconoscerlo in coloro che soffrono e che hanno bisogno del mio aiuto, anche se è domenica, anche se avrei voluto riposare e prendermi qualche momento di svago.
Oggi infatti il Signore si è camuffato sotto le spoglie di Margaret, una giovane donna handicappata, probabilmente abusata da qualche disgraziato, ed ora ricoverata da noi per parto. E’ frequente vedere ragazze come lei nel nostro dipartimento di maternità: magari vengono lasciate sole a casa perché i genitori vanno nei campi a lavorare; altre volte scappano e vagolano per le strade dove vengono poi circuite da giovani senza scrupoli.
Margaret era stata accompagnata dalla mamma; era tutta gonfia, soprattutto alle gambe, respirava a fatica e di tanto in tanto aveva una crisi epilettica.
L’abbiamo visitata e ci siamo accorti che purtroppo la sua situazione era critica: si trattava di gestosi gravidica, una condizione molto pericolosa sia per la mamma che per il nascituro, in cui la pressione diventa altissima e la paziente entra in uno stato di male epilettico con crisi così frequenti da diventare addirittura una causa di coma. L’unico modo di salvare la vita di entrambi è il taglio cesareo urgente. Ci attiviamo immediatamente. Purtroppo non abbiamo volontari che ci possano aiutare: Peter è partito ieri; Fabio e Francesca arrivano in serata. Cerchiamo Jesse, il nostro anestesista, ma anche lui, essendo via con la famiglia, è introvabile da due giorni.
Mamme.JPGIl tempo però stringe. Rischiamo di perderli tutti e due e quindi bisogna agire con le forze che abbiamo. Entro in sala con Makena, la mia assistente, e con Susan che per oggi si trasformerà in aiuto anestesista. Tentiamo di fare “la spinale”, ma l’impresa risulta vana: Margaret è davvero handicappata. Non sa che rischi sta correndo e non collabora affatto: si dimena sul letto e non mi permette di praticarle il farmaco. Questo complica ulteriormente la situazione. Anche in queste condizioni di carenza di personale dobbiamo tentare una anestesia generale perché non ci sono alternative. Il tempo stringe ed una complicazione irreversibile è alle porte. Come sempre però la Provvidenza è superimpegnata a Chaaria per colmare le nostre lacune e per guidarci laddove potremmo creare dei grossi pasticci. Sento la sua mano su di me, come guida, sostegno e protezione. Infatti “la generale” che seguo io stesso dando indicazioni a Susan, procede senza grossi problemi; il bambino nasce con un forte grido e con un colore roseo alquanto rassicurante, e l’operazione si conclude in tempi brevi e senza particolari problemi. Che bello! Sono vivi entrambi!
La paziente, poi, ci dà ancora un po’ d’ansia durante le ore seguenti perché ha convulsioni continue ma, fortunatamente, anche questo trova una sistemazione farmacologica ed al pomeriggio è sveglia e stabile, con pressione accettabile e priva di crisi.
E’ una bella sensazione quella che proviamo, soprattutto quando portiamo il bambino alla mamma di Margaret, la quale era stata fuori ad aspettare e pregare. Lei continua a ripetere: “Mungu awabariki wote” (“Il Signore vi benedica tutti”), ed io penso che spesso non è necessario parlare di Dio alla gente, perché le nostre azioni diventano in se stesse annuncio. Lavorare per la vita a tempo pieno è certamente una via moderna di evangelizzare, e questo pensiero placa un po’ i miei sottili sensi di colpa che nascono spesso dal fatto di trovare così poco tempo per la preghiera anche di domenica.
Ci sediamo un attimo in “room 17” e ci prepariamo un caffè. Oggi forse riesco a mangiare pranzo con la comunità.
Dopo il pasto con i Fratelli avevo programmato una “siesta” di almeno un’oretta, ma un’altra volta Dio decide diversamente e viene a bussare alla porta della nostra disponibilità nella persona di Luciline che mi dice di passare subito in sala parto. Mi dirigo quindi nuovamente in ospedale, cercando di vincere la sonnolenza postprandiale. Appena giuntovi guardo Makena e Susan che già erano state preavvisate prima di me, e dico loro: “si vede che oggi il nuovo team di anestesisti deve fare un adeguato rodaggio”. Ridiamo per non piangere, in quanto sotto sotto abbiamo molta paura di quello che ci aspetta. Entriamo tutti e tre in maternità e con nostra sorpresa vediamo una donna ansimante, con le gambe molto edematose; è seduta sulla barella ed è madida di sudore freddo. Si dimena qua e là e rischia di cadere. Chiedo a Luciline se si tratta di un’altra handicappata mentale; lei risponde di no. I parenti dicono che è stata bene fino alla sera precedente, e poi ha sviluppato difficoltà respiratorie durante la notte. E’ anche in travaglio ed il battito cardiaco fetale sta andando molto male.
Questa è un’altra situazione limite in cui avresti veramente voglia di scappare per lasciare ad altri la soluzione del problema. Ma non si può. Qui non ci sono primari da contattare o specialisti da chiamare: che facciamo? Luciline dice che bisogna praticare il cesareo subito per salvare la vita del bambino. Io sono molto dubbioso perché la mamma non può neanche mettersi sdraiata in quanto in quella posizione va in deficit di ossigeno. Misuro la pressione che è praticamente imprendibile. Cerchiamo di fare un ECG con la mamma semiseduta e la diagnosi è severa: scompenso cardiaco con inizio di edema polmonare. Sono paralizzato per un attimo. Non so che pesci pigliare. Chi ha la precedenza in questo caso? Chi devo tentare di salvare? La mamma o il bambino? “Signore aiutami a decidere in fretta perché altrimenti li perdo tutti e due!”
Dico allora a Makena di portare in sala parto l’ecografo: purtroppo il battito cardiaco fetale si è già fermato. Tiro un respiro di sollievo, che potrebbe anche sembrare cinico, ma in quel momento per me è un segnale della Provvidenza che mi dice di non andare in sala operatoria (avrei ucciso entrambi con l’anestesia!) e di fare tutto quello che posso per salvare la vita di quella povera cardiopatica che non sapeva neppure di avere problemi finché il travaglio ha fatto tracollare quel cuore che da anni soffriva e claudicava.
Instauriamo tutte le terapie di rianimazione cardiologia in nostro possesso. Con la mail cerco di mettermi in contatto con amici italiani che generosamente mi rispondono, ma senza grosso aiuto perché il più delle volte mi chiedono di fare esami che non ho, e di praticare farmaci qui da noi introvabili.
La mamma intanto non migliora. E’ molto agitata; si strappa via la flebo ed il catetere. Vuole alzarsi e dice frasi inconsulte. Vorremmo che un parente ci aiutasse, perlomeno stando seduto al capezzale e tenendola ferma, ma tutti sono scappati, forse terrorizzati dalle sue condizioni cliniche. Questa agitazione non ci dice niente di buono perché significa che il suo cervello riceve sempre meno ossigeno. Makena mi chiede: “cosa facciamo per il bambino morto in grembo”. Le rispondo quasi come una macchinetta: “il bambino è l’ultimo dei nostri problemi. Può restare dove è anche per altre 24 ore. Per ora cerchiamo di tirare fuori la paziente che è ancora in grave pericolo”.
La lotta continua per molte ore, ma purtroppo la paziente non urina. I suoi reni sono andati. La pressione scende continuamente nonostante le medicine. I polmoni si riempiono gradualmente di acqua. La mamma ci guarda, annaspando sempre di più alla ricerca di aria. Poi di colpo si mette ad urlare: “ Mio Dio, sto morendo!” Questo grido non cessa più. Lo ripete a ritmo incalzante per più di un’ora finché il cuore cede completamente. Solo ora il suo volto si rilassa e sembra quasi sorridere. Li abbiamo persi tutti e due. A pochi letti di distanza c’è Margaret che ora è addormentata, mentre il suo figlioletto è in incubatrice.
Makena mi dice: “adesso dovremo fare anche l’autopsia”, ed io le rispondo: “a che scopo? È evidente che questa madre è morta per uno scompenso cardiaco di cui nessuno era al corrente”. Ma lei insiste: “vedrai che i parenti te la chiederanno, almeno per estrarre il feto morto, perché nella nostra cultura una mamma non può mai andare in Paradiso con un bimbo in grembo. I due devono essere separati!”. Ed io rispondo: “Ah, ora mi ricordo che era già successo! Vediamo cosa dicono i familiari domani. Per ora pensiamo a tutti gli altri pazienti a cui non abbiamo dato attenzione oggi a causa di queste due emergenze”.
br.godfrey.JPGEd ecco il terzo incontro domenicale con Dio, un incontro come sempre inaspettato e di difficile lettura: appena uscito in corridoio incontro Bro. Godfrey che mi dice con voce accorata: “qui fuori c’è un handicappato mentale di circa 16 anni. Non parla e non sappiamo da dove sia spuntato”.
Mi affaccio nella sala di aspetto e vedo il ragazzo gravemente ritardato che avevo visitato al mattino a causa di un disturbo epilettico. Era accompagnato dal papà che aveva insistito così tanto perché lo ricoverassi. Io avevo accolto l’idea, ma avevo chiesto al padre di fermarsi anche lui in ospedale in modo da stargli dietro ed impedire che fuggisse dal reparto. Su questo punto però l’uomo non ci sentiva. Voleva lasciarlo qui solo, mentre lui sarebbe andato a casa a prendere la mamma che poi si sarebbe fermata per tutto il tempo del ricovero. La situazione mi puzzava molto. Qualcosa mi diceva che lo avrebbero abbandonato qui, proprio come nel 1600 quando i bimbi non voluti venivano lasciati davanti alle chiese o ai conventi. Per questo avevo detto a quel papà: “ti do le medicine gratis. Tu và a casa con il bambino e quando tua moglie sarà disponibile, li ricovererò”. Ma era già tutto studiato. Il piano era che quell’handicappato avrebbe dovuto stare qui; lo hanno quindi abbandonato davanti alla siepe della sala di attesa e lui, poverino, non si è mai mosso di lì. Ora che facciamo? Non sappiamo neanche da dove vengano. Li ho visitati, ma non mi è venuto in mente di chiedere loro l’indirizzo. Ho informato la polizia del caso di abbandono, ma per il momento non mi rimane che portarlo dentro, dargli da mangiare, fargli il bagno e metterlo a letto. E’ un altro caso come quello di “fantasmino”.
Ora è tardi. Ho finito anche il giro dei pazienti dopo cena. Tutto sembra tranquillo per la notte e c’è speranza che non ci siano chiamate.
In cappella al buio mi viene da pensare a quanto sia importante la fede per continuare a lottare nel campo della sofferenza, al di là di tutte le sconfitte e della fatica a volte veramente grande; una fatica che spesso non è solo fisica, ma più profonda: è un senso di depressione che ti assale quando vedi la disonestà della gente che non apprezza il tuo sacrificio quotidiano, ma pretende sempre di più e spesso ti tradisce.
Penso però a tutti i pazienti che ho incontrato oggi, “giorno del Signore”, e con la mente ritorno alle parole del Cottolengo: “Ricordatevi che è una bella cosa sacrificare la salute ed anche la vita al servizio dei poveri e dei sofferenti”. “Dovete servire i malati impegnandovi senza misura, fino al sacrificio della vita”. Questi pensieri mi ridanno pace e mi fanno pensare che anche oggi sono stato in comunione con Dio e l’ho incontrato da vicino.
Sto ciondolando e mi rendo conto che è ora di andare a letto. Guardo il tabernacolo e concludo la mia preghiera dicendo semplicemente: “ buona notte, Gesù”.

