venerdì 15 febbraio 2013

La mia seconda volta a chaaria

Caro Beppe,
eccomi qui, dopo 23gg  di servizio, mi preparo a lasciare Chaaria .
L’anno scorso, alla mia prima volta ero completamente paralizzata dalle mille emozioni che mi avevano accompagnato nelle due settimane di servizio tanto che, io che sono una chiacchierona, mi trovavo totalmente incapace di spiccicare una sola parola durante la cena di commiato con i fratelli.
Già durante le mie prime due settimane dello scorso anno avevo compreso come potesse essere facile creare dei problemi alla comunità di Chaaria pur se animati dalle migliori intenzioni.
A tale proposito volevo infatti condividere con chi si appresta a recarsi a Chaaria una piccolissima, ma, significativa esperienza che ho poi utilizzato come “stella polare” per essere guidata e comprendere meglio  le “cose da non fare” da volontaria .
L’anno scorso, ci fu bisogno di fare effettuare un esame TC dell’addome ad una bimba di tre anni. In quella circostanza, io e il mio collega chirurgo, scoprimmo che la TC costava l’equivalente di circa 90 euro ovvero molto più che in Italia, in un paese come il Kenya con stipendi neanche paragonabili ai nostri. 


 
Ovviamente, animati dalle migliori intenzioni, ci recammo da Fr. Giancarlo offrendoci di pagare il conto della TC per la bambina.
Fr. Giancarlo, con molta pazienza, ci spiegò che il pagare in toto l’esame, avrebbe potuto creare dei problemi di gestione in futuro e quindi ci spiegò che avrebbe comunque fatto pagare una quota della TC alla famiglia della bambina dicendo che avevano ottenuto uno sconto e il resto l’avremmo pagato noi. Questo perché, come ci spiegò Fr. Giancarlo, chi si avvicina all’ospedale di Chaaria è spesso davvero povero e quindi il diffondere e alimentare la speranza delle persone “che il conto lo pagano i bianchi”, avrebbe potuto creare dei seri problemi alla comunità in futuro, nella quotidianità del loro lavoro e in momenti in cui non ci fossero stati volontari o volontari disponibili a saldare eventuali conti.
E già perchè noi volontari andiamo e veniamo, chi gestisce Chaaria è sempre lì.
Da questa piccola esperienza, compresi che basta davvero pochissimo a creare dei problemi specie quando ci si inserisce in dinamiche che non si conoscono e si cerca di trasportare in toto la nostra cultura europea ancorchè animati da buoni sentimenti e buone intenzioni.
Quest’anno è stato un periodo convulso, legato allo sciopero che imperversa ormai da novembre e che comporta una pletora di pazienti che non trovando asilo in ospedali governativi e non potendo pagare un ospedale privato, si recano a Chaaria dove davvero NESSUNO viene rifiutato quale che sia la sua condizione.
Il personale è veramente oberato, giorno e notte, sabato e domenica inclusi e spesso non si fa davvero in tempo a fare tutto come si vorrebbe.
Ed ecco allora che può emergere il perfezionismo europeo, quella strisciante arroganza che può far dire “da noi si farebbe così” oppure “questa cosa andrebbe fatta meglio” e allora anziché concentrarsi su tutto l’impossibile che si fa a Chaaria con i pochi mezzi disponibili, può capitare di concentrarsi su quello che non si fa senza pensare che quella medicazione non fatta quotidianamente perché il giorno hai avuto trenta ricoveri, si potrà fare domani, magari per prima per non rischiare di saltarla ancora, ma davvero il personale fa l’impossibile per stare dietro alle continue emergenze e comunque le persone ricoverate a Chaaria hanno un’assistenza che non avrebbero trovato altrove.
Non si capisce poi perché noi europei, ci adattiamo benissimo alla realtà africana, “africanizzandoci” per le cose che sappiamo essere ben diverse dall’Europa come per esempio non lavarsi i denti con l’acqua corrente, perché non potabile, mentre poi diventa difficile capire che non possiamo “teletrasportare” tout court  quelli che sono i nostri standard che spesso vorremmo invece imporre nella realtà africana.
La mia personale convinzione è che bisognerebbe, mutuando ciò che avviene in medicina con la tailored terapia, ovvero la terapia cucita sul paziente , cucirsi intorno a Chaaria e non aspettarsi che Chaaria si cucia intorno a noi, rispettare i tempi e modi dell’organizzazione del lavoro per essere utili e non d’intralcio, proprio perché noi volontari andiamo e veniamo ed è impensabile adattare un sistema consolidato alle nostre abitudini ed esigenze dei brevi periodi che trascorriamo a Chaaria.
E’ indubbiamente una grande fatica, soprattutto le prime volte, perché spesso prima di capire come funziona il sistema, è già finito il periodo di servizio, però la continuità nel tempo con successive esperienze a Chaaria, senz’altro consentirà, in futuro di inserirsi più velocemente.
Altro aspetto che mi preme sottolineare è la grande ospitalità che la comunità di Chaaria ci offre con i Fratelli che ci aprono le porte della loro casa,  ospitandoci, e condividendo con noi il loro tempo, benchè oberati dalla gestione quotidiana  della vita comunitaria,  e  che spesso devono anche confrontarsi con le persone più diverse, che affrontano magari anche difficoltà legate alla permanenza a  Chaaria e alla sua realtà così dura  e lo fanno con grazia e attenzione.
Credo che sia davvero da sottolineare come senza lamentarsi e senza farlo pesare siano attenti alle esigenze dei volontari e si facciano in quattro per rispondere, instancabili e infaticabili al benessere di chi presta servizio a Chaaria, e poco dovrebbe importare, almeno a mio parere, se qualche volta da esseri umani quali anch’essi sono, a causa di stanchezza e preoccupazione possano non essere al top e non essere sempre sorridenti.
Per quanto mi riguarda, spero, anche per il futuro di non dimenticare mai di essere un ospite della comunità, per quanto gradito, ma pur sempre un ospite che sappia comunque rispettare lo status e la condizione di ospite rispettoso che entra in punta di piedi e allo stesso modo esce dalla casa in cui è stato ospitato.
Grazie Fratelli del grande lavoro che fate e che ci permette di poter attivamente partecipare a questa meravigliosa realtà che è Chaaria, spero davvero che possiate mantenere la forza e la determinazione di portare avanti il vostro progetto per il bene di tantissime persone per le quali siete ormai un vero punto di riferimento.

Laura Canu




Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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