Mai come, quando si sta a Chaaria,
si capisce quanto dovessero essere disperati gli abitanti di Babilonia quando
il castigo Divino li privo’ della lingua comune e non poterono piu’ capirsi.
Molto ma molto piu’ in piccolo
anche a Chaaria si vivono queste situazioni.
In questo momento ci sono volontari
dall’Italia, dalla Polonia, dagli Stati Uniti, un Italiano che vive e lavora
nella Svizzera Francese, una volontaria nata in Inghilterra, vissuta in Francia
ed anch’essa attualmente in Svizzera. Fin qui va tutto bene: con un Inglese
piu’ o meno fluente e con l’aiuto reciproco ci si intende.
Il difficile comincia in Ospedale:
la maggior parte dei ricoverati non parla Inglese, ma Kiswahili (lingua
nazionale) o Kimeru (la lingua locale). Ovviamente i due idiomi sono del tutto
diversi tra loro e solo chi e’ stato a scuola li parla entrambi. A questo punto,
per comunicare con i malati, i volontari devono ricorrere alla traduzione degli
infermieri o dei clinical officer.
Ma qualcuno di loro non e’ della
zona, quindi parla solo Kiswahili e non il Kimeru: il tuo traduttore deve
allora cercarsi un secondo traduttore che aiuti lui o lei che sta aiutando te.
Ricordate il gioco che si faceva da
bambini, sussurrando all’orecchio del vicino qualche parola che doveva passare
al successivo e cosi via: in fondo alla fila dei bimbi spesso arrivavano parole
del tutto diverse o incomprensibili; mi sembra si chiamasse telefono senza
fili.
Fosse finita qui. Ogni giorno
vengono ricoverate persone che arrivano dal Nord, Turkana, Rengilla, ed altre
tribu’. Ognuna parla la sua lingua non conosce Inglese, Kiswahili, Kimeru, ma
non conosce neanche il linguaggio della tribu’ del nord che no siano la sua. In
questo periodo abbiamo diverse persone in reparto con le quali si usa solo il
linguaggio dei gesti: loro mi dicono qualche cosa, io alzo le spalle ed alzo le
mani in su; sono pero’ un poco perplesso perche’anche i gesti non sono sempre
internazionali. Anche semplicissimi messaggi tipo “bevi tanta acqua” “ alzati e
non stare tanto a letto” sono difficili da trasmettere.
Ogni tanto qualche ricoverato che
parlucchia un po’ di Kiswahili si offre come traduttore: immaginatevi la
catena, da una persona analfabeta che parla con una semianalfabeta che traduce
in una lingua che non padroneggia appieno…..noi tutti speriamo veramente che la
Provvidenza non si distragga mai.
Certo sarebbe bello e romantico
dire che con il linguaggio
dell’amore ci si capisce sempre, ma quando bisogna decidere su una terapia o su
un intervento chirurgico, una certa sensazione di disagio ti coglie. E’ uno dei tanti aspetti della
complessita’ di Chaaria, di quella complessita’ che ti fa dire “ma perche’ sono
venuto a cacciarmi in tutti questi problemi” ma ti fa concludere “ in ogni caso
ci torno”.
Max Albano
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