Fr Beppe Gaido





mercoledì 29 ottobre 2008

I bambini della strada


Basta uscire dall'ospedale ed inoltrarsi verso Chaaria market per pochissimi metri, e ci si trova circondati da bambini dall'apparenza assai povera. Molti non indossano scarpe e camminano a piedi nudi. Altri hanno ciabatte più o meno consumate. I vestiti sono sporchi e trasandati. Abitano quasi tutti a Kamang'oro, un gruppetto di case che la povera gente affitta, e che gli abitanti di Chaaria hanno già definito come KAMANG' ORO SLUM. Si tratta di poche case appartenenti ad una persona che affitta una camera per famiglia. Sono stanze senza pavimento, senz'acqua corrente e senza elettricità. Le mamme cucinano attorno a fuochi che accendono all'aperto. Queste sono le famiglie più povere: sono gli immigrati che vengono da lontano e non hanno terre. Magari sono venuti come manovali nella fattoria di qualche abitante del Meru. Altri sono venuti per la concia del cotone, dove rcevono solamente 1 Euro al giorno, una cifra ormai del tutto insufficiente anche per mangiare, visto che l'inflazione è altissima ed i prezzi sono volati alle stelle. Spesso ho detto a qualche mamma: "ma perchè non tieni i tuoi bambini a casa? Sono per strada tutto il giorno, sono sporchi e rischiano di andare sotto una macchina, visto che i matatu sono tutt'altro che prudenti".

