martedì 19 giugno 2012

Una prostata alla settimana

Da quando Pietro e’ tornato in Italia abbiamo cercato di non lasciare le prostatectomie, anche se la tentazione sarebbe grande.
La richiesta pero’ e’ altissima, soprattutto perche’ nei due altri ospedale dove l’intervento viene eseguito nel Meru, i prezzi sono davvero inavvicinabili. Il che vuol dire che molti vecchietti sono condannati al catetere vescicale o sovrapubico a vita.
Ecco perche’ desidero continuare con tale intervento, anche se la paura non mi passa!
E’ infatti sempre un’operazione molto ansiogena, sia in sala che nel post-operatorio.
Ecco perche’ normalmente cerco di dare gli appuntamenti ai pazienti a circa sei giorni l’uno dall’altro: in pratica facciamo il prossimo intervento il giorno in cui chiudiamo il lavaggio continuo al precedente, in modo da averne solo uno da seguire.
Il lavaggio continuo si blocca; si formano coaguli... certo per sei giorni si rimane con il fiato sospeso. Poi in genere ci si rilassa un po’, pur nella consapevolezza che una nuova emorragia e’ possibile alla rimozione del catetere a motivo della caduta dell’escara.
Inoltre sono pazienti anziani che possono sviluppare un sacco di problematiche. Molti vanno fuori di testa per alcuni giorni dopo la spinale... anche se questo normalmente recede spontaneamente e completamente. Altri sono anche ipertesi o diabetici.
Non si tratta quindi di un’operazione facile, dal giorno del ricovero a quello della dimissione.
Il paziente che abbiamo prostatectomizzato oggi in piu’ era anche sieropositivo, cosa che ha aggiunto qualche tensione ad un intervento gia’ di per se’ colmo di preoccupazione... ma fortunatamente nessuno si e’ fatto male e la prostata si e’ snocciolata senza problemi.

Fr Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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