domenica 31 marzo 2013

All'alba di Pasqua


Sono stato chiamato in ospedale dalle 5.30 di stamane per una brutta storia.
E’ stata dura alzarmi perche’ ero andato a letto a mezzanotte a motivo del generatore che in questi giorni (e in queste notti) e’ quasi costantemente all’opera.
Una donna con due pregressi cesarei era in travaglio avanzato, ma rifiutava veementemente il cesareo per la sua gravidanza a termine.
La discussione e’ stata lunghissima, ma non c’e’ stato verso.
“A voi di Chaaria piace tagliare la pancia della gente”.
Mandarla via non potevo perche’ il bambino stava per nascere.
Dal canale del parto fuoriusciva un liquido verde molto denso che non faceva presumere niente di buono. 


  


Il battito cardiaco fetale c’era, ma era debole e lento.
Ho fatto un ultimo tentativo di convinzione, ma a quel punto il marito e’ diventato aggressivo ed ha ripetuto che assolutamente non potevo operare sua moglie.
Il risultato di tale scelta miope e pericolosa e’ stato che questa coppia ora andra’ a casa senza quel bambino che hanno atteso per nove mesi, in quanto il parto e’ stato difficilissimo ed il feto e’ nato morto.
L’altra complicazione e’ stata il fatto che il secondamento non e’ avvenuto naturalmente, per cui e’ stato necessario procedere ad anestesia ed a rimozione manuale della placenta.
Fortunatamente tale procedura mi ha permesso di analizzare con cura le condizioni dell’utero e di appurare che non c’era rottura.
Se fosse successo anche questo, sarebbe stato il disastro totale, ed avremmo rischiato di perdere pure la mamma insieme al bambino.
“Quanto e’ pericolosa l’ignoranza arrogante!” pensavo in cuor mio mentre ritornavo verso la comunita’ alle 6.30.
Pero’ l’alba di fronte a me era bellissima e mi ha ricordato che oggi e’ Pasqua: Cristo, luce del mondo, ha vinto le tenebre e la morte.
Devo cercare di non lasciarmi scoraggiare anche di fronte alla morte innocente dei bimbi.
Pasqua ci ricorda che la morte non avra’ l’ultima parola.

Fr Beppe Gaido 



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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