La donna a quel punto mi risponde: "se io sto a casa, chi va a lavorare sotto padrone per avere almeno quattro scellini per mettere qualcosa sotto i denti? E poi il sapone costa. Al fiume ci posso anche andare a raccogliere l'acqua, ma i soldi per la saponetta proprio non ce l'ho".
Anche qui si senti la forbice tra Nord e Sud del mondo, il crescente divario tra i ricchi ed i poveri, la non applicazione universale dei diritti umani.
Questi bambini normalmente non sono affamati. Per strada possono raccimolare una banana caduta da un albero, o una papaya. Loro sono più che altro affascinati dallo spettacolo inconsueto costituito dalla visione dei BIANCHI. Ti chiamano da lontano e ti ripetono: "Ciao! Ciao!", sperando in un tuo cenno di saluto o in un tuo sorriso.
Chaaria è piena di questi bambini. Altri, quando sono un po' più grandi (6-7 anni di età), vengono assoldati per guidare un carretto tirato da una mucca, ed andare al fiume a raccogliere l'acqua, per poi a venderla di casa in casa. Quando li vedo, mi viene da pensare che a loro la vita sta rubando l'infanzia. Non hanno giocattoli, non hanno divertimenti. Molti non hanno mai visto l'asfalto. Altri mai andranno a scuola perchè devono lavorare.
Anche un piccolo slum come il nostro di Chaaria è sempre un grande pugno nello stomaco ed uno stimolo ad un serio esame di coscienza sulla nostra opulenza piena di sprechi.
Che il Signore ci perdoni.

Fr Beppe



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martedì 28 ottobre 2008

Lettera da Valentina


Caro Beppe,

quando a fine settembre sono partita dall'Italia per venire in Africa, sapevo che questa esperienza sarebbe stata importante per la mia vita ma non potevo immaginare quanto!
Ogni singolo giorno della mia permanenza a Chaaria ho ringraziato il Signore perchè è stato così generoso con me.
Ogni sorriso, ogni abbraccio ricevuto dai Buoni Figli, ogni loro gesto mi ha riempito il cuore di gioia e amore.
Ma la mia fortuna è stata anche condividere tutto questo con persone eccezionali come te, Lorenzo, Ezio, Katia, Milena, Silvia e tutti gli altri volontari che ho conosciuto. Ciascuno di voi mi ha insegnato qualcosa.
Quando i miei amici mi chiedono come sto e come è andato il viaggio, non trovo le parole per esprimere quello che provo..anche in questo momento riesco solo a dirti grazie!
Cercherò di portare a buon fine il compito che mi hai assegnato: far conoscere la realtà di Chaaria nella mia regione, la Puglia.
Spero di tornare presto, nel frattempo sarete costantemente nelle mie preghiere.
Che il Signora vi benedica!!!!

Un abbraccio a tutti

Valentina

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E così sono arrivata...


... la strada e’ stata durissima, ma ora sono finalmente in cielo.

E pensare che ad aprile avevo solo una piccola pustola sul naso, e tutti pensavano che fosse una puntura di insetto. Poi, invece di migliorare, quella piccola escrescenza, ha cominciato ad ulcerarsi, a farsi sempre piu’ profonda ed estesa, fino a mangiarmi Charity.JPGprima il naso e poi tutto il volto. Avevo tanto male, e sapevo di puzzare terribilmente, anche se il mio senso dell’olfatto se ne era andato da tempo.
Ma poi il Paradiso e’ arrivato.
E’ successo oggi, al Kenyatta National Hospital, dove ero ricoverata da un po’ di tempo.
Ora la mia faccia e’ perfetta come prima. Sono di nuovo bellissima, come tutte le adolescenti della mia eta’, anzi lo sono ancora di piu’ perche’ ora sono un Angelo.
Non piu’ dolore, non piu’ ulcere che mi consumano il volto.
Desidero ringraziare tutti quelli che mi hanno aiutato, soprattutto Ezio che mi ha coccolata e mi e’ stato sempre vicino mentre ero ricoverata a Chaaria.
Grazie ancora a Ezio, a Giulio e Mariangela per essere stati i miei Buoni Samaritani, che con le loro offerte hanno permesso questo “viaggio della speranza a Nairobi”. E’ vero che poi alla fine non hanno fatto molto di piu’ di quanto avrei potuto ricevere a Chaaria. Ma lo sappiamo che non e’ il successo che conta; e’ l’amore che uno ci ha messo.
Andare al Kenyatta e’ stato un gesto di tenerezza nei miei confronti: non volevate che io morissi senza poter dire che avevate tentato il tutto e per tutto.
Per cui, ora dal Paradiso sono io a promettere le mie preghiere per tutti coloro che mi hanno aiutato. Non mi dimentichero’ di voi e vi terro’ sempre davanti al trono di Dio.
E anche io, come gia’ ha fatto Doreen, vi voglio ripetere: “se mi ami, non piangere”.
Certo sara’ dura per i miei genitori, ma anche a loro staro’ vicina.
Ciao.
Charity Karimi
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lunedì 27 ottobre 2008

Il mio ringraziamento per il Premio ricevuto oggi a Como


Come potete immaginare,
non ho potuto essere presente alla consegna del riconoscimento conferitomi dalla FESMI, la federazione italiana stampa missionaria.
Vi allego il GRAZIE che Fr Roberto ha portato a quella assemblea a nome mio. Sono così riconoscente a Dio per questo nuovo dono della sua tenerezza nei miei confronti. Eccovi il testo:
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Carissimi amici,
sono commosso ed onorato dal premio che avete voluto concedermi. La cosa che mi da’ maggior gioia e’ il fatto che avete apprezzato cio’ che scrivo. Normalmente scrivere per me e’ un movimento dell’anima. Non posso farlo sotto comando, o per argomento preconfezionato. Io devo emozionarmi, devo provare delle sensazioni profonde, e poi lo scritto diventa quasi come uno sfogo automatico, una voce interiore, un “tubo di scappamento” del cuore.
Quando inizio a comporre, devo cercare di arrivare fino in fondo, anche se sono le due di notte... altrimenti le emozioni mi scappano e l’indomani non riesco piu’ a trovare il filo del discorso.
Come vedete c’e’ un abisso tra me e Manzoni, che invece ha limato i Promessi Sposi per molti anni.
Io amo “scrivere” la vita dei poveri con cui condivido e per cui lavoro. Vorrei essere la loro voce, il loro altoparlante. Mi piacerebbe che i miei piccoli componimenti senza pretese facessero conoscere di piu’ quell’umanita’ sofferente e “bella” di cui solitamente la stampa non parla. Desidererei essere la voce di chi non puo’ scrivere perche’ non sa farlo. Grazie a voi che mi leggete. Se scrivessi senza chi mi legge, il mio sarebbe un monologo. Invece mi pare che la nostra sia ormai una grande famiglia virtuale in cui circolano tante idee.
Non sono un giornalista di professione. Scrivo con il cuore, oltre che con la penna. Non avrei mai pensato che le cose che dico potessero interessare a qualcuno. E’ stata Mariapia Bonanate e credere in me, e a lei va il mio piu’ scrosciante ringraziamento. Lei mi ha spronato, mi ha incoraggiato, e mi ha aiutato a superare la mia innata carenza di autostima. Poi ringrazio don Chiavazza e tutto lo staff de IL NOSTRO TEMPO: anche loro mi hanno corroborato e mi hanno fatto sentire parte della loro famiglia.
Grazie a Mondo e Missione, al PIME e alla FESMI e a tutte le organizzazioni coinvolte.
Io sono un medico, ed opero in uno sperduto ospedale missionario del Cottolengo... e credo fortemente che questo sia l’ambito specifico in cui sono chiamato ad essere missionario, ma ora sento che anche con la penna posso essere coinvolto nella grande missione dell’Annuncio del Vangelo, proprio di tutta la Chiesa.
Un abbraccio a tutti. Ringrazio Fr Roberto e Fr Paul che sono presenti e chiedo loro di accogliere il premio a nome di tutti i poveri ed i malati di Chaaria.
Accettate le mie lacrime di commozione.

