martedì 31 marzo 2009

Health news Chaaria



• Il medico e l’infermiere a Chaaria devono essere a tutto campo, e devono essere pronti ad affrontare patologie molto disparate in tutti i campi della medicina.

• L’infermiere ha un grosso potere decisionale perché il medico, essendo da solo, non può visitare tutti i pazienti, e viene chiamato solo per i casi più gravi.
• Molto importante risulta quindi l’applicazione di protocolli standardizzati che gli infermieri usano nelle diverse situazioni, anche senza chiamare il medico.
• Compito del medico dell’ospedale è quindi anche e soprattutto quello della formazione del personale che deve diventare autonomo il più possibile.
Si lavora con numeri molto alti di pazienti e questo forse crea dei problemi di accuratezza diagnostica da parte del medico e di adeguato follow up terapeutico da parte dell’infermiere. Ma con tutte queste limitazioni, penso che comunque si cerchi di fare il massimo


TBC
• Il nostro laboratorio ha eseguito 544 tests per la ricerca di BAAR nell’escreato, di cui 144 sono risultati positivi, con una media del 26%.

Altri metodi di diagnosi sono stati:
• Lastra del torace per i casi con tosse secca ( non possediamo dati sul numero di lastre).
• Biopsia linfonodale (55 casi eseguiti, di cui 27 positivi per BAAR).
• La coinfezione TBC HIV, secondo i dati di Chaaria è del 67%.
I pazienti in terapia antitubercolare sono al momento 83

Fr Beppe


Lettera da Marina Gardu


Ho saputo dell'ospedale di Chaaria due anni orsono, quando, trovandomi in Kenya come volontaria presso un'altra struttura, sono andata a visitarlo con i miei colleghi. Erano le 5 del pomeriggio: la prima sensazione fu di grande preoccupazione: quella sala BimbiMamma.jpgd'attesa enorme, con tutte le panche ancora in gran parte occupate dai pazienti che attendevano di essere visitati mi ha dato la sensazione di un lavoro frenetico, incalzante.

Quando quest'anno ho deciso di andare, devo confessare che un po' l'ho fatto perchè mi vergognavo a tirarmi indietro dopo la promessa fatta ai colleghi. La preoccupazione c'era, e forse era anche qualcosa di più.
Ci siamo stati 2 settimane. E' stata un'esperienza bellissima.
E' vero, l'attività è continua, i pazienti esterni da visitare prima del buio sono tanti, ma nonostante tutto l' atmosfera è serena, Fratel Beppe è onnipresente, sempre disposto ad ascoltarti, a sorriderti, ad organizzare il tuo lavoro in modo che tu ti senta utile e parte di un meccanismo ben oliato. E' un ospedale che funziona! Una bellisima realtà.

Grazie Beppe, e, come dice Rinaldo, non sperare di liberarci di noi, torneremo presto!!


Marina



MarinaGardu.jpg



Un ringraziamento


La Sig.ra Maria Elisabetta, desidera esprimere il suo ringraziamento ad Erick per il messaggio che egli ha scritto per lei qualche giorno fa, dopo aver saputo della sua preziosa disponibilità a sostenerlo per i suoi studi, attraverso un’adozione a distanza.
Con l’occasione, ci ha inviato una sua foto, qui sotto rappresentata insieme ad Alessandra, Franco, e due spagnoli che ha ospitato per l'incontro di Taizé che ha avuto luogo a Ginevra dal 29.12.2007.


MariaElisabettaRota.JPG


lunedì 30 marzo 2009

We have a dream


Chaaria è per noi un sogno da realizzare giorno per giorno; non è completa, e dobbiamo lavorarci quotidianamente per farla crescere. E’ come un bambino che sta facendo i suoi primi passi, ma non è ancora autosufficiente: per questo ha bisogno di cure ed attenzioni; soprattutto ha bisogno di dedizione totale, notte e giorno. Se la lasciamo ora, forse potrebbe rapidamente essere ridotta in polvere. E qual è il nostro sogno?

Fare di Chaaria un posto in cui tutte le persone più povere e sofferenti possano essere accolte con competenza e con carità.
Sarebbe bello che tutti i poveri potessero essere accolti e curati, e che a nessuno si dovessero dire: “Vai altrove, perché non possiamo risolvere il tuo problema”. E’ questa una paranoia? Una forma di delirio di onnipotenza?
Eppure proprio a questo ci spronava San Giuseppe Cottolengo quando ci diceva che bobbiamo servire poveri “fino al sacrificio della nostra vita”.
Allora, se il fondatore voleva cosi’, e credeva fortemente che “e’ una bella cosa sacrificare la salute ed anche la vita nel prendersi cura dei malati”, noi pensiamo di essere sulla strada giusta. Lavorare notte a giorno, sette giorni alla settimana, cercando di fare del nostro meglio e di trattare tutte le persone che bussano alla nostra porta proprio come se fossero Gesu’ in persona... ecco il nostro sforzo quotidiano.
E se crediamo veramente che nei piu’ diseredati c’e’ Cristo stesso, e’ chiaro che cercheremo di dare sempre il meglio, anche tecnicamente ai nostri malati... e’ in questa linea che ci sforziamo di fare sempre nuovi interventi; di portare avanti diagnostiche sempre piu’ complesse, di equipaggiarci di farmaci sempre piu’ efficaci... e con il Cottolengo ripetiamo a noi stessi che l’unica limitazione al nostro agire sara’ la mancanza fisica di forze per fare di piu’.E’ proprio questo nostro dare il massimo che ci rende ottimisti sul fatto che non siamo mai soli, perche’ Dio si prende sempre cura di noi quando ci vede stremati e sa che davvero piu’ di cosi’ non possiamo donare; ed e’ ancora per questo che ostinatamente pensiamo che il Signore sia contento di Chaaria. Molti mi dicono che dobbiamo ridurre, perche’ il carico di lavoro e’ eccessivo e corriamo tutti il rischio di crollare, sia fisicamente che mentalmente... Altri sostengono che a voler far troppo, poi si fa tutto male... Ma il Cottolengo era di parere opposto e ci insegnava che “ la misura della carita’ era dare senza riserve... e la forza ci sarebbe sempre venuta da Dio”. Altri ancora ci invitano ad essere piu’ pudenti e a pensare al futuro: che cosa ne sara’ di Chaaria se diventa cosi’ grossa e domani non abbiamo poi la forza di portare avanti il servizio! Anche in questo il Cottolengo e’ categorico: per amare Dio ed i suoi poveri non abbiamo che oggi. Se adesso omettiamo di fare il bene che e’ alla nostra portata, solo perhe’ temiamo che un domani non saremo piu’ capaci di portarlo avanti, allora siamo veramente lontani dal Vangelo: noi serviamo i poveri finche’ ci siamo e fin quando ne saremo capaci... il futuro, quello che avverra’ quando noi non ci saremo piu’, lo lasciamo a Dio. In conclusione osiamo sperare che il Cottolengo sia orgoglioso di questo ospedaletto africano dove sicuramente non c’e’ tutto, ma dove l’anelito delle nostre anime e’ lo sforzo quotidiano di servizio verso tutti i poveri.

Fr Beppe



domenica 29 marzo 2009

Beatrice (nome cambiato per garantire la privacy)


Può essere considerata una delle più povere pazienti del nostro ospedale… povera in tutti i sensi.

