domenica 23 giugno 2013

Domenica a Chaaria

Oggi è stata proprio dura. La luce è mancata fino al pomeriggio (per più di 24 ore di fila) anche se finalmente ora abbiamo elettricità.

Non ci sono stati che pochi attimi di tregua.
Il mattino è stato dominato da emergenze chirurgiche che ci hanno tenuti in sala fino quasi alle 17: una pangata con lesioni tendinee alle mani, due cesarei urgenti, un raschiamento uterino, un ascesso.
Poi problemi con i decorsi post-operatori, soprattutto con le prostate che hanno ripreso a sanguinare e ci hanno dato enormi grattacapi con i lavaggi continui.
Poi dalle 19 sono arrivate le emergenze mediche: un paziente in coma, due malati gravemente ipertensivi con convulsioni continue, una epistassi difficilmente contenibile, un distress respiratorio, una anemia grave da trasfondere.
Sono le 23 ed ho appena lasciato il reparto, ma alcuni volontari sono ancora giù in ospedale per seguire una malata che ha avuto un arresto respiratorio dopo crisi epilettica. Io ho deciso di venire in camera a scrivere, anche perchè non si sa mai a che ora la prossima emergenza
colpirà.





Oggi avrei tanto voluto prendere la bici e fare un giro fuori anche solo di mezz'ora, ma per ora il mio sogno rimane tale e la mia bici è rimasta in magazzino. 
Quando penso che domani è lunedì, e che non c'è mai una pausa neppure al week end, mi sento come svenire, ma poi il Signore mi dà sempre la forza di tirare avanti.
Oggi per altro, per la prima volta dopo tre domeniche consecutive, sono riuscito a partecipare alla messa dall'inizio alla fine senza essere chiamato per un cesareo urgente.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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