Che bella la notte anche stasera. Sembra giorno. La luce lunare e’ cosi’
intensa che vedo la mia ombra e potrei quasi leggere un libro. Non si scorgono
le stelle perche’ il bagliore che emana da quel disco cosi’ affascinante e’
troppo forte. Cammino pian piano lungo il muro esterno dei “Buoni Figli”. Il
mio sguardo si perde verso la shamba: da questa posizione sembra di essere in
una foresta dove alberi di papaya e di banana si rincorrono.
Pare di trovarsi
in mezzo al nulla: nessuna illuminazione artificiale, non rumore di automezzi o
di attivita’ industriale. Invece il sibilo acuto dei grilli e’ fortissimo,
mentre da lontano si ode il gracchiare della rane, che normalmente sguazzano
nelle acque stagnanti del piccolo ruscello che ci separa da Chaaria Market. Sto
andando verso l’ospedale con la schiena rotta, perche’ oggi il lunedi’ e’ stato
molto pesante. Mi incuriosisce l’abbaiare furioso dei nostri cani, e mi dirigo
verso il cancello principale. C’e’ moltissima gente fuori, ed il clima e’ teso.
Parlano in un kimeru strano con inflessione Tigania e non capisco nulla. Cerco
i watchmen, ma al momento non vedo nessuno in cortile. Mi avvio verso la sala
d’attesa e subito il mio sguardo viene attratto da varie strisce di sangue sul
pavimento. Le seguo, e penso che mi condurranno verso la sala parto... ma mi
sbaglio: infatti mi portano direttamente alla room 8, dove entro con
circospezione pensando ad un aborto o ad una forte epistassi.
Invece sulla barella vedo un giovane sulla ventina con varie ferite sulle
braccia e sulle coscie. Il sangue scorre abbondante ed il ragazzo e’
terrorizzato. Chiedo immediatamente notizie sull’accaduto, e mi dicono che si
e’ trattato di un pazzo che ha accoltellato il malcapitato senza alcuna ragione
e senza provocazione. E’ successo poco dopo le 20 sulla strada, a meno di 4 km
dall’ospedale. I parenti mi dicono che il crimine e’ stato compiuto da un loro
vicino di casa che fuma costantemente “bangh”, cioe’ una droga locale che penso
non sia altro che uno dei tanti allucinogeni sul mercato. Mi confidano anche
che il malfattore e’ stato catturato e che ora si trova in cella a Giaki.
Quanti casi come questo! A volte fa veramente paura dover uscire dopo il
tramonto! Ho un breve flash back, e ricordo che mercoledi’ scorso ho percorso
la stessa strada dopo le ore 21, al ritorno da un corso di formazione a Meru.
Per fortuna non avevo incontrato nessuno sul mio percorso!
Ora non ci devo pensare perche’ il paziente perde sangue. Non lo conosco e
non ho notizie circa il suo stato HIV. Il laboratorio funziona solo per
emergenze a quest’ora: decido quindi di agire prendendo tutte le precauzioni
possibili, ma rinunciando al desiderio di un test prima dell’intervento.
Ci sono alcune arterie che perdono abbondantemente, ma non e’ difficile
clamparle. Con attenzione esamino i movimenti sia della mano che della gamba e
con gioia posso dire al paziente di stare tranquillo, perche’ i tendini non
sono stati interessati dalla ferita penetrante. Procedo quindi alla sutura,
assistito da James ed Antony. Il lavoro scorre senza problemi, e finiamo
abbastanza in fretta.
Quando ormai sto mettendo il bendaggio e rassicuro il paziente sul fatto
che non avra’ alcun problema residuo sul movimento e sulla funzionalita’ degli
arti, egli mi chiede a bruciapelo: “potrei essermi preso l’AIDS da questo
assalto?”.
“Perche’ mi chiedi questo?”, gli rispondo sorpreso.
“Se e’ un fuori-di-testa, potrebbe aver malmenato qualcun altro appena
prima, ed io potrei essere stato ferito da una lama ancora sporca di sangue fresco”.
“la cosa e’ tecnicamente possibile - gli rispondo io – anche se onestamente
molto improbabile, in quanto il virus non soppravvive piu’ di 20 minuti al di
fuori dell’organismo umano”.
“E allora come faccio ad esserne sicuro?”, incalza ancora.