Venticinque anni di età, ma ne dimostrava sessanta già da parecchio tempo. Ha avuto la sfortuna di essere colpita dal diabete giovanile, una malattia che non perdona, se i livelli glicemici non sono tenuti attentamente sotto controllo.
L’ho conosciuta due anni fa: emaciata, quasi cieca a causa della retinopatia diabetica, claudicante a causa di un’ulcera cronica all’alluce con nessuna tendenza a guarire. I familiari sapevano da anni del diabete, ma hanno sempre sostenuto di non avere soldi per la terapia.
La nostra storia è poi sempre stata la stessa: Beatrice arrivava in coma diabetico accompagnata da un padre ubriaco (credo che la mamma fosse morta anni prima); noi la ricoveravamo gratuitamente per molti mesi, sia perché il diabete non si sistemava, sia perché i suoi tendevano ad abbandonarla. Quando finalmente riuscivamo ad acchiappare il padre che furtivamente era venuto a farle visita, la dimettevamo senza chiedere un soldo neppure per l’insulina che avrebbe dovuto praticare a casa. Sapevamo che sarebbe stato inutile con quell’ uomo che sembrava più che altro un etilista che si era fumato il cervello con bevande locali.
Il problema di prescrivere terapia insulinica a domicilio è sempre gravissimo: non hanno frigo, e, nel caso migliore, conservano il farmaco in una pentola piena d’acqua e semisepolta nel terreno. Siccome costano molto, usano per molto tempo la stessa siringa, e chissà se la fanno bollire prima di riutilizzarla. E poi l’insulina è davvero molto cara… Quando il botticino da noi regalato finiva, nessuno ne comprava più per Beatrice; e quando la rivedevamo, lei era di nuovo in coma, con tutte le complicazioni ad uno stadio più avanzato.
Io me la prendevo sempre con il papà, e gli dicevo che era un irresponsabile a non portarmi sua figlia per i controlli quando la bottiglia dell’insulina era vuota; ma il massimo che ottenevo da quella sfuriata era che lui si addormentasse davanti a me senza darmi ascolto.
Questa volta è stata ricoverata da noi per quasi sette mesi: mettevamo a posto la glicemia, ma al momento in cui si pensava alla dimissione, qualcosa di nuovo insorgeva: vomito, diarrea, infezione al piede. Quando finalmente siamo stati in grado di darle una qualità di vita accettabile, i parenti si sono dati nuovamente alla macchia, e la poveretta è rimasta in reparto per quasi due mesi dopo la dimissione ufficiale. Io le chiedevo come mai non andava a casa, e lei si mostrava chiaramente a disagio nel confessare che nessuno era mai più venuto a farle visita… dovete sapere che Beatrice non era in grado di camminare a causa della debolezza, e non avrebbe potuto lasciare il Cottolengo Mission Hospital da sola.
Credo che questo stato di abbandono abbia in qualche modo creato in lei una tale disperazione da portarla a decidere di lasciarsi morire: rifiutava quindi il cibo, non voleva le terapie.
Alcuni giorni fa, mi ha chiesto di comunicare al padre il posto dove avrebbe voluto essere sepolta nel cortile di casa.
Ha poi sviluppato una specie di paura della solitudine, ed un bisogno estremo di attenzioni.Voleva sempre qualcuno vicino a lei: aveva imparato il nome di tutti, e chiamava ora per farsi sistemare un piede, ora per farsi girare nel letto, ora per un sorso d’acqua.
A guardarla faceva una tenerezza incredibile: pelle ed ossa, piaghe ovunque; i muscoli totalmente andati… poi si è spenta quasi senza accorgersene. E’ morta da sola, senza la presenza di un familiare… ma, tutto considerato, credo che sia davvero andata a stare meglio.
Sono convinto che è stato l’abbandono, più che il diabete ad uccidere Beatrice… l’ho capito quando mi ha chiesto di indicare a suo padre dove seppellirla. Io non le avevo detto che stesse morendo; anzi, cercavo di essere molto positivo e di infonderle fiducia: ma lei lo sentiva, e forse si stava gradualmente abbandonando alle braccia della morte, quasi come a quelle di una liberatrice.
Oggi è venuto il padre, ubriaco come sempre: non so neanche se ha capito che sua figlia è morta. Se ne andato farneticando e non sappiamo neppure se verrà a riprendersi il cadavere.

Fr Beppe

sabato 28 marzo 2009

Quando un piccolo particolare può causare un disastro


Jerusha (nome d’arte) era stata ricoverata 3 settimane fa per una impressionante leucorrea dall’odore praticamente intollerabile. Avevamo dovuto isolarla perche’ le altre pazienti non accettavano di stare nella stessa camera con lei.

Abbiamo raccolto un po’ di storia clinica, e la malata ci ha detto che la sintomatologia era iniziata spontaneamente, ed in modo graduale.
L’ecografia era suggestiva di malattia pelvica infiammatoria, ed abbiamo coperto la paziente con antibiotici. Abbiamo usato tutti i prodotti indicati in letteratura per la terapia della suddetta condizione… ma la malata globalmente non migliorava come ci saremmo aspettati. Il cattivo odore si e’ in effetti ridotto, e questo ci ha dato per un momento la sensazione di essere sulla strada giusta. Jerusha poi non aveva segni addominali di peritonite. L’intestino si muoveva bene e lei andava di corpo normalmente.
L’emocromo ha però cominciato a segnalare un aumento progressivo dei globuli bianchi, ed una anemia ingravescente. L’emoglobina e’ scesa a 4 g/dl, cosa che ci ha indotto a trasfondere la paziente due volte. Abbiamo pensato che la causa dell’anemia fosse la malaria, dal momento che la goccia spessa mostrava una bassa densità di plasmodium falciparum.
La cosa strana e’ che la paziente non aveva febbre nonostante i bianchi elevati, e le condizioni cliniche andavano a volte migliorando e a volte peggiorando nuovamente.
Negli ultimi due giorni abbiamo notato un picco dei leucociti che sono saliti a 35.000, fino a farci dubitare una concomitante leucemia mieloide. L’ecografia, ripetuta tre giorni fa, mostrava questa volta un ascesso pelvico di dimensioni notevoli.
La paziente era debolissima, sfebbrata e con pressione massima di circa 80 mmHg. Presentava inoltre una sudorazione fredda paurosa, ed occhi infossati che ti guardavano con ansia di morte. La motilita’ intestinale c’era ancora e all’eco non c’era fluido libero in cavita’ peritoneale.
Ad un certo punto abbiamo preso la decisione piu’ difficile: dobbiamo aprirla, nonostante le condizioni generali critiche; altrimenti la perderemo per setticemia.
Abbiamo parlato con la malata che ha accettato di firmare il consenso per l’intervento.
Purtroppo, mentre le stavamo facendo i liquidi di riempimento prima dell’operazione, la Jerusha ci ha salutato ed ha deciso di andare in Paradiso, lasciandoci tutti sconcertati e senza parole.
La nostra frustrazione ed i nostri sensi di colpa erano alle stelle. Dove abbiamo sbagliato? Avremmo dovuto andare in sala prima?
Con il consenso dei parenti abbiamo fatto l’ autopsia e ci siamo accorti che l’ascesso era adiacente ad una perforazione settica dell’utero: un buco torbido e necrotico che si apriva a tutto canale dalla cavità endometriale al peritoneo.
“Ma che razza di condizione e’ mai questa? Jerusha diceva che aveva un figlio di tre anni e non aveva avuto gravidanze recenti! Cosa può aver perforato l’utero in questo modo?”
Poi la verità è venuta fuori quasi per caso: una giovane cugina ci ha confidato che circa un mese fa la malata si era fatta praticare un aborto clandestino, usando un ramo di cassava. Lo aveva fatto in casa e non aveva detto niente a nessuno.
“Se solo si fosse fidata di noi! Non l’avremmo certo portata alla polizia per quello che aveva fatto! Quella confidenza ci avrebbe dato un suggerimento molto importante ed avremmo forse deciso per la sala operatoria molto prima, magari salvando la sua vita. Adesso siamo frustrati, con forti sensi di colpa.
Sappiamo che Dio avrà misericordia di Jerusha e l’accoglierà in Cielo, ma ciò non toglie che ora c’e’ un vedovo in più con una bambina piccola da far crescere.Avremmo potuto e forse dovuto fare di meglio, ma veramente siamo stati a corto di idee e quello che poi abbiamo visto post mortem non ci ha neppure sfiorati nel nostro iter diagnostico e terapeutico. Che il Signore abbia misericordia anche dei nostri sbagli e delle nostre limitazioni cliniche; che possa accettare l’anima di Jerusha nella sua pace (quanta sofferenza deve averla portata a quel gesto che poi non è riuscita a confessare neppure a se stessa); e che doni pace al congiunto e consolazione al bimbo ora rimasto senza mamma.

