giovedì 16 luglio 2009

Zipporah

L’ho rivista ieri dopo vari anni. Chiaramente e’ un po’ invecchiata, ma e’ sempre una bella donna: alta, slanciata e con l’occhio permanentemente triste.

Zippy ha una storia pesante alle spalle. Capita spesso cosi’: si e’ inamorata dell’uomo sbagliato che l’ha messa incinta e poi se ne e’ andato. Zippy si e’ quindi trovata senza lavoro, senza marito e con un pupo sulle spalle. Questo stato di cose e’ andato avanti per un po’, portandola anche ad esperienze poco edificanti, come quella di rubacchiare o di prostituirsi al fine di avere un po’ di soldi per mettere qualcosa sul tavolo per se’ e per la sua creatura.

Dopo alcuni anni di squallore, Zipporah si e’ nuovamente innamorata, e questa volta sembrava l’occasione buona. E’ nato il secondogenito, e le circostanze indicavano che ormai fosse sulla strada giusta: formarsi una famiglia come si deve, e magari uscire dal baratro di una miseria veramente allucinante.

Ci sono rimasto male ieri, quando l’ho vista seduta per terra, di fronte ad una lugubre stanza in affitto in uno slum non lontano dall’ospedale. Mi ha chiamato per salutarmi. Era sporca e stracciata; puzzava intensamente di sudore ed aveva uno strano colore rossastro dei capelli, segno di mesi di polvere in essi accumulata: attorno a lei si rincorrevano due bimbi, altrettanto malconci e lerci.

“Suppongo siano i tuoi figli… come passa il tempo! Sono davvero cresciuti…” Non riuscivo pero’ a levar lo guardo da loro: erano cosi’ stracciati, anche se onestamente non malnutriti. Attorno, il tanfo di slum era pungente, e, come al solito, inconfondibile: un misto di odor di fogna, di fumo, di discarica, e di frittura.

“Come mai vivi qui? E perche’ sei ridotta cosi’? Dovresti tenerti un po’ meglio: sei ancora giovane! Cosa dice tuo marito? E poi guarda i bambini!”

“Mio marito? Perche’, forse non lo sai? E’ veramente strano che tu non ne sia al corrente, in quanto a Chaaria siamo cosi’ pettegoli che si parla sempre degli altri e si gioisce soprattutto al vedere qualcuno soffrire. Anche il mio secondo uomo se ne e’ andato. Pure affittare questa camera e’ estremamente difficile, ma dove vado? Io non ho un pezzo di terra ed i miei genitori a casa sono vecchissimi. Lavoro qualche volta nel campo di qualcuno, ma mi danno ora 50 ora 100 scellini per giornata”.

“E’ molto triste per me vederti cosi’. Ti pensavo sistemata, ed invece guardati”.

“Life is adjustment, my dear doctor (la vita e’ adattarsi, mio caro dottore)… all’inizio volevo commettere suicidio; la mia testa era confusa ed il mio cervello piatto come l’olio… ma poi ho pensato ai miei bambini: che colpa ne hanno loro? Sarebbe stato un atto di egoismo per me andarmene e lasciarli qui a soffrire, magari in un orfanotrofio, o forse addirittura a fare gli accattoni per strada. Gli esseri umani sono creature flessibili, e sanno sempre riprendersi in tutte le situazioni”.

“Siete in tanti ad abitare in questi tuguri?”

“Qui vivono all’incirca 15 famiglie. Solo poche pero’ sono tali nel senso canonico del termine. Quasi tutte sono donne tradite nell’affetto e perdute per strada da mariti non disponibili a prendersi cura dei figli, ma sempre e solo alla ricerca dei piaceri della carne che ora forse stanno inseguendo affannosamente con donne piu’ giovani di noi. Io per fortuna sono sieronegativa, ma credo di essere una delle poche in questo quartiere… Gli uomini vanno in giro a prendersi il virus, e poi ci abbandonano dopo averci infettate. Caro brother, e’ difficile essere donne, ma tu questo non lo puoi capire perche’ sei un maschio e per di piu’ non sei nato sotto questi paralleli. Non ho piu’ voglia di piangere; forse ho finito la scorta di lacrime… qualche volta riesco persino a ridere e ad essere serena. Purtroppo spesso annego i dispiaceri nelle bevande alcooliche locali… Lo so che e’ sbagliato, ma sovente e’ veramente troppo dura quando soffro di solitudine, quando le pulci penetranti mi mangiano mentre dormo sul pavimento, quando sento ancora fame perche’ ho speso quello che avevo per i bambini ed io mi sono riempita la pancia solo con l’acqua contaminata che ho raccolto al fiume. Sono diventata un’ubriacona, ed anche una sprecona: ma certe volte ho bisogno di evadere, ed una sbronza e’ l’unica via di uscita: quando sono bevuta non mi ricordo neanche che i piccoli non hanno mangiato. Spesso stanno per strada dal mattino alla sera, ed io nemmeno me ne accorgo perche’ dormo tutto il giorno, sotto i fumi dell’alcool. Sono un rottame ormai; vorrei tanto un altro uomo, ma allo stesso tempo non ho troppa paura di un nuovo abbandono che forse davvero mi porterebbe alla pazzia totale”.

“Zipporah, preghero’ per te. Cerca di non bere. Appena posso, ti trovo un lavoro a tempo determinato nella nostra shamba e vediamo di raccimolare qualche soldino per dare una vita un po’ piu’ dignitosa a questi tuoi splendidi street boys; facciamolo prima che sia troppo tardi… non aspettiamo che siano rovinati dalla miraa, dal banghi e dalle altre porcherie spacciate dai baby-malviventi della strada. Domani passo a dirti qualcosa sul lavoro. Cerca pero’ di lavarti e di farti trovare decente se ti chiamo a lavorare”.



Fr Beppe



PS: 100 scellini sono 1 euro.

La miraa e’ un anfetaminico che e’ coltivato da queste parti e che viene masticato; il banghi e’ oppio, piantato in segreto e poi fumato come sigaretta o mescolato a bevande illegali.

La storia di Zipporah e’ reale; domani iniziera’ a lavorare nella nostra shamba, ma il suo nome e’ finto. Mi e’ sembrato doveroso per proteggere la sua privacy.




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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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