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E’ Venerdi’ Santo e dall’ambulatorio
mi presentano una ragazza con diagnosi di emorragia anteparto.
La visita mi indica un’eta’
gestazionale di circa 24 settimane. Faccio l’eco e mi accorgo che il feto
purtroppo e’ morto, il liquido amniotico e’ completamente assente, e tra il bimbo e la cervice c’e’ una
massa che potrebbe sembrare una placenta previa di terzo grado.
La donna sanguina
profusamente, e presenta inoltre una cicatrice da pregresso cesareo.
La situazione e’ critica
e mi pone davanti ad una decisione estrema da prendere il piu’ presto
possibile: la placenta previa e’ infatti una controindicazione al parto; il
raschiamento non e’ proponibile perche’ l’eta’ gestazionale e’ troppo avanzata,
ed il pregresso cesareo controindica l’uso dell’ossitocina.
Anche se a malincuore, il
cesareo e’ l’unica opzione: se non interveniamo chirurgicamente infatti la
nostra paziente potrebbe morire dissanguata.
Parliamo con la donna e
le spieghiamo la situazione.
Putroppo dovra’ avere una
seconda cicatrice uterina, pur non attendendosi un bambino vivo.
Con mia sorpresa, lei pero’
accetta senza esitazione.
Entriamo in sala e ci
prepariamo all’operazione che, essendo praticata per un feto morto, si chiama
uterotomia e non cesareo.
Appena aperto il
peritoneo, troviamo moltissimo sangue in cavita’ e, con mia grande sorpresa, il
feto fluttua tra le anse intestinali.
“Si tratta di rottura
d’utero. Come e’ possibile che cio’ avvenga a 6 mesi di eta’ gestazionale?”
La mamma non e’
addormetnata ma sotto anestesia spinale, e quindi mi rivolgo a lei
direttamente: “hai fatto qualcosa per abortire?”
Lei non tradisce emozioni
e mi conferma di essersi rivolta ad una fattucchiera che ha inserito un
bastoncino in vagina.
“Quella persona ti fa
fatto del male. Durante quella pratica poco ortodossa deve aver puntato sulla
cicatrice uterina, causando una breccia da cui poi il bambino e’ fuoriuscito ed
e’ morto. Stai sanguinando tanto e l’utero e’ difficilissimo da riparare”.
Lei non risponde, non so
se per paura o per senso di colpa.
Con una certa difficolta’
riesco pero’ a riparare l’organo,
dopo aver estratto bimbo e placenta.
La mamma ora sta bene, ma
le conseguenze del suo atto sono pesanti. Dovra’ cercare di non rimanere
incinta per almeno due anni, e certamente due pregresse cicatrici sull’utero la
esporranno ad elevati rischi di rottura, durante la prossima gravidanza e travaglio.
L’indomani e’ Sabato Santo,
ma la gente afferisce normalmente al nostro ospedale.
Mi chiedono consulenza
per una giovane donna che apparentemente ha una minaccia d’aborto. L’accolgo
con partecipazione al suo problema, e raccolgo un po’ di storia clinica: mi
dice che le contrazioni ed il sanguinamento sono iniziati improvvisamente ed
apparentemente senza una causa precisa. Mi comunica di essere molto afflitta
per i pericoli che la sua gravidanza sta correndo. Le chiedo la data
dell’ultima mestruazione, da cui calcolo un’eta’ gestazionale di circa 12
settimane. L’ecografia pero’ smentisce la donna e dimostra un prodotto di concepimento
di almeno 20 settimane: il battito cardiaco e’ presente anche se irregolare e
lentissimo; purtroppo il liquido amniotico e’ quasi del tutto scomparso. Mi
stringo nelle spalle e non sono sicuro di riuscire a salvare il bambino per cui
questa mamma sta piangendo.
Visitando la donna, mi
rendo conto che ha anche febbre alta. Il termometro conferma una temperatura di
39.
Mi accingo quindi ad una
visita ginecologica per rendermi conto della dilatazione cervicale.
Con orrore e sorpresa
grande, trovo il solito ramo di cassava inserito in cervice. Lo estraggo e lo
faccio vedere alla mamma: “perche’ fai finta di piangere, quando tu stessa hai
provocato questo aborto?”
La paziente non tenta di
negare l’evidenza, ma non vuole spiegarmi le ragioni per cui l’ha fatto.
Siccome il battito
cardiaco e’ presente e la malata ha febbre, decidiamo per una terapia
conservatica: antibiotici per una possibile infezione puerperale, e farmaci
tocolitici per bloccare le contrazioni e sperare che il feto si ripenda,
permettendo alla gravidanza di arrivare a termine.
Con nostro disappunto
pero’, nonostante le medicine, l’aborto avviene poche ore dopo. Il bimbo muore
quasi subito dopo la nascita. La placenta e’ ritenuta, la malata sanguina
profusamente ed ha febbre alle stelle.
Procediamo quindi a
rimozione placentare mediante revisione della cavita’ uterina e pianifichiamo
una trasfusione di sangue.
Naturalmente non condanno
e non giudico nessuno, anche se in entrambi i casi mi sono sentito un po’
tradito dalle mie pazienti che non mi hanno detto la verita’. Rompere il patto
di sincerita’ tra medico e paziente sempre espone quest’ultimo a gravissimi
rischi.
Rimango inoltre convinto
che uccidere un bimbo in utero e’ un peccato. Quando poi te lo vedi davanti
completamente formato ed ancora capace di dare gli ultimi respiri, la
concezione che sia stato ucciso e’ davvero evidente.
I due esempi che vi ho
descritto danno poi anche un’idea di quanto pericoloso sia per le madri
rivolgersi a delle fattucchiere che praticano aborti clandestini, senza la
minima conoscenza dell’igiene e dell’anatomia. La donna puo’ andare incontro
alla morte per anemizzazione, per setticemia o per rottura d’utero.
Infinite sono poi le
complicazioni a lungo termine: quante donne mature sto ora seguendo per infertilita’,
dopo che da giovani si sono sottoposte a pratiche abortive che hanno causato
infezioni genitali e blocco delle tube. Quando erano giovani non ci pensavano,
e per loro contava solo liberarsi della gravidanza non voluta; ora che sono
donne sposate piangono lacrime amare perche’ non riescono a dare un figlio al
marito.
Papa Francesco ci dice
che Dio non si stanca mai di perdonare, e di questo sono profondamente
convinto; ma sempre mi ritornano in mente le parole di un mio amico, morto di
AIDS tanti anni fa dopo “una caduta” con una prostituta: “ricordati, Beppe, che
Dio perdona sempre, ma la Natura non sempre lo fa!”
Fr Beppe
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