Io pero’ decido di attenermi ai protocolli internazionali. Siccome non ci
sono altre denunce di ferite da pugnale nel circondario per il giorno corrente,
rassicuro nuovamente il paziente e non gli propongo alcuna profilassi HIV. Gli
do un po’ di valium, insieme agli antidolorifici, agli antibiotici e al
richiamo antitetanico, sperando che, dopo una notte tranquilla, la sua mente si
liberi dal fantasma dell’HIV.
Capisco comunque che deve essere una esperienza psicologicamente devastante
quella di essere attaccato con un coltello da uno sconosciuto che appare di
colpo dalle tenebre che ti circondano.
Il fatto capitato questa sera e’ certamente dovuto al grande abuso di
sostanze piu’ o meno stupefacenti nei dintorni di Chaaria. Questo e’ un campo
in cui certo dovremo pensare di far qualcosa in futuro: convincere i giovani a
non farsi friggere il cervello da droghe o bevande locali, che spesso creano
danni irreversibili.
E’ ancora fresca nella mia memoria la storia di Stephen che e’ diventato
cieco e paralizzato dopo aver bevuto birra tradizionale che conteneva metanolo.
Era ricoverato da noi per riabilitazione, ma non ce l’ha fatta a superare lo
shock psicologico, e pian piano si e’ spento come una candela, probabilmente
ucciso non dall’intossicazione, ma dalla depressione che la sua situazione gli
aveva creato.
Dobbiamo veramente provare ad agire con opere di sensibilizzazione e con
momenti di formazione, al fine di porre un argine alla silente epidemia delle
tossicodipendeze, che qui sono diverse dall’ Italia, ma i cui effetti sono
devastanti allo stesso modo.
Ora pero’ sono assonnato e saluto gli infermieri, chiedendo loro di non
chiamarmi durante la notte, in quanto sono troppo stanco. So comunque che e’
una battuta ironica, perche’ le urgenze non dipendono certo da loro!
Mentre cammino verso la comunita’ e passo con il fiato sospeso tra le
papaye, guardando la luna piena che ancora troneggia nel cielo, purtroppo sento
il gracchiare del cicalino che nuovamente si mette a protestare. “Pronto, qual
e’ il problema adesso? Ero li’ 5 minuti fa, ed era tutto tranquillo!”.
“ Sorry, doctor – mi dice il timido James – ma qui abbiamo un caso di
avvelenamento. Vieni ad impostare la terapia per piacere, mentre noi iniziamo
la lavanda gastrica”.
Faccio dietrofront e mi dirigo all’outpatients trascinando i piedi. La room
9 esala un puzzo insopportabile di colla: e’ evidente che si tratta di un
erbicida, uno di quelli che si usano per le coltivazioni di tabacco o di
cotone. Sulla barella una ragazza giovanissima. Mi dicono che ha 16 anni. In
piedi davanti a lei due genitori anziani e dai vestiti stracciati che la
guardano con disperazione. La giovane e’ in coma. Noi facciamo tutto quello che
sappiamo, e cerchiamo di stabilizzare la paziente, che in effetti, dopo la
lavanda gastrica, inizia a guardarsi in giro e risponde con un cenno della voce
alle nostre domande.
I genitori non sanno perche’ lo ha fatto. Non si danno pace. Era una
ragazza come tante, non ricca, ma nemmeno ridotta alla fame. Andava alla
secondary school. Che mistero il cuore umano! Perche’ cercare di togliersi la
vita quando si e’ ancora cosi’ giovani con il futuro ancora tutto da impostare?
Pensavo che il suicidio fosse retaggio unicamente delle societa’
benestanti, ed invece quanti ne ho visti da quando sono a Chaaria. Non riesco a
capire. Io non ho mai pensato di uccidermi, anche se spesso ho attraversato
momenti molto difficile. Sara’ forse una delusione amorosa, o un grave litigio
con i genitori, o una gravidanza non voluta?
Ora comunque e’ notte fonda, e non riesco a protrarmi in queste domande
esistenziali che forse non avranno mai una risposta, perche’ la ragazza si
portera’ a casa il suo segreto. Decido di andare a dormire, sperando che non ci
siano cesarei di notte. Cammino lento per lo stesso sentiero, guardo le nuvole
che si rincorrono, ed ascolto il canto delle cicale. Che bella la notte a
Chaaria, nonostante tutti i problemi che qui la vita ci presenta. La calma
notturna riempie il cuore di pace e mi aiuta a prendere sonno, e a rinfrancare
le mie forze, per riprendere una nuova battaglia domani mattina.
Ciao.
Fr Beppe
Nessun commento:
Posta un commento