venerdì 25 dicembre 2009

Nostalgia kenyota

Caro Beppe, volevo ringraziare tutti coloro che tengono vivo questo splendido cordone ombelicale che è il chaariahospital.blogspot.com, indispensabile, se non essenziale per tutti coloro che ritornano a casa dopo una splendida esperienza vIssuta con voi a Chaaria.
Non è facile riadattarsi al mondo civilizzato, specialmente in un momento come questo di feste e frenesie, pensando a quello che hai lasciato. I dubbi si insinuano, le certezze barcollano, tutto viene messo in discussione da ciò che è stato, da ciò che si è visto.Leggere i tuoi scritti ogni sera o la mattina presto è come vedere i vostri volti, sentire le vostre voci, avere  l'illusione di essere li con voi di far parte ancora per un giorno della vostra  comunità. Si, perchè di comunità si tratta come giustamente hai scritto qualche giorno fa...noi tutti ci siamo sentiti partecipi di questa vostra missione dando una briciola di noi stessi.I n cambio abbiamo ricevuto una grande lezione di vita da tutti voi, da tutte quelle persone che si adoperano perchè il chaaria hospital possa funzionare al meglio. Un mondo di aiuto che lavora 24 ore su 24, volti di persone che a qualsiasi ora della notte continuano a lavorare perchè tutto funzIoni al meglio e tutto sia pronto. Mi vengono a mente gli zoccoli della sala operatoria lavati e stesi a riposare nel lavatoio, le lenzuola stese ad asciugare durante la notte, le ragazze della notte che vegliano su tutto e tutti mai ferme sempre a lavorare con una mano sulla scopa e l'altra sul wolki tolki a chamare te o Pinuccia per qualsiasi inconveniente. E sì, sarebbe stata troppo dura se non ci fosse stato questo splendido blog ad ammortizzare il colpo. Ancora grazie a tutti voi che lavorate per questa grande missione, c'è chi la chiama utopia ma per me è stata una splendida realtà. Buon Natale a tutti voi.

 
Luca


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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