sabato 11 maggio 2013

Violenza e dedizione

Sono le tre di ieri notte e vengo chiamato per una emergenza nel reparto uomini. Mi alzo con fatica e cerco la pila perche' non c'e' la luce.
Mi pare piuttosto strano essere chiamato nel reparto uomini... di solito e' la maternita' a svegliarmi di notte.
Non ho capito bene di cosa si tratti, e mi avvio lentamente verso l'ospedale.
In reparto ci sono solo le luci dei pannelli solari.
Nel semichiarore del camerone, mi trovo davanti un giovane in stato di shock. E' sudato freddo, e parecchio agitato.
Ha ricevuto una pugnalata all'addome nella regione sottocostale di sinistra.
La pancia e' durissima e mi pare davvero peritonitica.
Non ci sono alternative. Certamente si tratta di una ferita penetrante che ha coinvolto gli organi interni e bisogna aprirlo.





Il giovane uomo di 29 anni non ha pressione e le sue condizioni generali sono pessime. Devo quindi prima stabilizzarlo e solo in seguito pensare all'intervento. Passa un po' di tempo e verso mattina riusciamo ad intubarlo e ad aprirgli la pancia.
Da quell'addome esce almeno un litro e mezzo di sangue frammisto a feci.
Il pugnale ha perforato il colon sinistro all'altezza delle flessura splenica, e poi si e' approfondito ulteriormente fino ad arrivare al pancreas e reciderne la coda.
Operazione difficilissima, condotta con perizia da Luciano e Laura.
Essi hanno isolato il colon ed hanno deciso di abboccare la parte sezionata dal pugnale alla cute: una colostomia temporanea ad ansa per evitare una sutura intestinale interna ad alto rischio di deiscenza.
Hanno poi asportato la parte di coda del pancreas che era stata tagliata dal pugnale ed hanno fatto una sutura emostatica sul pancreas residuo.
Quasi quattro ore di intervento!
Meno male che ora abbiamo due sale operatorie, perche' nel frattempo io ho fatto tre cesarei urgenti!
Dopo l'operazione, siccome la nostra emoteca e' completamente vuota, e' Luciano stesso a donare il sangue di cui il giovane ha tanto bisogno.
Era stato accoltellato in un villaggio molto lontano da qui e trasportatoci di notte perche' nella struttura a cui si era rivolto non avevano una sala operatoria.
E' bello pensare che, magari non possiamo fare tutto, ma noi ci siamo sempre per accogliere chi ha bisogno del nostro aiuto.


Fr Beppe Gaido





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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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