Fr Beppe




venerdì 27 marzo 2009

Grazie Manuela

Per la tua simpatia, per l'amore che hai saputo trasmettere a tutti i pazienti che hanno potuto godere dei tuoi servizi. Grazie per la tua dedizione ai più gravi, ai non autosufficienti, ai piagati.
Grazie anche per tutto il lavoro che hai portato avanti in laboratorio analisi.
Mancherai molto anche ai Fratelli con cui hai saputo creare rapporti amichevoli che hanno lasciato il segno: oggi la tua partenza ha creato un grande vuoto.Per favore, fai il tifo per noi alle Molinette, e di' a tanti tuoi colleghi infermieri che qui abbiamo davvero bisogno, e che la loro opera di volontariato sarebbe veramente apprezzata.


Fr Beppe


Manuela.jpg


giovedì 26 marzo 2009

PICCOLO DIZIONARIO PRATICO: Italiano/Inglese/Kimeru/Swahili


Premessa

Carissimi amici,
Oggi vi presento la prima parte del dizionarietto per i volontari. Seguira’ ancora un’ultima parte che vorrebbe essere anche un piccolo compendio.
Desidero prima di tutto ringraziare Marcella, infermiera di Cagliari e volontaria a Chaaria nel 2007, la quale ha fatto gran parte del lavoro. Poi ringrazio Stefania, ci ha permesso di consultare il lavoro che Marcella aveva fatto in forma cartacea. Noi lo abbiamo un po’ corretto, e posto in formato web. Magari ci saranno ancora errori di battitura nella parte italiana ed inglese, e vi saremo molto grati se ce li segnalerete.
Ringrazio anche I giovani Fratelli Robert e Ibrahim che mi hanno aiutato per la parte kimeru, e Lydia che mi ha aiutato per il Kiswahili.

Nota tecnica
1) Il Kiswahili si pronuncia come l’italiano, per cui per noi non e’ molto difficile leggerlo. Alcune eccezioni:
a) la s e’ sempre dura come per la parola salsa. Il suono dolce come nella parola italiana casa in Kiswahili corrisponde alla lettera z.
b) ny si legge come il suono gn di gnomo
c) W non e’ mai duro come in italiano (Walter per esempio), ma si legge u (per esempio saua saua)

2) Il kimeru ha una pronuncia molto complessa. Generalmente la i si legge e, e la u si legge o. Per la s, per ny, per il w, vale la stessa regola del kiswahili


Fr Beppe



Per scaricare il dizionario, cliccare su "More" e poi su "Save a document"



PICCOLO DIZIONARIO PRATICO SWAHILI

mercoledì 25 marzo 2009

E riecco l'anofele...


... proprio quando pensavo di essere ormai diventato immune. La goccia spessa è stata spietata: trofozoiti di plasmodium falciparum. Inizierò la terapia adesso.
Sono veramente a pezzi, con vomito, diarrea, febbre e dolori dovunque. il mio cervello è un po' annebbiato dalla temperatura corporea, ed il mio naso continua a colare sulla tastiera del computer. Per cui oggi lascio parlare una bella foto: le mie parole sarebbero infatti sconnesse e poi rischierei di inumidire i microchips del lap top, facendo urlare chi lo dovrà usare dopo di me.
In essa io appaio veramente uno straccio, ma ne conoscete il motivo.
Con me ci sono sia i volontari che oggi sono partiti, sia Fausta che è appena arrivata e si dedicherà alle ecografie ostetrico-ginecologiche, sia Manuela che si tratterrà con noi fino a venerdì, sia il mio braccio destro Pinuccia... E poi non poteva mancare Kanyua, nuova colonna portante della sala operatoria, da quando Makena è a scuola.
Domani spero di scrivere di più. Ora vado a nanna, sperando di non essere chiamato per emergenze.

Fr Beppe

Gruppo.jpg



martedì 24 marzo 2009

Corso di formazione: Mission Sanità & Volontariato nel Mondo


MISSION
Sanità & Volontariato nel Mondo


CORSO di FORMAZIONE

ACCREDITATO ECM per tutte le professioni sanitarie

Presidio Sanitario S.Camillo Centro di Pastorale Sanitaria
Sala Convegni – Strada S.Margherita, 136 - Torino

8-9-10 maggio 2009 / 22-23-24 maggio 2009


Con il PATROCINI O di:
- FACOLTA’ di MEDICINA di Torino
- CAMILLIANUM – Istituto di Teologia Pastorale Sanitaria - Roma
- ARCIDIOCESI di TORINO – UFFICIO PER LA PASTORALE DELLA SALUTE
- CENTRO CATTOLICO di BIOETICA
- AMCI
- ASSOCIAZIONE BIOETICA & PERSONA
- ACOS Piemonte


- RESPONSABILE DELL’EVENTO: ENRICO LARGHERO
- SEGRETERIA SCIENTIFICA: ENRICO LARGHERO
- SEGRETERIA ORGANIZZATIVA:
MARIA GRAZIA SINIBALDI – Tel. 339.42.90.588
MARIELLA OGGIONI – Tel. 333.84.59.893
Quota di iscrizione per il S.Camillo: Euro 150 (comprensiva di kit congressuale, pranzi e coffee-
break).


Obiettivi

Il Corso intende sensibilizzare le coscienze sui temi della vita missionaria e del Volontariato attraverso un iter formativo sia di tipo socio-culturale che medico sanitario, al fine di preparare professionalmente gli operatori del futuro per le missioni umanitarie.


PROGRAMMA

Prima Sessione
Venerdì 8 maggio 2009 - ore 14-20
Le missioni: storia, senso e significato della vita missionaria.

Società plurale e multiculturalismo. Verso una bioetica globale.

Sabato 9 maggio 2009
ore 8-13
Il Volontariato: Attualità, motivazioni e prospettive.
ore 14-19
Conflitti interpersonali e sviluppo della competenza emotiva in terra di missione.

Domenica10 maggio 2009 - ore 8-14
Abbi cura di te. Cammini di crescita nell’esperienza delle missioni.
Salute, malattia e morte. Multietnie e modelli antropologici.

Seconda Sessione
Venerdì 22 maggio 2009 – ore 14-20
Le politiche sanitarie e l’allocazione delle risorse.
Le emergenze socio-sanitarie nel mondo.

Sabato 23 maggio 2009 – ore 8-13
Prevenzione, diagnosi e cura delle malattie in Africa.
Ore 14-19
Prevenzione, diagnosi e cura delle malattie in Asia e America Latina.

Domenica 24 maggio 2009 – ore 8-14
Programmazione e futuro. Progetti e sinergie. Interventi nei campi della salute e della promozione umana: Operatori a confronto.


Docenti:

Carla Corbella: Filosofo e Teologo morale
Mario Eandi: Professore Ordinario di Farmacologia – Facoltà di Medicina - Torino
Fabrizio Fracchia: Medico – Ospedale Molinette-Torino
Enza Fruttero: Biologo - Ospedale Molinette-Torino
Enrico Larghero: Medico Anestesista-Ospedale Molinette-Torino e Teologo morale
Ugo Marchisio: Medico Primario di Medicina d’urgenza – Torino
Guido Miglietta: Medico e Teologo morale – Responsabile della Caritas italiana per l’America Latina
Giorgio Palestro: Preside Facoltà di Medicina – Università di Torino
Arnaldo Pangrazzi: Docente Camillianum - Roma
Luciano Sandrin: Preside Camillianum – Roma
Ermis Segatti: Teologo – Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale
Luisangelo Sordo: Medico - Direttore Casa di Cura Suore Domenicane - Torino
Maria Luisa Soranzo: Medico Primario Emerito Malattie infettive
Giuseppe Zeppegno: Teologo morale perfezionato in Bioetica


Immagine 1.jpg


Per scaricare il programma, cliccare su "More" e poi su "Save a document"



Salutiamo i nostri amici sardi


Domani Luciano, Enrico, Marina e Stefania ci lasceranno. La loro presenza ha portato grandi novità per Chaaria. Certamente la cosa che più mi rende felice è il fatto che ora siamo in grado di continuare con l'ambulatorio per le gastroscopie. Marina è stata veramente disponibile e si è fatta in quattro per insegnarmi sia la tecnica, che le patologie, che le necessarie premure da riservare a strumenti tanto delicati.