Fr Beppe Gaido
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Grazie Chaaria, grazie Beppe

Caro Beppe,
ed eccomi di nuovo qua, nel mio piccolo paesino del cuneese! Come stai?
Noi siamo arrivate bene mentre le nostre valigie non sono proprio arrivate........ probabilmente saranno ancora a Bruxelles! Domani ci faranno sapere qualcosa!
Oggi abbiamo fatto un giro per Bruxelles ma, se devo essere sincera, non ce la siamo goduta molto perchè le nostre teste ed i nostri cuori erano ancora a Chaaria!
GRAZIE Beppe, GRAZIE DI CUORE per tutto quello che riesci ancora a fare, nonostante la mole del tuo lavoro, per noi volontari!
GRAZIE per avermi dato la possibilità di ritornare a Chaaria e GRAZIE per tutte quelle belle parole che hai scritto su: Milena, Katia, Valentina e me.
Quando siamo atterrate a Torino ci siamo guardate e ci siamo dette: "Quando andiamo il prossimo anno?"
Mi mancate tantissimo, mi manca tutto......sul telefonino ho lasciato l'ora di Chaaria e spesso lo guardo e penso a cosa starei facendo se fossi la!
Beppe ti ammiro, per me prima di tutto sei un amico e poi un esempio da seguire.
Un forte abbraccio a Pinuccia che, immagino, sara' molto triste vista la mia assenza!!! :-)
Altri quattro abbracci speciali a Max, a Davide, a Valentina ed a te!

Lory

domenica 26 ottobre 2008

Notizie da Chaaria

1) Salutiamo Fr Giancarlo che domattina alle ore 6 parte alla volta della Tanzania, dove inizierà lo studio del Kiswahili. La scuola da lui frequentata sarà ad Arusha. E' un momento molto difficile per questo nostro Fratello... lo sappiamo perchè ci siamo passati anche noi. Gli siamo vicini con la preghiera e la fraternità, soprattutto per la solitudine che dovrà affrontare, e per il non facile impatto culturale che sicuramente lo attende.
2) Vi mando la foto delle nostre speranze: da sinistra potete vedere Wilson, Albert, Godfrey e Stephen. Vi salutano e vi ringraziano per la vostra amicizia.

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3) Ringraziando il Signore il fratello di Bro Simon è stato trovato vivo. Non sappiamo nulla di più, se non che è ricoverato in ospedale a Nanyuki, ma le sue condizioni sono buone.
4) Il piccolo Murithi oggi è riuscito a mangiare un po' di frutta passata e a deglutire del latte. Dopo la trasfusione la sua emoglobina è salita a 10 grammi ed lui è molto più vigile. Continuiamo a sperare di salvarlo.
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Invece, Charity Karimi è sempre ricoverata al Kenyatta. Viene nutrita con sondino e le vengono praticati analgesici e sedativi. I medici vogliono ripetere la biopsia prima di tentare la chemioterapia.
Lina è a Nairobi-Langata ed ha ripreso la radioterapia al Kenyatta. Onestamente la massa è ancora più estesa. Ma andiamo avanti e tentiamo tutto quanto ci è possibile.

Fr Beppe


sabato 25 ottobre 2008

Che colpa ne ho io


Ho un anno e sette mesi, sono emaciato e peso meno di 5 chili. Non riesco a mangiare. Dalla bocca mi esce una sostanza simile al pus che mi causa delle ulcere dolorosissime. Non mi posso nemmeno attaccare al seno. Fa troppo male..

Ora sono anemico. Ho 4 grammi di emoglobina, ed ho bisogno di sangue. Fortunatamente i volontari me lo hanno donato e fra poco mi trasfondono. La mia mamma ed il mio papa’ infatti sono malati e non possono aiutarmi. Oggi mi hanno anche dato delle medicine nuove: si chiamano antiretrovirali. Spero di farcela, ma so che sarà dura. Pregate tanto per me.

Murithi
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PS. Cari amici,
ricordiamo nelle nostre preghiere Fratel Simon e la sua famiglia. Il suo fratello più giovane, arruolato da tempo come soldato di carriera nell'esercito, è disperso da alcuni giorni nelle foreste del monte Kenya. I militari erano in esercitazione, ed un gruppo di loro è scomparso. Per ora non ci sono tracce. La famiglia non sa nulla, anche se viene tenuta sempre informata su eventuali sviluppi. Fr Simon è andato a casa. Naturalmente Simon è distrutto, così come i suoi genitori. Preghiamo per loro.

Fr Beppe



venerdì 24 ottobre 2008

Grazie a Katia, Milena, Lorena e Valentina che tornano in Italia


Un grazie speciale va a te cara Katia. Sei stata la nostra mamma, ci hai viziati con i tuoi manicaretti, e ci hai coccolati in ogni momento. Ti ringrazio in modo speciale per il tuo lavoro infaticabile con le medicazioni dei pazienti piu’ gravi, per la cura dei non-autosufficienti, e per le attenzioni ai morenti. Sai, Dio non guarda all' apparenza. Dio guarda al cuore. Forse puo’ fare piu’ chick pensare che si strumenta in sala operatoria, mentre invece pulire un paziente pieno di cacca sembra una cosa che sminuisce il valore di una persona... ma non e’ cosi’. Dio ci chiede di prenderci cura degli ultimi, di quelli che non hanno voce, di quelli che non contano niente e a cui nessuno pensa. Torna presto. Ti voglio bene.


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E cosa dire a te, cara Milena: sei stata splendida nel tuo silenzio. Il silenzio attento e rispettoso e’ una delle caratteristiche che ti invidio. Sei stata umile e laboriosa. Con Katia ti sei presa cura in modo encomiabile dei “rifiutati” del nostro ospedale: di quelli che puzzano, di coloro che hanno i vermi nelle piaghe, di quelli che non riescono a mangiare da soli e vanno imboccati. Anche a te, come a Katia, ripeto: Dio guarda al nostro cuore ed e’ particolarmente felice quando scegliamo l’ultimo posto, il lavoro che nessuno vuole fare perche’ ne prova ribrezzo... e se, come dice il Vangelo, “neppure un bicchiere d’acqua dato per amore sara’ dimenticato”, guarda quante cambiali potrai presentare al Signore, e sono sicuro che Lui te le ripaghera’ con una generosita’ incommensurabile.
In sala ci sei sempre venuta, di giorno e di notte, ma anche li’ non sei cambiata: sei sempre stata una presenza bella, umile e silenziosa che non cerca il primo posto. Dio ti benedica. Grazie. Torna ancora se puoi.

