lunedì 7 dicembre 2009

Il nostro grazie all'Istituto Galvani di Reggio Emilia

Carissimi studenti, il ragazzo più grande si chiama Joseph Murithi. E' di famiglia molto povera, e frequenta una scuola della diocesi. Ora ci vede bene grazie ai preziosi occhiali che avete confezionato per lui.
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Il bimbo più piccolo si chiama Dominic Gitare. E' orfano di padre, e vive con la mamma. Frequenta la scuola parrocchiale di Kangeta. Anche lui ora non ha problemi a vedere quello che il maestro scrive alla lavagna... e questo lo deve a voi.
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Dio vi benedica e vi ricompensi.
Fr Beppe Gaido



GRAZIE DA PARTE DEL NOSTRO OCULISTA JOSEPH

Carissimo Prof Alessandro Corsini,
un grazie di cuore a lei che si e’ fatto promotore di tutti i doni di cui Chaaria ha beneficiato, al Lions club, alla Associazione Volontari Mission Cottolengo, a tutti gli studenti dell'Istituto Galvani. Ricevete la gratitudine di tutti quei malati che ora ci vedono con i vostri occhiali.
Anticipatamente esprimo la mia riconoscenza per il preziosissimo regalo della lampada a fessura che ora rende il nostro ambulatorio oculistico completo.
Abbiamo anche un altro sogno che forse presto si potrebbe concretizzare grazie all’apporto di altri amici: vorremmo operare i pazienti di cataratta direttamente a Chaaria. Sembra che il microscopio operatorio ci possa giungere per il gentile interessamento del Dott Giorgio Carbone, il quale dovrebbe anche coordinare l’arrivo di specialisti che opererebbero gratis, fornendoci pure le lenti da sostituire al cristallino dei pazienti. Speriamo che questo sogno diventi realta’. Siamo tutti un po’ come Martin Luther King: “We have a dream... and everyday we work for it to become true”.
Dio vi benedica.

Joseph Murithi

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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