mercoledì 2 dicembre 2009

"Nessun incontro è casuale"

Qualche tempo fa ho ricevuto in dono un libro sull’Afghanistan con questa dedica: “nessun incontro è casuale”.
Quello con Beppe è avvenuto in Etiopia al Congresso di Dermatologia sulle malattie tropicali.
Come giornalista mi sono sentita, a volte, fuori dai giochi di chi discuteva casi, terapie, farmaci. Ma da testimone, il mio mestiere, ho assistito ad un’eccezionale incontro di cervelli e sensibilità intorno al “problema” dei poveri. Cosa assai rara in occidente. Persone di estrazione e cultura diverse in profonda sintonia professionale ma soprattutto umana.
Lebbra, malaria, colera …da noi si pensano debellate. So bene che in gran parte del mondo sono ancora pane quotidiano. Che da quelle parti i medici si confrontano con esse sempre.
Beppe mi parla di Chaaria, del lavoro che si svolge là, dei volontari e mi viene una voglia irrefrenabile di vederla, di osservare come lavorano lui e i suoi. Lo invidio? Credo di sì. Per il coraggio, la perseveranza, il privilegio di occuparsi di cose importanti come la vita e la morte. Al suo rientro scrive: finalmente a casa! Al mio: è questa casa mia?
Sulla metro che mi porta al lavoro, pance scoperte e piercing, discorsi di chirurgia estetica e influenza A.
Alla stazione qualcuno ha dipinto un murales con esili figure africane che danzano.


Livia

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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