Cara Lorena, come posso ringraziarti per il tuo entusiasmo, per il tuo calore umano e per la tua amicizia? La tua amicizia mi e’ preziosa come un balsamo: ho bisogno di amici sinceri... quelli di cui la Bibbia dice: “chi trova un amico, trova un tesoro”. Io penso che tu sia proprio cosi’: un vero tesoro. Lo sei stata per me ora, quando stavo attraversando un periodo di scoraggiamento. Le tue parole, i tuoi modi dolci mi hanno aiutato a rappacificarmi anche con il valore della amicizia che ad un certo punto pensavo quasi impossibile da vivere. E poi il tuo rapporto con i Buoni Figli: li ami, stai bene con loro, ti spendi per loro e ti immedesimi con la loro vita. Che bella la tua empatia con i Buoni Figli: ti sei fatta una di loro, ma non in senso umoristico... in un significato profondo di condivisione evangelica. Hai saputo calarti al loro livello, scendere un sacco di gradini, per far si’ che loro stessero bene con te. Il Cottolengo ci ha sempre detto che i Buoni Figli sono le perle della Piccola Casa... e tu questo valore lo vivi con una naturalezza invidiabile. Grazie. Sappi che ti voglio davvero bene e ti ringrazio perche’ un po’ mi hai guarito.

Ed infine un abbraccio a te cara Valentina: anche a te il mio grazie fraterno ed amico. Con Lorena sei stata l’Angelo Custode dei nostri Buoni Figli, e ti sei fatta tutta per loro. Anche la passeggiata del sabato pomeriggio non ti era concessa dalla tua delicata sensibilita’, perche’ pensavi che questo avrebbe tolto del tempo a loro, che sono state le tue gemme e la pupilla dei tuoi occhi.
Ti ringrazio anche per la tua voglia di cantare e di far cantare i ragazzi. Con Lorena li avete fatti sgolare, li avete fatti correre e saltare: soprattutto li avete fatti sorridere... e che cosa c’e’ di piu’ importante che far felice uno di quei piccoli che il Signore predilige.
Cara Valentina, tu ora sei anche la nostra testa di ariete verso il Sud: fai conoscere Chaaria e porta alla Puglia il nostro messaggio di servizio e di amore verso coloro che la societa’ rifiuta. Hai un grande cuore, e sicuramente farai tanto bene in futuro. Non dimenticarti di noi. Torna ancora se e quando potrai.

A tutte voi Buon Viaggio ed un forte abbraccio.
Beppe


giovedì 23 ottobre 2008

Piove un pò troppo


Piove veramente fortissimo. Fa un rumore assordante sui tetti di lamiera, quasi come se fosse un mare in burrasca. Sarà per quello che ieri notte ho sognato che stavo per affogare nel Po, non lontano dal ponte del mio paesello. Ora sono quasi le due del mattino, ma con questo chiasso faccio fatica a prendere sonno.
Abbiamo pregato tanto per le piogge, soprattutto pensando a quelle parti del Kenya dove ormai non c’è più da mangiare a causa del fallimento delle due precedenti stagioni... ed ora le precipitazioni sono arrivate.
Tonnellate d’acqua, come una cascata dal cielo da almeno tre notti consecutive. Qui inizia a piovere in modo quasi incomprensibile: quando vai a letto contempli un cielo mozzafiato, trapuntato da miliardi di stelle lucenti. Magari ti perdi ad osservare una luna piena così luminosa da fare ombra. E poi improvvisamente non qualche goccia, ma milioni e milioni di secchi d’acqua da nuvole che sono apparse dal nulla ed hanno imbronciato il cielo in un baleno. A volte, mentre ancora sei immerso nella contemplazione della stella del Sud che gioca con la mezzaluna, e ti fa pensare a qualche bandiera islamica, avverti un suono d’ acqua scrosciante sulle foglie di qualche bananeto lontano. Questo è il momento di metterti a correre, perchè in un attimo quel rumore diventa sempre più vicino, finché ti trovi nel mezzo di un nubifragio. Spesso di giorno stai guidando e la strada è asciutta. Poi davanti a te, in lontananza vedi un muro nero soverchiato da nuvoloni cupi e minacciosi. Ad un certo punto riesci a scorgere precisamente dove il temporale inizia con una netta linea di demarcazione tra il terreno asciutto e quello inzuppato. E quindi entri nella pioggia di colpo, come se per magia avessi oltrepassato un muro di vetro... e quando sei tra le braccia dell’uragano, solo Dio sa quello che ti succederà.

