Sto visitando una donna nel mio studio, ed improvvisamente
sento un vociare inconsueto nella sala di aspetto. Sembra una cosa diversa dal
solito “ruggito” di coloro che si lamentano perchè aspettano da troppo tempo.
Un attimo dopo odo un bussare concitato sulla mia porta.
Devo quindi lasciare a metà l’ecografia che sto facendo per
andare a vedere che cosa stia succedendo.
Vedo il watchman tutto agitato che mi ripete più volte:
“qualcuno è venuto meno nel gabinetto lì fuori”
Per chi non è stato a Chaaria, descrivo il fatto che ci sono
dei semplici servizi igienici a turca appena dopo il cancello d’ingresso in
ospedale. Fungono da servizi igienici per la sala di attesa ma anche da luogo
in cui per esempio i clienti ambulatoriali raccolgono i campioni di feci o di
urine per gli esami di laboratorio.
Corro quindi verso questa struttura e faccio fatica a farmi
largo nella folla di curiosi che si agitano e lanciano urla di disperazione.
All’interno dei servizi trovo una donna priva di sensi, ma
ancora viva. Sembra stia dando gli ultimi respiri.
Fortunatamente un’infermiera mi aveva seguito con il set per
la rianimazione.
Riteniamo più prudente agire subito, senza perdere tempo a
cercare una barella per portare la paziente in ambulatorio.
Prima di tutto proviamo la pressione, che però è
imprendibile.
Jesse è comunque bravissimo ad incannulare una giugulare
esterna in quella posizione scomodissima con paziente sdraiata sul pavimento.
Pratichiamo adrenalina in vena e sosteniamo l’attività
respiratoria con l’ambu. Usiamo anche del cortisone, ed eseguiamo qualche esame
urgente con gocce di sangue dai polpastrelli, in quanto le vene sono tutte
collassate.
La pressione però non sale e la malata pian piano va in
bradicardia spinta. Bisogna dunque anche “massaggiarla”: ci prova Jesse, mentre
io mi occupo dell’ambu. Intanto mettiamo una infusioine continua con
dell’efedrina, visto che al momento dall’Italia non riusciamo più ad avere
donazioni di dopamina.
Tutto però si dimostra vano, ed il cuore si ferma inesorabilmente.
Inutile continuare a ventilare con l’ambu!
Confermiamo la morte anche con il monitor che indica assenza
di attività cardiaca con una linea persistentemente piatta.
Un clinical officer che è stato con noi durate la
rianimazione cerca di capire qualcosa della paziente. Non la conosciamo perchè
le carte che ha con sè sono tutte di altre strutture sanitarie.
Forse veniva a Chaaria per la prima volta!
Dai documenti veniamo a sapere che si tratta di una donna
ipertesa da molto tempo. Quello che ipotizziamo è che lei abbia avuto una crisi
ipertensiva, a cui sia succeduto un infarto del miocardio od un edema cerebrale
che non siamo riusciti a controllare.
L’abbiamo comunque persa e non siamo riusciti a salvarla.
Dalle stesse scartoffie veniamo a sapere che aveva 50 anni.
Tra la folla concitata e urlante il watchman identifica fortunatamente
una donna in lacrime che conferma essere parente della defunta: pur nel dolore
che proviamo per aver perso in ospedale una persona che neppure conoscevamo,
siamo comunque sollevati, perchè avere un cadavere in obitorio di cui non si
conoscono parenti è un altro grandissimo problema.
Lascio a questo punto alla “matron” il compito di
organizzare tutto il resto (trasporto in camera mortuaria, documenti per il
certificato di morte) ed io ritorno lentamente verso il mio studio... ed è solo
entrando dalla porta che mi ricordo di aver lasciato una donna a metà
ecografia.
E’ ancora là che mi aspetta traquilla e senza alcun segno di
insofferenza. Riprendo l’esame diagnostico interrotto bruscamente e cerco di
rimanere padrone di me stesso e di ritrovare la calma necessaria per continuare
con l’ambulatorio.
Fr Beppe
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