“Habari yako, Padre”, mi dice una voce dall’interno, prima
ancora che io possa vedere la persona.
“Nzuri sana” – rispondo – senza scorgere la mia
interlocutrice.
“Volevamo solo portarti i nostri saluti e anche un qualche
aiuto da Chaaria. Sappiamo che hai dei problemi finanziari, mentre noi abbiamo
delle persone che vorrebbero aiutarti. Non so se riusciremo a costruirti una
casa nuova, ma per ora potremmo pensare a pagare la scuola per tuo figlio”.
“ Non ho parole per ringraziarvi. Io sono vedova e mio
figlio ha bisogno veramente di tutto.
Lavoro la terra, ma non è facile tirare avanti”.
“Come fai a dormire in questa catapecchia, su un pendio così
estremo? Non hai paura che le piogge ti portino via?”
“No che non ho paura. Io in questa casa ci sono nata. Poi ci
sono gli alberi, ed i nostri antenati ci hanno insegnato che finchè non li
tagliamo, loro ci proteggeranno con le loro radici. Essere in un posto così
difficile da raggiungere ci protegge anche dai malviventi”.
“Come ti chiami?”
“Karimi”.
“Che bel nome. Ti si addice proprio. Infatti vuol dire
contadina, e vedo che stai cercando di ricavare quanto più possibile da questa
terra non facile”.
Vicino a Karimi c’è un bambino con abiti logori, senza
scarpe e con lo sguardo maturo ed un po’ serio. Non ha altri giocattoli che un
cerchione di bicicletta, tutto arrugginito. Lo fa girare e lo rincorre per il
cortiletto. “E lui come si chiama?”. “Lui è il mio primogenito, si chiama Mutethia – mi dice – ed è molto
volenteroso. Mi aiuta tanto, soprattutto da quando è morto suo papà”.
“Povero piccolo – penso tra me e me - in questa casa senza
pavimento, senza acqua corrente e senza elettricità deve essere proprio dura
alla sua età.
“Dio ti benedica, Karimi. Ti manderò i soldi promessi ed un
bel po’ di vestiario tramite il parroco. Vedrai che anche Mutethia sarà
elegantissimo”.
Mentre risaliamo la ripida pendice, io ripenso alle nostre
case sontuose in Italia, agli infiniti giocattoli per i nostri bambini, allo
spreco che a volte caratterizza la nostra società. Poi ripenso a Karimi e a suo
figlio. A come deve essere per lei la notte in quella capanna illuminata solo
dalla fioca luce di una lampada a petrolio. Karimi mi sembra una donna
fortissima, coriacea, e la ammiro dal profondo dei miei visceri.
Ripenso anche alla mia bella camera a Chaaria e a tutte le
mie comodità. Poi dico a me stesso: “ Noi facciamo il voto di povertà, ma sono
altri a viverlo in maniera drammatica. Quando vedo situazioni come questa mi
vergogno di essere religioso, e di vivere in condizioni di vita così tanto
superiori a quelle di coloro che stanno male davvero.
Karimi è veramente beata agli occhi di Dio, perchè, nella
sua serenità, vive la povertà evangelica in un modo che mi lascia a bocca
aperta.
Fr Beppe Gaido
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