Anche oggi abbiamo fatto questa esperienza, e ringrazio il Signore davvero che alla fine non è capitato niente di grave.
Sono infatti le 18, e tutto sembra abbastanza tranquillo. Oggi ha piovuto quasi tutto il giorno, ma ora il cielo promette una pausa. Chiedo a Joseph come e’ la strada, e lui mi dice con sicurezza: “non male, se il tempo non peggiora”.
Domando quindi a Max: “cosa dici? Andiamo a quella lezione sul dolore pelvico che si tiene a Meru?”
“Se tu ci vai, io non ti lascio certo da solo!”.
Invitiamo anche Davide, che, studiando Medicina, potrebbe essere interessato all’argomento, ed i giovani Fratelli, i quali si godranno una cenetta fuori mentre noi siamo in classe.
Appena partiti ci rendiamo conto che la strada in effetti non e’ pessima: certo ci sono pozzanghere ed una buona quantita’ di fango, ma la viabilità e’ discreta, quando si riesce a tenere la mezzeria. Infatti sulla strada si sono ormai formate due lunghe rotaie approfondite sempre piu’ dai veicoli passati in precedenza. In mezzo si trova un provvidenziale dosso che ti impedisce di sbandare da una parte o dall’altra finendo nei profondi fossati che fiancheggiano il nostro sterrato.
Il vero problema e’ quando incontri un veicolo che arriva nella direzione opposta: molti sono dei camion o dei “matatu” che non hanno le quattro ruote motrici, e quindi sono molto restii a spostarsi dal centro-strada.
Si tratta di manovre di equilibrismo per non impantanarsi nella profonda fanghiglia dei due lati, ed insieme per evitare la collisione con l’altro automezzo.
Comunque con un po’ di batticuore, arriviamo fino all’asfalto. Max mi dice: “questa e’ una strada da rally, ed e’ davvero possibile rimanerci bloccati o andare fuori. Sembra di guidare sulla neve ghiacciata”.
“Il vero problema poi non e’ tanto quando ci ‘piantiamo’ noi. La difficolta’ maggiore e’ quella di un veicolo che ti blocca la strada sia davanti che dietro, e tu non puoi continuare”, gli rispondo io.
Appena giunti alla statale vediamo le prime gocce di pioggia, e si propone il grande dilemma. Continuiamo o torniamo indietro? Soprattutto i Fratellini che si aspettano la cena sono chiaramente dell’idea che bisogna andare a Meru e che poi si vedra’ il da farsi.
Arriviamo a destinazione ed il gruppo si divide. Con Max e Davide entriamo in aula quando la lezione sta per iniziare. In se’ la presentazione non e’ stata male, ma il vero problema andava crescendo al di fuori delle finestre: abbiamo cominciato a vedere lampi sempre piu’ forti, seguiti da tuoni minacciosi. Poi la pioggia si e’ fatta scrosciante. A questo punto il panico si e’ un po’ impadronito di tutti. Prima che il docente terminasse, chiediamo il permesso di andare, a causa delle possibili condizioni disastrose della strada.
Partiamo sotto un diluvio. Naturalmente nessun problema mentre siamo sull’asfalto. Il difficile inizia a Kariene, quando lasciamo la statale per iniziare i nostri 20 km di incubo. Scendiamo in prima e seconda, con le quattro ruote motrici. La strada e’ sdrucciolevole e si rischia il testacoda, ma si scende bene. Siamo contenti perché ormai mancano solo 6 km, e la meta sembra a portata di mano.
Dico a Max: “ il tratto che ci attende ora e’ molto difficile, perche’ e’ una discesa ripida con un fossato profondo due metri da entrambi i lati”. Metto gli abbaglianti, e con angoscia vedo il profilo maestoso di un grosso autotreno fermo sulla salita a fari spenti. Non ce l’ha fatta ad arrampicarsi. Il camionista ha deciso di lasciarlo nel bel mezzo della strada e di andare a dormire nessuno sa dove. Siamo in mezzo al nulla e non abbiamo alcuna speranza di passare. La strada e’ troppo stretta.
Optiamo per un sentiero secondario in discesa. Le condizioni sono terribili. La macchina e’ sbattuta qua e la’ da onde forti come quelle del mare. Ci infossiamo due volte nel fango, ma riusciamo pian piano a venirne fuori usando le ridotte ed il differenziale. I copertoni puzzano, ma, seppur a passo d’uomo ci stiamo muovendo.
Ad un certo punto pero’ l’auto mi scappa in due fossati profondi e l’albero motore si appoggia su un dosso elevato. Questa volta e’ dura. Le ruote girano a vuoto. Proviamo e riproviamo, sia in avanti che in retromarcia. Siamo imbrattati di fango fino alla punta del naso. Dopo un’ora e mezza non abbiamo concluso nulla.
Non posso lasciare il veicolo in quel posto, se no al mattino non troverei neppure i copertoni. Nella confusione e nella stanchezza della tarda ora (erano intanto passate le 23), decido di far rientrare Max e Davide a piedi, accompagnati da Simon e Godfrey. Infatti e’ possibile che si debba trascorrere la notte in auto, in quanto non ci sono segni di successo nonostante tutti i nostri sforzi di far muovere il pesante gippone.
I volontari spariscono velocemente nel buio fitto e sotto una pioggia battente. Stupidamente non do loro neanche un telefonino ed ora ho paura che possa succedere qualcosa, senza che loro possano chiamarci.
Faccio un altro tentativo. Chiamo al telefono Kimathi e gli dico di venire a prenderci con il trattore della Missione. La risposta e’ ancora una doccia fredda: “il trattore e’ rotto. Oggi si e’ bucato il radiatore”. Sono a corto di idee e sto svenendo dalla fame. Poi Albert e Wilson pensano di andare a cercare qualcuno e di chiedere di prestarci pale, zappe e “machete”, al fine di tentare di rimuovere il terreno che imprigiona l’albero motore.
La spedizione dura a lungo, perche’ non ci sono abitazioni nel vicinato. Poi pero’ tornano vittoriosi: arrivano con gli strumenti richiesti, accompagnati anche da due uomini che hanno accettato di aiutarci, naturalmente a patto di essere pagati. Si lavora alacremente. E’ difficilissimo stare in piedi perche’ il fango sembra sapone e la pioggia continua a scendere; soprattutto ci si vede pochissimo: ci sono si’ i fari della macchina ed una torcia, ma attorno regna il buio totale.
Nel mio cuore sono scoraggiato e penso che sia tutto inutile. Poi con mia sorpresa l’auto fa un movimento di mezzo metro in retromarcia. Questo ci permette di mettere pietroni davanti alle ruote, e con tale aiuto il fuoristrada si impenna e supera l’ostacolo.
I pericoli pero’ non sono finiti, in quanto cinquanta metri a valle ci imbattiamo in un torrente d’ acqua che taglia il sentiero perpendicolarmente e trascina la vettura verso valle. Il pericolo e’ nuovamente grave e stavolta rischiamo di perdere il veicolo completamente. Ci e’ voluto un guizzo del motore e la spinta sulla fiancata laterale di tutti i Fratelli per evitare il peggio: l’auto si e’ quasi ribaltata, ma poi ci siamo trovati nuovamente in strada, e da quel momento il percorso e’ stato difficile ma non impossibile. Abbiamo viaggiato lentamente per evitare nuovi problemi. Lungo il percorso abbiamo trovato Simon, Godfrey, Max e Davide a circa un km dall’ospedale. Ci siamo ricongiunti e così anche le ansie riguardanti la loro sicurezza si sono un po’ placate. Coperti di fango fino alle orecchie, stanchi ed affamati siamo giunti al cancello dell’ospedale all’una di notte... davvero niente male! Pensavo avremmo trascorso la nottata fuori al freddo. Prima di andare a dormire, Davide mi dice: “se sento ancora qualcuno affermare che l’asfalto rovina l’ambiente, gli dico di provare a venire qui nella stagione delle piogge”.

Fr Beppe Gaido

mercoledì 22 ottobre 2008

Una rianimazione neonatale a Chaaria


Un pomeriggio stiamo tornando da pranzo e vediamo un po’ di trambusto in ospedale…Ci avviciniamo per vedere cosa succede e l’infermiera ci racconta che si è presentata all’antenatal clinic una donna gravida che non avevano mai visto prima e che alla visita scoprono che è in procinto di partorire e il bimbo ha deciso di venire al mondo presentandosi…di piedi!
Prontamente accompagnata in ospedale, viene chiamato fratel Beppe che immediatamente si trasforma da ecografista… in ostetrico e con un’abile manovra fa venire al mondo un bellissimo bambino (ci spiegherà poi a cena la dinamica del parto spontaneo podalico che in Italia non si vede quasi piu’).
Il bimbo e’ un po’ piccolo (2.300 gr) ma vispo e vigoroso e dopo averlo sistemato lo lasciamo sul fasciatolo sotto la luce della lampada che lo tenga bello caldo…
Stiamo ora aspettando che la mamma secondi cioè che espella la placenta e le cose vanno un po’ per le lunghe. Ad un certo punto Judith, l’infermiera, decide di visitare la mamma e con sua grande sorpresa… vede comparire non la placenta ma la testolina di un secondo bambino! Gemelli!


