domenica 19 settembre 2010

Claire è andata via...



Siamo stati con lei sin dalla nascita, ma oggi ci ha lasciati.
E’ venuta la sua nonna ed ha deciso che sarebbe stato meglio per Claire vivere con lei, piuttosto che in orfanotrofio.
La nonna ci e’ sembrata una persona seria. Abbiamo fatto indagini tramite la diocesi e ci siamo convinti che la nonna era sincera.
Per cui Claire adesso ha di nuovo un nucleo familiare ed una casa.
L’abbiamo salutata con il solito miscuglio di nostalgia e di gioia per il fatto che a casa stara’ pur sempre meglio che in Istituto.
La nonna ci ha promesso che ce la portera’ di tanto in tanto e che rimarremo in contatto.
E cosi’... per la prima volta dopo 10 anni il nostro piccolo orfanotrofio e’ vuoto.
Possiamo dire che lo abbiamo chiuso; che si tratta di una esperienza superata che ha fatto il suo tempo, ed ha ora raggiunto il tempo del tramonto?
O e’ solo un momento particolare... una pausa che puo’ diventare il preludio per una riapertura con caratteristiche piu’ adeguate?
Onestamente al momento non ci e’ chiaro come la cosa evolvera’ in futuro.
Ci sono state alcune tendenze, alcune sensazioni ed alcune richieste governative che ci hanno portati nella direzione di chiudere... almeno temporaneamente.


1)  Prima di tutto la cronica carenza di spazi idonei. Dapprima gli orfani stavano nel reparto di pediatria; quindi sono stati spostati nel “general ward”, e da ultimo nella “nursery”. Ma nessuna di tali collocazioni e’ mai stata adeguata. Mettere i bambini in un reparto ospedaliero li ha certamente rafforzati con anticorpi agguerriti come leoni... ma li ha anche sottoposti a grossi rischi di infezioni ospedaliere varie. Tenere gli orfani nella nursery ha invece esposto i “nati pretermine” ed i “sottopeso” delle incubatrici a stress infettivologici sproporzionati data la loro gracilita’ e l’immaturita’ del loro sistema immunitario. Ci siamo sempre detti che ci sarebbe voluta una sistemazione alternativa, ma non siamo ancora riusciti a trovarla. Anche la lavanderia, dove i bimbi trascorrevano gran parte della giornata, non e’ certo mai stata l’ubicazione migliore per il loro svezzamento e per i primi passi a quattro zampe.
2) Una commissione governativa ultimamente ci ha richiesto di separare completamente la “nursery”, dove teniamo le incubatrici, dall’ambiente per gli orfani... comprendiamo appieno la legittimita’ di tale richiesta, ma la nuova collocazione non l’abbiamo ancora identificata. Per cui al presente pensiamo ad una risistemazione dell’ambiente incubatrici... e per gli orfani preghiamo che Dio ci illumini sulla Sua volonta’ in tale settore.
3)  Onestamente anche la mancanza di una suora dedicata a tempo pieno per tale servizio, ora completamente lasciato nelle mani di una laica, ci ha fatto sospettare che il livello di amore caritatevole offerto agli orfani sia pian piano calato al di sotto dei livelli minimi accettabili per una struttura missionaria. Non che la signora non volesse bene ai bimbi, ma il problema si riproponeva tutte le sere: chi li guarda di notte? Le signore delle pulizie? Ma devono pulire! E se ci sono tanti parti e tanta roba da sterilizzare, avranno ancora il tempo di accudirli sempre con la cura necessaria?


So che questa decisione fara’ soffrire molti, ed e’ una scelta che ha fatto sanguinare anche il mio cuore.
Ma qualche volta bisogna accettare di darci dei limiti, di ristrutturare i nostri servizi, quando vediamo che non ce la facciamo e corriamo il rischio di fare tante cose, ma di farle tutte male.
Il bisogno c’e’ ancora, soprattutto per i piccolissimi da 0 a 6-8 mesi. Non voglio nascondermi dietro la solita scusa che un servizio e’ stato superato perche’ il bisogno non sussisteva piu’.
Sarebbe una menzogna. Di necessita’ ce ne sono un sacco, ma onestamente ho riflettuto e pregato... ed ho quindi deciso che un servizio raffazzonato in cui non diamo il meglio ed in cui addirittura corriamo il pericolo di far del male ai bambini (vuoi per mancanza di formazione professionale, vuoi per carenza di forza lavoro o di strutture edilizie) non e’ degno del Cottolengo che vuole sempre offrire il meglio alle persone che assistiamo, dal momento che “esse sono Gesu’”.
Preghiamo insieme, e continuamo a ripetere con Martin Luther King: “we have a dream”... il sogno che il servizio appena superato, universalmente noto tra i volontari come “gli orfani di Sr Oliva”, possa presto ripartire con premesse migliori.
Padre Buschini, gesuita che tanta parte ha avuto nella mia formazione religiosa iniziale, mi diceva spesso: “ se siamo soli a sognare, i nostri sogni rimangono sogni... ma se siamo in molti a sognare, allora abbiamo la fondata speranza che il sogno possa diventare realta’”.


Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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