giovedì 13 giugno 2013

Passati da Chaaria come meteore

Sono le 10 di mattina e vedo arrivare un carretto trainato da una mucca. Ci sono uomini che si danno da fare insieme al nostro watchman, e dopo pochi minuti mi trovo davanti un giovane molto edematoso, sudato freddo e vagamente confuso. Giace sulla barella e fatica a respirare: e’ come se i suoi polmoni fossero due pentole a pressione. 
“E’ in edema polmonare, e bisogna fargli diuretici”, mi dice Leonard.
Ma Kim interrompe: “la pressione non si sente. Il paziente sembra gia’ collassato e non mi pare una buona idea”. 
Io chiedo ai parenti se qualcuno ci puo’ dire qualcosa della sua storia: “E’ stato malato per lungo tempo?... Quali medicine sta assumendo? Qual e’ la sua malattia di base?”
Ovviamente nessuno sa niente. Luke ansima, ma e’ cosciente: lui mi dice che non e’ mai stato malato prima, e i sintomi sono iniziati quasi improvvisamente.
Dopo un ECG fatto direttamente sulla barella in OPD, ci rendiamo conto che non si tratta di una malattia cardiaca, anche se il cuore e’ in sovraccarico.





Metto allora la sonda dell’ecografo portatile sulla sua pancia e mi trovo davanti due reni quasi completamente bianchi e ridotti di volume. Mi rendo anche conto che ha una milza enorme che gli arriva fin sotto l’ombelico: “ Da dove vieni?” “Da Gatunga”, e la risposta sussurrata da Luke tra i gorgogli dei suoi polmoni e la schiuma che gli esce dalle labbra.
“Si tratta quasi certamente di una splenomegalia tropicale post malarica: sicuramente sara’ anche anemico ed avra’ globuli bianchi e piastrine ridotti. 
Facciamo gli esami di funzionalita’ renale, le urine e l’emocromo con procedura d’urgenza”.
Intanto portiamo il giovane a letto. Lungo il tragitto ci dice che ha 23 anni. E’ cosi’ debole che bisogna trasportarlo di peso. Non riesce neppure ad alzarsi dalla barella per raggiungere il suo giaciglio.
Prescrivo dell’ efedrina a goccia lenta e provo a fare del lasix per tentare di contrastare l’edema polmonare ingravescente. La risposta ai diuretici e’ modesta, e continuiamo a somministrare altro lasix a dosi crescenti. Intanto arrivano gli esami: creatinina a 8 mg/dl. Emocromo con una pancitopenia (cioe’ con riduzione sia della serie rossa che di quella bianca e delle piastrine).
L’emoglobina pero’ e’ 8 g/dl, per cui decido di non trasfondere, al fine di evitare ulteriore sovraccarico polmonare.
La respirazione peggiora rapidamente. Luke diventa agitato. Poi inizia a urlare lamentando dolori addominali che non sappiamo bene come controllare: proviamo con il buscopan. Intanto siamo gia’ arrivati al fialone di lasix ma nella sacca non vediamo che pochi ml di urina.
Alessia mi chiede: “Quale sara’ l’eziologia della insufficienza renale in un uomo cosi’ giovane?
E poi quell’emocromo... non avra’ mica qualche disordine mieloproliferativo?”
“E’ molto difficile per noi fare diagnosi in queste condizioni: e’ arrivato in condizioni gravissime, non abbiamo una storia clinica precedente, non possediamo documentazione clinica riguardo al passato. Pero’ all’eco non ho visto idronefrosi, per cui non penserei ad una causa ostruttiva. Non ha un diabete giovanile in quanto la sua glicemia e’ normale. Non e’ un iperteso. Credo che anche lui sia una vittima della malattia reumatica che qui da noi e’ ancora molto diffusa. Probabilmente si e’ fatto una glomerulonefrite acuta rapidamente progressiva ed ora e’ in insufficienza renale acuta. L’emocromo mi sembra semplicemente riconducibile ad un ipersplenismo dovuto all’enorme splenomegalia”.
Luke intanto e’ sempre piu’ confuso. Di tutti gli uomini che c’erano al mattino con lui, nessuno si e’ fermato. Vengo a sapere dal watchman che erano vicini di casa e che la mamma sta ancora camminando per raggiungere Chaaria: Gatunga e’ a circa 50 chilometri, e la strada e’ sterrata.
L’edema polmonare peggiora sempre di piu’: provo disperatamente a fare alte dosi di cortisone, metto l’ antibiotico specifico per la febbre reumatica a dosi ridotte come per l’insufficienza renale... ma in poche ore Luke se ne va: prima di morire ha continuato a ripetere per alcuni minuti: “Ngakwa, ngakwa” (muoio, muoio... in Kimeru).
Noi che l’abbiamo visto spirare lentamente, siamo rimasti senza parole: un’altra giovane  vita se ne e’ andata e non siamo riusciti a contrastare il potere della morte.
Pochi minuti dopo il trapasso di Luke, abbiamo ricoverato un bambino dell’eta’ di circa 9 anni: il test della malaria era positivo ad alta densita’. Il piccolo paziente era profondamente comatoso, non risvegliabile neppure attraverso stimoli dolorosi intensi. Era agitato: gli occhi aperti si muovevano a velocita’ notevole rincorrendo qualche incubo di cui non sapremo mai nulla. Di tanto in tanto il suo corpo emaciato veniva scosso da violente convulsioni.
Iniziamo subito il chinimo, ma ci rendiamo conto che il bambino e’ gravemente ipoglicemico: vuoi per il coma che dura da alcune ore, vuoi per il digiuno, vuoi per la malaria stessa. Sospendiamo quindi questo farmaco che puo’ peggiorare l’ipoglicemia, e ci affidiamo alle artemisine in muscolo. Tentiamo di riportare in range il suo glucosio ematico, ma risulta quasi impossibile: la macchinetta ci dice 10 mg/dl. Facciamo dosi da cavallo di destrosio al 50% in vena, ma i valori non salgono. Infondiamo anche del cortisone sperando che anche questo innalzi un po’ i livelli di zucchero nel sangue, ma il destrostick e’ implacabile: la glicemia non sale sopra i 20 mg/dl.
Inseriamo un sondino nasogastrico e somministriamo pappette zuccherate, ma l’ipoglicemia e’ costante ed il piccolo Douglas ci sfugge dalle mani e va in Paradiso.
Anche questa volta ha vinto l’anofele: la mamma e’ disperata, e io mi siedo sul letto vicino al corpo senza vita del bambino, senza dire una parola.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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