Al momento della nascita il piccolo non respira e si presenta ipotonico. A quel punto il primo bambino viene sfrattato dal fasciatoio e messo temporaneamente sulla bilancia e si scatenano tutte le frenetiche manovre previste in questi casi,c’è chi prepara farmaci, chi stimola il gemellino e chi si occupa della mamma… Compare anche Jesse, l’anestesista, che armatosi di ambu comincia a ventilare il piccolo. Nonostante tutto cio’ il bimbo non ne vuole sapere di iniziare a respirare da solo, pero’ il suo cuoricino batte in modo rapido e vigoroso…Jesse va avanti a insufflare aria nei piccoli polmoni per circa 30 minuti quando il piccolo incomincia a fare qualche atto respiratorio da solo, anche se ancora non e’ vigoroso e non ci ha ancora fatto sentire la sua voce. Si decide allora di mettergli una piccola cannulina nel naso per fornirgli un po’ di ossigeno e metterlo in incubatrice.
Riprendono poi le normali attività del pomeriggio e quando torniamo a vederlo la sera è ancora in incubatrice, con l’ossigeno, ma respira tranquillo.
Il mattino dopo come prima cosa ci rechiamo in ospedale per vedere come sta il piccolo eroe. Appena fuori dalla stanza delle incubatrici sentiamo un pianto acuto! E’ lui che si è stufato di stare in una scatola di plastica e vuole raggiungere la sua mamma e il suo fratellino…
Tolta la cannulina dal naso lo portiamo subito dalla sua mamma e lui appena si trova tra le sue braccia, si tranquillizza e…va alla ricerca del seno! Dopo alcuni minuti è pacifico e contento che succhia dal seno della sua mamma.
Alcuni giorni piu’ tardi la mamma con i suoi due gemellini è pronta ad andare a casa ed iniziare questa nuova avventura…


Una volontaria

martedì 21 ottobre 2008

Sono commosso..


Cari amici, ho vinto un premio. Sono veramente felice. Naturalmente non potrò andare io a Como, ma chiederò a Mariapia e a Fr Giuseppe Meneghini di rappresentarmi.
Sono commosso. Non avrei mai pensato che quello che scrivo piacesse alla gente.
Vi allego la mail che ho ricevuto: mi sento la testa che fa le bollicine...

Beppe

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…Con grande piacere vi informo che il Premio Luigina Barella sul giornalismo missionario, lanciato dalla Fesmi (Federazione Stampa Missionaria Italiana) è stato vinto da Fratel Beppe Gaido con “Un volontario" eccezionale a Chaaria: Dio, pubblicato su "il nostro tempo".
Vorremmo metterci in contatto con lui o con la sua comunità perché qualcuno sia a Como il 27 ottobre per ritirare la targhetta e il premio... un viaggio in Africa! (qui ci risparmiamo.. è già in Africa!!!).

Aspetto notizie e contatti.
Grazie
Nicola Colasuonno

Chakra


Protetto da un cielo trapunto di stelle, come non le avevo mai viste prima, ieri sera, per ben tre volte, ho udito il tonfo dei corpi che raggiungevano il fondo della buca scavata per Daniel (16 anni … ucciso dall’aids), Stallon (11 anni…idem) e Baby Jane (qualche ora di vita, morta perché la mamma l’ha partorita per strada…nella polvere). Qualche attimo di silenzioso 9919215.JPGraccoglimento, una preghiera e siamo di ritorno a casa. Nessuno dei genitori era presente al funerale poiché qui quando muore un bambino quasi nessuno lo porta a casa. Riportare il cadavere del figlio a casa è un gran fallimento, è troppo dolore! Dunque a noi spetta la sepoltura con rito africano: senza bara, solo uno straccio color argento in cui viene avvolto il corpo, “sigillato” con del cerotto su cui si scrive il nome del defunto.
Oggi, di converso, la giornata è iniziata con un parto spontaneo. Una bellissima creatura di 3690 grammi: incredibile ma vero, direttamente dall’utero della mamma nelle mie mani incredule! Taglio del cordone, pulizia, aspirazione naso/bocca e prima vestizione del pupo, tutto affidato a me che, nonostante lo facessi per la prima volta, mi sentivo stranamente pronto, deciso e calmo come non lo sono mai stato in vita mia!
Dopo qualche attimo ho accompagnato madre e figlio in camera, uno al fianco dell’altra erano nuovamente una cosa sola, ma la ruota gira ancora una volta, visto che dopo circa un’ora arriva in ospedale una donna con un fagotto tra le braccia: lo tiene coperto e lo guarda tremando, piangendo e con gli occhi stracolmi di terrore, terrore che tutto sia già successo, che sia troppo tardi, che l’ultimo impietoso battito cardiaco sia già un ricordo. Purtroppo, è proprio così! Dopo alcuni attimi la mamma si accomoda fuori per piangere, con gran dignità, le ultime lacrime. Intanto io e Linda (un’infermiera del posto) ricomponiamo la salma di Angelica (se pesa 8 kg è un miracolo). Un’altra creatura di appena 3 anni é morta senza sapere perché!


Linda, mentre le tappa tutti i fori naturali (narici, orecchie, bocca ed ano) con del cotone idrofilo, aiutandosi con un bastoncino di legno, si muove con eleganza, serenità e (roba da non credere) mi annuncia con gioia che è in dolce attesa. E' al secondo mese di gravidanza. Non sa se si tratta di un maschio o di una femmina, né esprime alcuna preferenza al riguardo, però mi confessa che vorrebbe conoscere il sesso del nascituro. Se si tratterà di un maschio è ancora indecisa sul nome, ma se si dovesse trattare di una femmina ha già un’idea, la vorrebbe chiamare Joy - che significa gioia (qui spesso i nomi prendono spunto dalle virtù: carità, fede, purezza…). Fisso lo sguardo di Linda e le dico che, se i suoi occhi non mentono, la sua prima creatura si chiamerà Joy!
Quando Angelica è ormai ridotta a un fagotto, avvolto in un telo color argento chiuso con del cerotto su cui si leggono gli estremi del “contenuto”, chiedo a Linda di deporre nelle mie braccia la piccola creatura di Dio: “Posso accompagnarla io in camera mortuaria?” (una capanna di un metro per un metro a dieci metri dall’ospedale), “Certo!”, mi risponde lei consegnandomi il corpo di Angelica.
Questa sera ci sarà ancora un funerale, ma intanto si è fatta l’ora di pranzo e, solo per non essere vinti dalla debolezza e dal caldo, dobbiamo andare….
Buon appetito!


