martedì 28 maggio 2013

La nostra gente

Oggi ho ricevuto richiesta di ricovero per una persona molto povera che vive in una capanna di fango e che è stato completamente abbandonato dai figli.

“Ha una bruttisima TBC e non sappiamo se ce la farà. Nella sua vita è stato anche un etilista, ma ora i suoi figli lo hanno abbandonato e lui rischia di morire nella sua capanna senza che nessuno se ne accorga per molti giorni. Ci hanno detto che i suoi polmoni sono stati completamente mangiati dalla malattia, ma noi pensiamo che a Chaaria potrebbe essere guardato, accudito e curato”.
“E’ comunque chiaro che una situazione del genere è disperata. I miracoli non li facciamo neppure qua, e quindi è chiaro che potrebbe morire anche se lo ricoveriamo”.
“Certamente, e siamo assolutamente consci di questo, ma nella sua capanna di fango ha le pulci penetranti, non si nutre e nessuno lo va a trovare. Si fa la pipì addosso e quindi puoi immaginare la situazione dell’igiene personale”.





“Portatelo pure a Chaaria. Lo ricoveriamo e cercheremo di prenderci cura di lui. Faremo tutte e terapie, e se poi dovesse mancare, almeno lascerà questo mondo accudito e trattato come una persona umana.
Chaaria esiste soprattutto per chi è povero ed abbandonato, e non diremo di no al tuo paziente. E’ brutto comunque che i figli lo abbiano abbandonato, anche se lui in passato è stato un etilista... in fondo è sempre il loro padre. Da questo punto di vista, tutto il modo è paese”.

Fr. Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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