Endoscopia.jpgNon dico di essere un grande endoscopista, ma almeno ora so tenere in mano il gastroscopio, e mi so orientare all'interno del tubo digerente. Avrò bisogno ancora di altri mentori che vengano a condividere con me la loro esperienza... e questo è anche un appello accorato, per qualche gastroenterologo che avesse voglia di venire a Chaaria.
Tra l'altro non abbiamo neppure iniziato la mia formazione sulle colonscopie, per cui ho davvero ancora tanto bisogno di aiuto.
Luciano ha lavorato moltissimo, ed ha recuperato tendini che per noi erano impossibili: tanta gente potrà nuovamente usare le mani grazie a lui.
Enrico ha continuato la sua formazione permanente nei confronti miei e di Ogembo, aiutandoci a migliorare un po' nella tecnica delle isterectomie.
Stefania è stata l'infermiera di sala sia per Marina durante le endoscopie, sia per Luciano durante gli interventi chirurgici.
Altro dono inaspettato di Dio è l'arrivo di una nuova ginecologa del gruppo di Luciano: si tratta di Fausta, che già opera a Camp Garba da alcuni giorni e domani si trasferirà a Chaaria dove starà fino alla fine della sua esperienza in Kenya.
A tutti va il nostro sentito ringraziamento

Fr Beppe Gaido


PS: Abbiamo quasi completato la stesura di un piccolo dizionarietto per i volontari di Chaaria.
Si tratta di poche pagine di parole utili da usare durante il servizio con noi. Il dizionario sarà costituito di 4 colonne: italiano - inglese - kimeru - kiswahili. Per ora è una bozza che poi ci proponiamo di far crescere anche con il vostro contributo. Speriamo di fare cosa gradita ai volontari che si preparano a venire a lavorare con noi.

Il volto della fame


Sto camminando spedito verso l’ospedale. La strada è terribilmente polverosa ed il sole torrido. Non c’è un filo di vento ed il cielo è di un blu incantevole. Gli occhi bruciano tutte le volte che uno spericolato matatu sfreccia e mi sorpassa, lasciandomi strada stagione secca.JPGimmerso in una nuvola di polvere rossa. Ad un certo punto odo una voce femminile alle mie spalle:

“Padre, fermati per piacere”.
Istintivamente penso che quella persona stia chiamando me, seppure io non sia prete… ma chi capisce la differenza da queste parti?
Mi giro di scatto ed inizio ad intravedere tra la polvere argillosa che comincia a depositarsi sul terreno, una figura smilza, accompagnata da un nugolo di bambini. E’ bassa di statura, minuta e dalla carnagione chiara, seppure i caratteri somatici siano chiaramente bantu (brown li chiamano qui, in contrapposizione ai black che hanno una pelle color ebano). In testa ha un foulard tutto sporco; cammina scalza, come pure tutti i suoi bambini. I vestiti sono stracciati e intrisi di una polvere vecchia di settimane. I piccoli sono in condizioni pietose: niente scarpe, abiti così tanto perforati dalle termiti, da sembrare degli scolapasta; sul viso nessun segno di un sorriso; solo occhi stanchi e chiaramente affamati. La loro pancia prominente fa da contrasto a delle gambine magre e scarne. Sulla schiena della donna un altro bimbo piccolissimo dorme saporitamente.
“Hai bisogno di qualcosa? Sei malata? Se vuoi, vieni in ospedale”
“Padre, non siamo malati. Il nostro vero problema è la fame. Siamo venuti da lontano, a piedi, e stiamo cercando da mangiare. A casa non c’è più niente: sono saltate due stagioni delle piogge, ed ora tutte le scorte sono finite. Ci siamo nutriti di mango per un po’; a volte li cucinavamo e spesso li mangiavamo crudi; ma ora la stagione è finita, e non sappiamo più cosa mettere sotto i denti. Mio marito sta cercando lavoro a Meru, ma non ne trova… qualche volta raccoglie legname qua e là; poi lo brucia sotto terra per produrre carbonella e venderla. Fa chilometri e chilometri con un sacco di questo prezioso materiale per giungere al mercato generale, ma poi viene pagato una miseria.
Questo sarebbe il tempo in cui avremmo dovuto raccogliere i frutti di quanto abbiamo seminato durante le piccole piogge di novembre… ma purtroppo non è nato nulla, e temiamo che anche la prossima stagione possa fallire… e poi, che cosa seminiamo anche se pioverà: non abbiamo neppure sementi.”
“Come ti chiami?”
“Kasyoka e vengo da Machakos”.
“Già, l’Ukambani; ci sono stato una volta. E’ molto più povero di Meru, e mi sembra ovvio che tu e tuo marito abbiate cercato di arrivare fin qui per un po’ di cibo. Vieni con me: vediamo cosa posso darti. Quello che vorrei è regalarti anche un po’ di sementi oltre al cibo: speriamo che questa volta piova davvero”.

Fr Beppe




lunedì 23 marzo 2009

Lettera da Rinaldo e Antonella


Molte persone usano le parole come un pennello…. con pochi tratti dipingono un quadro, ti fanno vivere e sentire le sensazioni come vissute… reali.
Beppe è una di quelle persone, i suoi scritti, le sue descrizioni, i suoi vissuti sono dei quadri di vita reale, li vedi… li senti, riesci a viverli quasi a toccarli, a volte si ha la sensazione di essere li con lui….
Sono rientrato da poco in Italia, Chaaria mi è rimasta nel cuore come nessun altro posto, eppure non sono nuovo a esperienze del genere.
Intanto l’accoglienza….. che dire, ci stavano aspettando, non ci ha accolto l’indifferenza degli altri posti, Beppe, Pinuccia, i fratelli…. gli altri volontari ci hanno accolto in un modo splendido, sembrava di essere a casa, ho avuto la sensazione da subito di appartenere a quel posto.
Anche Antonella mia moglie, Dolores e Angela si sono trovate bene, tanto che la mattina dopo il nostro arrivo erano già impegnate con gli orfanelli dell’ospedale e i Buoni Figli, instaurando da subito quel feeling che solo chi si trova a proprio agio riesce ad avere.
Chaaria è un posto dove non ci si annoia di sicuro, c’è tanto da fare, non ci sono orari, ogni tanto mi affacciavo fuori dalla room e vedevo che le persone fuori in attesa invece di diminuire aumentavano… silenziose, sofferenti, con tanta dignità da fare impressione...non ho scattato delle fotografie, non ne ho avuto bisogno, quei visi sono stampati indelebilmente nei miei ricordi, Ferrari.jpgBeppe, sempre presente in ogni punto dell’ospedale, lo trovavi nella sua stanza a visitare e fare ecografie, in sala operatoria, nella sala parto, in reparto…. ma quanti Beppe ci sono….. è in ogni posto.
Sempre sereno, con un sorriso rassicurante, una buona parola per tutti.
La sera ancora non si vede, è ancora in ambulatorio a visitare, ha saltato anche oggi il pasto, noi ci siamo solo alcuni giorni e già cominciamo a sentire il peso dei ritmi serrati, ma lui è dieci anni che lavora cosi. Arriva in fretta,c’è un altro cesareo, via di corsa un'altra volta, per fortuna c’è lui che ora si è trasformato in anestesista.
Certo non mancano i problemi, ci vorrebbero più mani per stare dietro a tutti quelli che bussano alla porta, ci vorrebbero più soldi per le medicine, per la corrente, per gli stipendi per la manutenzione….
Il giorno più triste è stato il giorno della nostra partenza, per fortuna siamo partiti alle 5 del mattino e quindi niente pianti, la sera ci hanno fatto festa, commossi ci hanno abbracciati, e si sono stretti a noi.
I nostri cuori sono rimasti li a Chaaria, con i nostri ammalati, i nostri orfanelli, i nostri Buoni Figli, con i Fratelli…. con Beppe.
GRAZIE Beppe per tutto quello che ci hai dato e che abbiamo preso a piene mani, GRAZIE per essere stato sempre disponibile nonostante la mole immensa di lavoro, GRAZIE per averci accolto tra i tuoi amici.