M. de Mattia
PS Chakra in Sanscrito significa appunto ruota


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Mariano, Linda e...Joy

domenica 19 ottobre 2008

Concerto Gospel di Casalgrasso: the day after

Carissimi,
desidero prima di tutto esprimere il mio sincero ringraziamento al FREE VOICES GOSPEL CHOIR che ieri sera ha cantato per Chaaria nella mia parrocchia.
Insieme agli artisti e a tutte le persone che hanno partecipato alla serata, desidero ricordare in modo particolare la Pro Loco del mio paesello, il Sig Parroco don Gabriele, il coro parrocchiale e tutte le persone che hanno lavorato per il buon esito della serata.
Siamo anche riusciti ad organizzare un brevissimo collegamento tramite skype, e sono stato visto su uno schermo gigante dagli spettatori che non facevano che applaudire. E’ stato molto emozionante per me essere in diretta via satellite... tramite la webcam ho potuto anche vedere la platea, veramente affollata.
Grazie veramente di tutto. Grazie anche all’arbitro Rosetti per il suo sostegno all’iniziativa.
E’ sempre emozionante per me pensare che, dopo 27 anni dalla mia partenza da casa, ancora vengo ricordato così tanto da tutti i miei compaesani.

Fr Beppe Gaido

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Ciao a tutti.
Non era un'impresa facile, vi assicuro, riuscire a scaldare il pubblico di Casalgrasso...
Vuoi per l'approssimativa conoscenza dell'Inglese (soprattutto nelle persone più avanti con l'età, la cultura contadina non prevede un utilizzo intensivo di questa lingua) vuoi per il carattere un po' chiuso e poco espansivo della nostra terra, non ci si aspettava una partecipazione allo spettacolo a questi livelli.
E' stato un altro piccolo miracolo dei Free, con l'aiuto del Signore!
Sappiate quindi che è stata una piacevolissima sorpresa, per me e gli altri organizzatori (Pro-Loco, familiari di fr.Beppe, ...), vedere la gente del pubblico saltare e battere le mani con tanto trasporto (e lo si vedeva nei loro sguardi felici).
Sicuramente siamo stati aiutati dal coro parrocchiale che, come avrete visto, facevano quasi più casino di noi (e per questo contributo li ringrazio ancora) ma permettetemi, a nome anche di tutti gli altri e soprattutto di suor Rosina, fratel Beppe e di tutte le persone che loro direttamente aiutano nelle missioni...
UN ENORME GRAZIE DI TUTTO CUORE!!!
Sono felice che il Signore mi abbia fatto incontrare tutti voi e che mi abbia dato la possibilità di fare Gospel.
Un abbraccio fortissimo a voi e a coloro che hanno reso possibile questa bellissima serata!


Sandro P.

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Ciao, siamo Renata Elio, ci scusiamo perchè è da un po' di tempo che non ti scriviamo.
Da quando ripreso a lavorare ai primi di settembre NON siamo neanche riusciti a guardare il vostro blog, prima delle vacanze riuscivamo a leggerlo tutto le sere. Questa sera, alle 20,45 Elio è andato per caso sul blog, stavamo partendo per andare dai nostri amici quando, scorrendo giù, vede che vi è un concerto gospel a Casalgrasso, avvisiamo i nostri amici che non possiamo andare a trovarli e ci precipitiamo al concerto: siamo arrivati un po ' in ritardo e non abbiamo potuto vedere il tuo collegamento; il concerto è stato molto bello e vi abbiamo pensato.


Renata e Elio



BLOG AWARD 2008: Il Blog vincitore è...


...il nostro Blog !!!!


Ci è stato assegnato il premio per la categoria


Miglior Blog - Award per Unicità'



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Clicca sull'immagine per vedere i blog vincitori per le altre categorie.
Si ringrazia La camera dei Blog, per aver progettato questa iniziativa.



Corso sulla malnutrizione

Associazione Volontari Cottolengo

Mission Hospital Chaaria – Kenya (ONLUS)

L' ASSOCIAZIONE STUDIO PAZIENTE IMMUNO COMPROMESSO - onlus - opera in ambito sanitario e si propone di approfondire gli aspetti clinico - epidemiologici ed etico - sociali relativi al trattamento delle infezioni nel paziente immunocompromesso da qualsiasi causa.

In linea con gli scopi costitutivi, ASPIC in collaborazione con ASL To 2 ha promosso progetti di: Prevenzione e Cura di AIDS e di Malattie Sessualmente Trasmesse in popolazione immigrata; Lotta all’AIDS in Kenya; Trattamento della malnutrizione infantile in Burkina Faso ed in Mali. Su questi temi ha, inoltre, realizzato Corsi e Convegni ed istituito Borse di Studio.

Principio ispiratore delle iniziative ASPIC è di operare sulla base dell’ evidenza scientifica e di avere come target preferenziale popolazioni “vulnerabili” dal punto di vista clinico e sociale.



Corso sulla malnutrizione

PRIMA PARTE:
INTERVENTI DI LOTTA ALLA MALNUTRIZIONE NEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO
DAL 27 AL 31 OTTOBRE 2008 ORE 09.00 - 17.00







SECONDA PARTE:
PIANIFICAZIONE, MONITORAGGIO E VALUTAZIONE DI INTERVENTI DI LOTTA ALLA MALNUTRIZIONE NEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO

DAL 24 AL 28 NOVEMBRE 2008 ORE 09.00 - 17.30







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È stato richiesto l’accreditamento e l’evento è attualmente in valutazione. Il conseguimento dei crediti ECM è subordinato al superamento della verifica finale.


A tutti i partecipanti verrà rilasciato un certificato attestante la loro partecipazione.



INFORMAZIONI:


Cellulare.gif Tel. 011-5294481 dalle 07.30 alle 15.30


BustaLettera.gifEmail: formazione@ospedalecottolengo.it




sabato 18 ottobre 2008

Un rigraziamento alla società Aeroporti di Roma Spa


Il Blog di Chaaria Mission Hospital, è stato inserito nella home page del sito intranet ufficiale di:
Aeroporti di Roma Spa
(Aeroporto di Fiumicino “Leonardo Da Vinci” e Aeroporto di Ciampino “G.B. Pastine”)
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Esprimo anche a nome di Fr. Beppe, Fr. Maurizio e di tutti i membri dell’Associazione Volontari Cottolengo Mission Hospital Chaaria (kenya) – ONLUS, un sentito ringraziamento per l’attenzione ed il riconoscimento al valore dei contenuti del Blog ed agli intenti sociali ed umanitari dell’associazione, dimostrati attraverso la pubblicazione dell’articolo con il link al blog.

Un ringraziamento particolare è rivolto al direttore responsabile, ai componenti ed ai collaboratori della redazione di ADR NOI.

Colgo l’occasione per rivolgere personalmente, un cordiale saluto ed un messaggio di benvenuto ai nuovi lettori di Aeroporti di Roma, miei colleghi di lavoro.

Nella certezza che ciò che leggerete arriverà nei vostri cuori, auguro una buona navigazione a tutti.
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Nadia Monari
Infermiera responsabile di sala operativa del Pronto Soccorso Aeroporti di Roma

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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