Adesso sarà difficile liberarti di noi saremmo di nuovo li da voi presto ….


Rinaldo e Antonella



domenica 22 marzo 2009

Naomi

E’ stata ricoverata da noi durante la notte del 19 dicembre 2008 per insorgenza acuta di paralisi flaccida, e non e’ mai stata dimessa. Era stata seguita ormai da mesi in un altro ospedale per una forma di TBC polmonare.
La situazione neurologica si e’ venuta a creare in pochissime ore: il giorno prima ancora camminava e correva; poi improvvisamente ha perso sia la forza che la sensibilita’ .
Naomi dice che e’ iniziato tutto dal basso, con l’impressione di anestesia alla pianta dei piedi. Poi, come se uno spirito maligno la avvolgesse e le salisse dentro le viscere, la paralisi ascendeva sempre piu’, coinvolgendo dapprima le gambe, e poi l’addome. Per sua fortuna la malattia si e’ fermata al livello della dodicesima costa. Se fosse continuata ulteriormente, Naomi sarebbe morta per blocco della muscolatura respiratoria.
La diagnosi ci e’ rimasta oscura: abbiamo pensato alla TBC della colonna (il cosiddetto morbo di Pott), ma la radiografia era totalmente negativa. Non abbiamo comunque potuto fare una risonanza magnetica a motivo degli alti costi.
Ci siamo quindi orientati verso l’ipotesi di malattia di Guillain-Barre’: una forma di paralisi flaccida progressiva di origine sconosciuta, ma spesso scatenata da infezioni virali o da tossine che l’organismo produce durante certe patologie. La diagnosi ci sembrava suggestiva, dato il carattere acuto ed ascendente della sintomatologia, e considerato il fatto che si era venuta a creare una demarcazione netta tra la zona anestetica in basso e quella normo-sensibile in alto, a livello toracico.
Abbiamo quindi “cortisonato” la paziente, che, essendo ormai in terapia antitubercolare da molti mesi, ci sembrava potesse sopportare questo farmaco senza grosse problematiche collaterali.
I miglioramenti sono pero’ stati molto lenti, anche con lo steroide. Naomi ha sviluppato piaghe da decubito che ad un certo punto erano molto profonde, ma ora fortunatamente migliorano e sono quasi chiuse.
Altra complicazione e’ stata la ritenzione acuta d’urina, per cui abbiamo dovuto inserirle un catetere a permanenza, per un tempo prolungato. Questo pero’ ha portato alla formazione di ingente quantita’ di sabbia e detriti urinari, che spesso hanno otturato il catetere stesso.
Abbiamo quindi provato con la ginnastica vescicale, ma per ora tale procedura e’ stata inutile, per cui abbiamo insegnato alla giovane paziente la pratica dell’autocateterismo ad orari fissi.
La fisioterapia, che pratichiamo tutti i giorni, sta ottenendo qualcosa… ma i tempi sembrano davvero ancora lunghi. Naomi, per il passato completamente anestetizzata fino al torace, ha ora recuperato del tutto la sensazione tattile e dolorifica nella parte inferiore della sua persona.
Quella che ancora e’ totalmente assente e’ la capacita’ motoria dei suoi muscoli: e’ tuttora completamente paralizzata, anche se ha fascicolazioni e contrazioni muscolari involontarie.
Naomi vuole guarire e mi ripete tutti i giorni che ce la fara’. Anche i fisioterapisti sono ottimisti, ma nessuno si pronuncia riguardo ai tempi.
Oltre che molto bellina, Naomi e’ una ragazza vispa ed intelligente, che stava frequentando le scuole superiori prima che capitasse il disastro. Assolutamente lei vuole riprendere gli studi…
Qui si colloca l’altro aspetto della vita travagliata di Naomi. Lei puo’ studiare solo perche’ e’ completamente sponsorizzata da un fondo governativo per i poveri (fondo che si chiama bursary, ed e’ gestito dal CDF).
La sua situazione familiare e’ drammatica: e’ figlia unica di una donna che e’ stata colpita da depressione post partum, ed e’ scappata di casa quando la bimba aveva 6 mesi di eta’. Suo padre e’ morto di cancro quando Naomi andava alle elementari. Da allora ha vissuto coi nonni: adesso anche il nonno morto, e la nonna fa veramente fatica a tirare avanti.
Naturalmente non abbiamo mai ricevuto uno scellino dal giorno in cui l’abbiamo ricoverata a Chaaria. Ora, sia io che Naomi desideriamo lanciare un appello a qualche amico generoso: sappiamo benissimo che c’e’ crisi, e che anche in Italia la vita non e’ per niente facile, ma se ci mettessimo in cordata, magari raccogliendo solo un euro a testa, potremmo raccimolare una ingente somma di denaro che ci aiuterebbe a pagare le terapie usate fino ad oggi, ed anche tutte quelle che ci saranno necessarie nei mesi futuri.
Ci state a fare questa catena? Sara’ un ponte si solidarieta’ che attraversera’ i Continenti e dara’ nuova speranza a questa ragazza stupenda e sfortunata.

Un grazie in anticipo

Fr Beppe Gaido e Naomi

Naomi.jpg


sabato 21 marzo 2009

La siccità colpisce pesante...soprattutto sui bambini


Dati ottenuti dale autorita’ sanitarie ci segnalano un aumentato numero di bimbi affetti da malnutrizione e condizioni correlate alla fame. Sono in incremento le malattie diarroiche, l’anemia, le infezioni respiratorie e le complicazioni dermatologiche. Questo sicuramente sara’ accompagnato con una maggior mortalita’ tra i pazienti di eta’ inferiore ai 5 anni.

Nelle aree colpite dalla fame si registra anche una diminuzione del numero di bambini che vanno a scuola: molti lasciano gli studi per trovare lavori occasionali che permettano loro di sostenere la famiglia.
Il distretto piu’ colpito e’ il Turkana, gia’ di per se’ povero e arido.

Fr Beppe

Letterina di Erick Muthomi

Carissima signora Maria Elisabetta,
Mi e’ stato comunicato che ha preso la decisione di sostenermi negli studi. Non posso fare altro che ringraziarla di vero cuore: per me e’ sempre difficile pensare che i donatori potrebbero stancarsi ed io potrei trovarmi nella condizione di dover lasciare la scuola senza finire. Ma ora, con la sua promessa, il mio cuore e’ sereno e posso pensare agli esami che inizieranno la settimana prossima senza troppe tensioni.
Come lei sapra’, i nostri genitori sono morti. Mia sorella Lilian sta finendo le scuole dell’obbligo (la standard 8). Ma e’ aiutata da un’altra benefattrice.
Abbiamo dei parenti, ma quando si tratta di pagare, si defilano tutti. Succede cosi’ anche dalle vostre parti?
La nostra vita e’ dura soprattutto durante le vacanze. Siamo ancora nella casetta di legno dei nostri genitori, ma siamo soli: dobbiamo lavarci la roba e farci da mangiare. Almeno questo problema non ce lo abbiamo nei mesi scolastici, perche’ le scuole sono “convitto” e noi viviamo in esse notte e giorno, sette giorni alla settimana per vari mesi.

Erick

ErickMuthomi2.jpg


venerdì 20 marzo 2009

La cava


Vicino a Chaaria c'e' una grande quarry, cioe' una montagnola da cui si ricavano pietre da costruzione. Ci sono decine di uomini che ci lavorano per 9-10 ore al giorno, sotto il sole torrido. Li vedi sparsi sul fianco ripido della collina: a torso nudo scavano la roccia con un piccone o a mani nude. Lavorano in condizioni veramente difficili, e non e' raro per noi soccorrerne qualcuno dopo una caduta nel profondo burrone che finisce nel fiume Mariara. Altre volte puo' capitare che un blocco di pietra si stacchi improvvisamente dalla parete, ormai bucata come se fosse un alveare, e investa un gruppo di operai.

Questi manovali vengono chiamati juakali (che in kiswahili significa: sole torrido), per significare quanto sia difficile il loro lavoro sempre sotto il caldo cocente.
Dalla montagna ricavano dei grossi massi, e poi li squadrano con martello e scalpello, trasformandoli in mattoni da costruzione.
I pezzi che non possono essere utilizzati per questo fine vengono poi ridotti in frammenti piccolissimi, chiamati kakoto in kiswahili, ed usati come ghiaia per i muratori.

Le mani di questi manovali sono callose e rovinate sia dagli anni di lavoro duro, sia dalle tante ingiurie portate dalle rocce stesse... Non c'e' tempo infatti per andare in ospedale quando ci si ferisce... qui tutti sono pagati a giornata, e quindi si Piede.jpgperderebbe il lavoro mentre si cerca assistenza medica. Meglio una infezione, che essere disoccupati. Altrimenti cosa si potrebbe dare ai propri figli che aspettano un po' di pane per la cena!
Anche i piedi di questi martiri del lavoro sono in condizioni disastrose, dal momento che su quelle pareti scoscese bisogna arrampicarsi come gatti, e non ci riesce a stare in equilibrio con infradito o sandali. E poi, quanti pietroni saranno caduti su quei pollicioni nel corso di tanti anni di fatica!E tutto questo i juakali lo fanno per circa 1 Euro al giorno: quando penso alla loro fatica; alla sete che devono provare prima che arrivi la sera; alla ricompensa davvero irrisoria, mi sento un po' in colpa, e mi rendo conto di quanto grande sia la sperequazione tra chi vive nel Nord e nel Sud del mondo.


Fr Beppe Gaido


Mani.jpg



giovedì 19 marzo 2009

Enrico ed i suoi mille cesarei


A Chaaria è sempre vita dura per i ginecologi, ed anche questa volta per Enrico le giornate sono intense e pienissime. Si deve dividere tra le visite ambulatoriali che lo impegnano per molte ore al giorno, e la sala operatoria che è decisamente pesante per la sua specialità.
Enrico naturalmente mi solleva per tutti i cesarei, sia di giorno che di notte. Anche Luciano lo aiuta, e spesso abbiamo la possibilità di eseguire un cesareo senza coinvolgimento di personale locale.
Altre operazioni decisamente molto frequenti per Enrico sono le isterectomie dovute a grossi fibromi uterini, le cisti ovariche, e le revisioni della cavità uterina in seguito ad aborti spontanei.
Anche a Enrico desidero esprimere il mio ringraziamento e l'apprezzamento per il lavoro che fa per noi, oltre che per le nozioni nuove che mi insegna tutte le volte che viene.

Ciao Fr Beppe

PS: grazie di cuore a tutti voi che mi avete mandato dei messaggi per le nozze d'argento. E' stata una ricorrenza tranquilla, trascorsa in ospedale. Ma il Signore ha voluto che oggi fosse una giornata calma, senza grosse emergenze. Ho così avuto anche la possibilità di pregare e di ripensare alle grandi cose che il Signore ha operato per me in questi 25 anni. Siamo anche riusciti a ritrovarci tutti a cena (fratelli e volontari), e a trascorrere un po' di tempo suonando la chitarra e cantando vecchie canzoni degli anni '80. E' stata proprio bello: abbiamo festeggiato anche Fr Joseph Muchiri e la nostra volontaria veterana Pinuccia, che è qui da noi ormai da 6 mesi.


EnricoLuciano.jpg


mercoledì 18 marzo 2009

Nozze d'argento


Carissimi amici e lettori del blog,
oggi sono particolarmente stremato e non riesco a raccontarvi grandi cose di Chaaria, ma non posso andare a letto senza condividere con voi una gioia profonda ed intima: domani non e’ solo il mio onomastico, ma e’ anche il venticinquesimo anniversario della mia professione religiosa.
In pratica domani celebro le mie nozze d’argento: non ci saranno feste o banchetti; chiedo al Signore di vivere questa ricorrenza giubilare nel modo che mi e’ piu’ congeniale: sepolto di pazienti dal mattino alla sera.
Non mi sembra vero che siano passati gia’ cosi’ tanti anni: era il 19 marzo 1984 quando, insieme a Fratel Marco, ho emesso i miei primi voti nella Chiesa grande della Piccola casa di Torino. Era stato il coronamento di un lungo cammino di formazione e preparazione iniziato 3 anni prima. Con titubanza avevo detto di si’ alla chiamata del Signore, pur non sapendo con chiarezza se sarei stato fedele, se avrei resistito a lungo o solo per pochi anni. Certo, nel cuore mi sentivo desideroso di un si’ totale, fino al sacrificio della vita, fino alle estreme conseguenze, e fino al mio ultimo respiro. Ma il futuro certamente mi appariva dinanzi incerto e buio. Avevo 22 anni, e non avrei mai immaginato che poi i superiori mi avrebbero concesso di riprendere gli studi e di diventare medico. Era stato il mio sogno sin dalla terza media, ma avevo ormai deciso di offrire tutto a Dio: psicologicamente ci avevo quasi rinunciato, perche’ l’importante per me e’ donarmi totalmente, con o senza una laurea.
Invece Dio mi voleva medico, ed ha guidato la mia vita facendomi passare per l’Amedeo di Savoia, dove ho conosciuto a fondo il dramma dell’AIDS; poi per l’ospedale Cottolengo dove ho imparato le norme base di una medicina veramente generale che cerca di dare risposte a tutti i problemi dei malati; quindi rapidamente per la Bosnia, dove ho sperimentato direttamente le angoscie della morte e della distruzione.
Ma, il piano di Dio mi voleva in Africa: un giorno mi trovavo all’ospedale Cottolengo di Torino, e sono stato visitato da alcuni preti e suore del Kenya. Mi hanno detto: “ma cosa ci stai a fare qui… con tutti i medici che ci sono! Vieni in Africa e troverai tanto da lavorare”. Al momento il pensiero di partire non poteva essere piu’ lontano. Ma essi, senza dire una parola, hanno iniziato una danza tradizionale; mi sono girati intorno saltellando, con un goffi e ritmici movimenti, e mi hanno assicurato che, dopo quella danza, io ero diventato definitivamente africano… La mia risposta fu un sorriso scettico, ed un “siamo a posto!”.
Poi pero’, a distanza di anni, l’incatesimo ha veramente funzionato; ed eccomi qui, dopo il master di Londra e la sosta semestrale in Tanzania.
Che dire! Mi sembra ieri, ed invece sono passati 25 anni. Con il cuore mi sembra di essere ancora un ventenne, anche se, guardando lo specchio ed i capelli bianchi, mi devo arrendere al fatto che il tempo e’ passato inesorabile.
Ma spero di non essermi sclerotizzato troppo.
Domani sara’ per me una giornata di ringraziamento, per tutti i doni ricevuti in questo quarto di secolo; per la forza che Dio mi ha dato e per i traguardi che mi ha concesso di raggiungere.
Certo, spesso non e’ stato facile, e la tentazione di tornare indietro, di farmi un’altra vita qualche volta ha fatto capolino… ma ringrazio Dio della determinazione a continuare che ogni giorno continua a seminare nel mio cuore.
Mi sento giovane perche’ ho ancora tanti piani non realizzati, tanti sogni incompiuti, e tanto lavoro che ancora vorrei portare a compimento.
Non so cosa chiedere a Dio come dono per il mio giubileo: penso che preghero’ solo per la mia perseveranza fino all’ultimo momento e nonostante tutte le difficolta’.
Dite una preghierina per me domani.

Un abbraccio virtuale

Il vecchio canuto
Fr Beppe

martedì 17 marzo 2009

Colera


Siamo in allerta sanitaria per monitorare e segnalare ogni possibile caso di colera, dal momento che sono in corso epidemie della malattia in altri distretti.

Questa terribile patologia non ci ha mai lasciati, anche se fortumatamente l’ultima grande epidemia si e’ verificata a Chaaria nel 1999.
SterilizationRoom.jpgSi tratta di una malattia batterica, causata dall’agente Vibrio Cholerae. Il contagio e’ diretto, da persona a persona, e segue la trasmissione fecale-orale (in parole povere e’ trasmessa da acqua o alimenti contaminati da materiale fecale di pazienti affetti).
La malattia colpisce solo gli esseri umani e non ha serbatoi animali, ma il vibrione puo’ sopravvivere molti mesi in acque sporche, che sono quindi le sorgenti principali di nuove epidemie.
La patologia, dopo un periodo di incubazione variabile da 1 a 5 giorni, causa una terribile diarrea acquosa (caratteristicamente ad acqua di riso), di molti litri in poche ore: senza terapia, la morte interviene rapidamente a motivo della disidratazione e degli squilibri elettrolitici correlati. Quasi sempre la carenza idrica nell-organismo e’ resa ancora piu’ grave dal vomito insistente.
Una persona puo’ morire in pochissime ore, se i liquidi non vengono rimpiazzati rapidamente. Normalmente non c’e’ febbre, e la temperatura corporea e’ al di sotto del normale.
Il decorso e’ in se’ autolimitante, e, se si riesce a reintegrare in modo adeguato i fluidi persi dal malato, l’organismo stesso e’ in grado di liberarsi dal vibrione colerico nel giro di una settimana.
Per la terapia, l’OMS propone di usare soluzioni reidratanti orali, in quanto esse contengono quantita’ bilanciate di elettroliti e di glucosio, e sono in grado di correggere completamente le carenze idriche dell’organismo, senza il rischio di sovraccarico del circolo e di edema polmonare.
Se invece ci si trova di fronte ad un paziente confuso, letargico, o ormai quasi comatoso, l’ infusione endovenosa e’ obbligatoria. Si devono somministrare quantita’ molto elevate di fluidi elettrolitici in tempi brevi, per impedire il collasso cardiocircolatorio dovuto all’ipovolemia. Cio’ costituisce spesso un problema grave in un malato con pressione quasi imprendibile e con le vene ormai completamente collabite.
E’ anche consigliato associare un antibiotico, al fine di ridurre la durata della diarrea (mediamente dai 7 ai 3 giorni): per il paziente adulto per noi e’ di scelta la doxyciclina. Abbiamo anche a disposizione il furazolidone.
Per i malati in eta’ pediatrica somministriamo invece del bactrim.
Molto importanti sono poi le misure per il controllo della patologia: insegnare a bollire sempre l’acqua, scoraggiare l’assunzione di verdure crude, raccomandare il lavaggio accurato delle mani prima dell’assunzione di cibi, far capire il pericolo di defecare nei campi o vicino a corsi d’acqua.

Fr Beppe



PS: Ringrazio di cuore tutti i bellissimi commenti sul blog che ci sono di grande incoraggiamento.

Farmaci.jpg



Adozione a distanza di Erick Muthomi


Si ringrazia la Sig.ra Maria Elisabetta dalla Svizzera, che si è presa carico di supportare le spese per la scuola, con un'adozione a distanza di Erick.


ErickMutomi.JPG



75° anniversario della canonizzazione di San Giuseppe Benedetto Cottolengo


Giovedì 19 Marzo 2009 presso la Chiesa Grande della Piccola Casa di Torino

SanGiuseppe.jpg


lunedì 16 marzo 2009

I test HIV


A Chaaria non usiamo macchinari complessi, come quelli che sarebbeno necessari per eseguire un E.L.I.S.A o un Western blot. Da sempre ci siamo serviti di test rapidi, di terza generazione.

Si tratta di metodi semplicissimi che possono essere eseguiti anche da infermieri o persone impegnate nel counseling, e danno il risultato in pochissimo tempo (circa una quindicina di minuti).
Per lo piu' non e' neccessario prendere il sangue da una vena. Basta una goccia raccolta da un dito del paziente con una lancetta, cosi' come si farebbe per una glicemia.
LaboratorioAnalisi1.jpgSi aggiunge poi al sangue una seconda goccia di reagente, e si attende che la soluzione impregni una carta bibula: se appare una sola striscia rossa, il test e' negativo, mentre se ne appaiono due, l' esame e' positivo.
Questi metodi sono considerati ottimi sui risultati negativi: con questo si intende che un risultato negativo, lo e' veramente nei fatti nel 100% dei casi. Purtroppo ci sono alcuni problemi sui risultati positivi, con una percentuale di falsa positivita' che si aggira sul 3%.
Le linee guida nazionali che noi seguiamo fedelmente, ci dicono di usare un metodo di test che chiamiamo sequenziale, scartando invece il metodo cosiddetto parallelo, per motivi di costo.
Per capire quanto detto, dovete sapere che abbiamo a disposizione 3 kits diversi, che usano principi chimici leggermente differenti: abbiamo il BIOLINE, il DETERMINE, ed l' UNIGOLD.
Nel metodo parallelo si userebbero i tre metodi contemporaneamente in ogni occasione, per essere piu' sicuri che un risultato sia effettivamente negativo. Cio' e' senza dubbio costoso, in quanto per ogni paziente si usano sempre 3 kits.
Il metodo sequenziale tiene in considerazione sia i costi, sia il dato scientifico che i test rapidi sono sicuri al 100% sui risultati negativi: in pratica, se si ottiene un test negativo con un singolo metodo, questo e' il risultato che si comunica al paziente, senza confermarlo con un secondo o un terzo metodo. Se invece il primo test e' positivo, lo si conferma con un kit diverso: se entrambi i risultati sono positivi, allora si comunica al paziente la sua positivita'. In caso invece di risultati discordanti: primo test positivo e secondo negativo, si procede alla conferma con il terzo metodo. Se due test su tre sono positivi, allora si comunica al paziente la sua positivita', mentre se due test su tre sono negativi, il paziente viene considerato negativo, ma gli si consiglia di sottoporsi a un nuovo esame HIV dopo 3 mesi.
Il metodo sequenziale in questo modo cerca anche di ovviare al problema della falsa positivita' che puo' essere riscontrata nei test rapidi.
Questo e' quanto facciamo a Chaaria tutti i giorni nella pratica del VCT (voluntary counseling and testing), nella prevenzione della trasmissione materno/infantile (PMTCT) e nella diagnostica di reparto.
Per i bambini di eta' inferiore ai 18 mesi, esposti a rischio HIV perche' nati da madri positive, eseguiamo la PCR (protein chain reaction) all'eta' di 6 settimane.

Fr Beppe



LaboratorioAnalisi.jpg



domenica 15 marzo 2009

Chiamate notturne

Sono le 5.10 di mattina, e mi avvio verso camera mia dopo l’ennesima chiamata notturna. Era un cesareo. Mamma arrivata a piedi dal Tharaka. Là si era rivolta ad un dispensario, dove però le avevano detto che il parto era complicato. Il bambino sembrava troppo grosso per un parto naturale, e loro non avevano una sala operatoria, e neppure l-ambulanza. Alla donna non rimaneva che mettersi in cammino verso Chaaria (a circa 20 km di distanza), accompagnata dal marito che a tratti riusciva anche a portarla sul tubo della bicicletta. La mamma era giunta da noi alle 3 del mattino, stanchissima e con segni evidenti di sofferenza fetale. Iniziamo subito l’operazione. In realtà non si trattava di un solo feto troppo grosso per uscire, ma di due gemelli, entrambi in presentazione anomala. E’ stata una sorpresa quando in sala me ne sono accorto. Il tutto comunque va per il meglio e concludiamo abbastanza velocemente. Dico ai volontari che mi hanno aiutato di andare a dormire, mentre io completo la compilazione della cartella e dei registri.
Quando tutto è finito, saluto la mamma che è ora radiosa e mi avvio verso camera mia. Passo all’esterno della “Casa Buoni Figli”, i nostri ragazzi handicappati mentali, perché di notte il cancello è chiuso.
Continuo il mio cammino e arrivo vicino alla cappella, dove le luci sono già accese, e dove Fr Lodovico e Suor Oliva stanno già pregando. Che strana la vita. C’è chi va a letto e chi già è fresco per lodare il Signore ed iniziare un’altra giornata di servizio e disponibilità.


CHAARIA NEWS
1) Oggi abbiamo ricoverato bambini gravissimi a causa di anemia. Abbiamo dovuto trasfondere ripetutamente. Per uno di loro e’ stato terribile trovargli una vena… il piccolo sembrava un colabrodo, tanti erano stati i tentativi inutili praticati in altre due strutture, prima del ricovero a Chaaria… ma alla fine Jesse e’ riuscito ad incannulare la giugulare con cui abbiamo iniziato a dargli il sangue. Ora e’ stabile e pare che ce la possa fare.
2) Lina e’ passata da Chaaria chiedendomi ancora sostegno economico. Sta facendo un nuovo ciclo di chemioterapia. Sembra veramente uno scheletro ambulante, ma incredibilmente resiste. E’ quasi inguardabile, e mi fa una pena immense.
3) Siamo in trattative per ricoverare un handicappato mentale dell’ eta’ di 14 anni, il quale era stato abbandonato dai genitori in un ospedale governativo sin dall’ eta’ di 3 anni. Visitando il ragazzo, dietro richiesta degli assistenti sociali di quella struttura, mi e’ veramente sembrato un caso da Cottolengo. Ne ho parlato con i Fratelli, e siamo stati tutti d’ accordo sulla necessita’ di accoglierlo nel nostro centro, al fine di offrirgli una vita piu’ dignitosa. Gli daremo una carrozzella, inizieremo un po’ di fisioterapia… cercheremo insomma di farlo sentire una delle nostre “perle”.

Fr Beppe

sabato 14 marzo 2009

Mi chiamo Erick...

..ed ho circa dieci giorni di vita. La mia mamma purtroppa è morta di parto in una struttura abbastanza lontana da Chaaria. Mio papà non mi può tenere con sè per adesso, perchè sono troppo piccola e lui è da solo, per cui ora sono arrivata nel nido di Chaaria. Non mi trovo male, anche se il biberon non è proprio come il seno, e la mia mamma mi manca tantissimo. Poi il latte in polvere mi fa sempre un po' schifo. Comunque qui ci sono altri bambini e penso che mi abituerò presto.

Erick


Erick.jpg


La nostra vita... frammenti ed emozioni

[...] La vita a Chaaria è proprio diversa e credo sia davvero facile “andare in crisi”.
Ti accorgi della semplicità delle cose. Infatti, quando sono tornato a Torino, mi sono accorto di quanto ho a disposizione e che forse ne potrei fare a meno.
Là a volte ci si svegliava alle 6.00 per vedere l’alba, in Italia questo non l’ho mai fatto… ti rendi conto che quando le nuvole si spostano per lasciare spazio al sole sta nascendo un nuovo giorno, in cui bisognerà vivere o morire, in cui bisognerà capire se sono malato o se non sono malato, il tutto accompagnato da un grande “volersi bene”… ma come sempre senza fretta, senza stress, insomma “pole pole”.

[...] Ogni luogo scoperto, ogni persona incontrata è riuscita ad entrare così profondamente nel mio cuore da lasciarmi dentro un incancellabile segno, una forza che mi permette di vedere la realtà presente sotto una nuova luce. La luce dell’Amore e del Volersi Bene. Fuori dal tempo e dallo spazio, nel posto più vicino all’anima dell’uomo, tra lacrime e sorrisi, sconfitte e conquiste, ogni giorno è stato unico.
Laggiù, più che mai, ho avuto modo di mettermi alla pari del povero, sperimentando l’importanza del donarsi, per la sola e semplice volontà di farlo!... e solo chi ha “sperimentato” e vissuto esperienze simili, può affermare quanto questo sia arricchente!...

[...] Non basta venire a contatto con l’ Africa unicamente attraverso riviste… attraverso la televisione... Per conoscerla pienamente, penso sia necessario vederla con i propri occhi!
Solo così ci si rende veramente conto dell’immenso disagio che la caratterizza. E, nello stesso tempo, solo in questo modo possiamo realmente comprendere le fortune che, fin dalla nascita, possediamo in questa agiata vita.
La fortuna di avere un padre ed una madre… la fortuna di avere una casa accogliente, con acqua, luce, gas... la fortuna di avere una macchina... di possedere dei vestiti integri e puliti... la fortuna di avere un’istruzione, la sola possibilità di studiare. E’ sconvolgente pensare a come, prima di partire, sottovalutassi l’importanza di tutto questo. Eppure basterebbero almeno queste “elementari” fortune a rendere un po’ meno difficile la vita di un bimbo africano!
Mi è bastato un incontro con gli street-boys... le lacrime di una mamma che piangeva il suo bambino ucciso dalla malaria... gli innocenti sguardi di tanti bambini con il destino segnato dall’AIDS...

[...] Quando c’è la visita alle mamme, le cose procedono con calma e tranquillità: controllo del loro peso, della pressione arteriosa, la visita, il controllo del battito cardiaco fetale, le vaccinazioni, il prelievo del sangue per le indagini di laboratorio, la consegna di alcuni farmaci, se necessario. Di solito in un giorno ne visitiamo una trentina.
[...] Molte delle donne che arrivano sono già alla seconda, terza, o quarta gravidanza e, in genere, hanno un’età compresa tra i 16 ed i 40 anni. Alcune hanno una gravidanza mediamente ogni anno, oppure un anno e mezzo, altre non ricordano con precisione la data dell’ultima mestruazione, o la data di nascita dei loro numerosi figli, altre sono sposate, o vivono con il padre del bimbo, altre sono giovani ragazze madri; la maggior parte non ha terminato il ciclo di studi e vive del lavoro dei campi. Esse arrivano al dispensario camminando sotto il sole cocente, verso il termine della gravidanza e, a volte, con un bimbo portato sulla schiena. Quando entrano mi sorprendo a guardarle e noto subito, da molti particolari, che la gente di questa zona è ancora più povera di quella di Chaaria. La maggior parte di loro arriva scalza, perché non può permettersi di comperare un paio di scarpe, o di ciabatte, oppure calza scarpe logore e consumate, o bucate. Apparentemente i vestiti che indossano sono dignitosi, di colori sgargianti... ma spesso sono ricuciti in più punti, o rattoppati... e nonostante tutto a nessuna manca il sorriso sulle labbra.

[..]... Io che a Chaaria pensavo di portare il mio contributo di giovane medico, ho invece trovato chi ha saputo insegnarmi, dimostrarmi, come la medicina possa essere un grande amore, dedizione agli altri, passione per la conoscenza...

AUTORI VARI




Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


Guarda il video....