Il cercapersone suona
all’impazzata. Kathure mi dice di correre perchè il caso è urgente. Dico a
Roberto che, se vuole, può venire anche lui a vedere di cosa si tratta. Cio’
che troviamo in ospedale ci riempie di costernazione: un rivolo di sangue sul
pavimento che parte dalla sala d’attesa e giunge fino alla room 8. Ci
avviciniamo con circospezione.
Dopo aver aperto la porta, vediamo
un gruppo di donne che parla in modo concitato attorno ad una barella su cui
giace una bimba di 15 anni, completamente inzuppata di sangue. La ragazza
appare debolissima ed e’ chiaramente anemica. Susan, l’infermiera di turno, mi
dice che si tratta di un caso di FGM. Io rimango un attimo interdetto e la
guardo inebetito. Susan capisce che non ho colto il problema, e si spiega
meglio: “Female Genital Mutilation, cioe’ un caso di circoncisione femminile
andato male”.
Non sono avvezzo a questi problemi perche’ la pratica
e’ di per se’ illegale, ed e’ già per definizione coperta da un grande segreto
anche per motivi di cultura tradizionale. Susan continua: “ di casi del genere
ce ne sono tanti, ma spesso le ragazze non vengono portate in ospedale e
possono anche morire a casa. Oggi e’ stata la mamma a rompere con le tradizioni
e a portarcela, con il rischio poi di essere punita dal proprio clan”.
“OK – dico io – ora cerchiamo di
vedere qual’e’ il problema e proviamo ad aiutare questa poveretta. Allerta il
laboratorio che abbiamo bisogno di sangue con urgenza, e poi visitiamo la
paziente”.
Quello che vediamo e’ una amputazione parziale del clitoride che appare
necrotico e maleodorante. Alla base di esso una arteria recisa e non suturata
continua a perdere con il tipico andamento pulsante. Io guardo il sangue
rosso ciliegia e chiedo immediatamente: “quando e’ avvenuta la circoncisione?”
La risposta mi sconcerta: “cinque giorni fa, ma la tradizione ha reso quasi
impossibile alla mamma di agire prima, perche’, dopo la pratica, la ragazza
deve stare in isolamento per circa un mese, prima di essere accolta nella comunita’
degli adulti”.
Ora e’ comunque tempo di agire in fretta: chiudiamo l’arteria per prima cosa;
poi procediamo all’amputazione del tessuto necrotico, e quindi facciamo una
chirurgia ricostruttiva che rispetti quanto piu’ possibile l’anatomia
originale.
L’intervento e’ lungo ma procede senza complicazioni. Otteniamo 3 sacche di
sangue ed iniziamo la trasfusione immediatamente, perche’ il livello
dell’emogloblina e’ di 4 grammi, ed il sangue è quasi come acqua.
Dopo poche ore la ragazza e’ gia’ un’altra. Ha ripreso vita; la cute e’ calda;
il polso e’ pieno. Credo che le abbiamo salvato la vita. Chissa’ pero’ quali
drammi psicologici si portera’ dietro per tutta la vita.
In corridoio incontro la mamma e le chiedo in che modo avevano portato la
bambina. Lei mi ha detto che l’avevano caricata su una barella di frasche,
perche’ non era in grado di camminare. “Di dove siete?” le ho chiesto. E lei mi
ha risposto che sono di Makandune, a non piu’ di 10 km da Chaaria. Poi ho
insistito un po’, e mi sono fatto spiegare qualcosa sulla circoncisione. Sono
le donne anziane del villaggio a praticarla con una lametta da barba che la
mamma deve comprare in precedenza. Si tratta di persone che non hanno alcuna
conoscenza ne’ di medicina, ne’ di igiene e profilassi. E’ chiaro quindi che
quanto ho visto oggi e’ solo la punta di un iceberg: chissa’ quante bambine
hanno complicazioni dopo la pratica rituale, ma non vengono portate in ospedale
per non infrangere le tradizioni del clan.
Da statistiche non molto accurate da me eseguite in quasi dieci anni di
attivita’ nel campo della maternita’, posso dire che ancora oggi circa il 40%
delle donne Meru sono circoncise. Questa percentuale diventa poi del 100% per
le popolazioni del Nord. Non si tratta di una vera infibulazione, come in altri
Paesi dell’Africa. Qui da noi la pratica piu’ diffusa e’ quella della
clitoridectomia con amputazione delle piccole labbra. E’ difficile per me
capire le ragioni storiche che hanno portato a queste mutilazioni barbariche
nei confronti delle ragazze: l’unica spiegazione che in questi anni mi sono
data e’ quella che in una societa’ maschilista si vuole impedire ogni tipo di
piacere sessuale alla donna, che deve sottostare ai rapporti con il marito solo
ed esclusivamente per dargli dei figli.
Per le donne locali però ci sono altri significati molto profondi e per me
sconosciuti: con la circoncisione la giovane viene ufficialmente accolta nel
mondo degli adulti (le FGM infatti vengono praticate tra i 14 e i 18 anni);
sopportando il dolore lancinante di questa pratica tradizionale officiata senza
alcun tipo di anestesia, le adolescenti danno una forte prova di coraggio
davanti a tutta la popolazione: esse diventeranno donne dimostrando di poter
sopportare una sofferenza atroce che precludera’ loro per sempre ogni piacere
sessuale.
Dimostrare di poter sopportare eroicamente queste mutilazioni rende le ragazze
orgogliose di se stesse. Il giorno dell’operazione vengono radunate tutte le
ragazze del villaggio presso la capanna, e per una volta le giovani si sentono
regine: esse rivcevono attenzioni e regali, e questo fa dimenticare il dolore
provato.
Per loro poi la circoncisione ha un significato educativo: per un mese
resteranno chiuse in una capanna, dopo il “taglio” rituale. Esse riceveranno il
cibo solo dale altre donne del clan. Non potranno vedere nessun altro. Queste
stesse donne sono incaricate di insegnare loro le regole della vita adulta. La
circoncisione diventa in pratica una autorizzazione al matrimonio, ed insieme
previene per loro il rischio di essere escluse dalla vita del villaggio.
Io onestamente faccio fatica a comprendere tutti questi aspetti culturali. A me
sembra una cosa barbara e profondamente ingiusta verso le ragazze. Mi riempie
di rabbia quando in sala parto vedo donne che complicano con lacerazioni
genitali estesissime proprio a causa della circoncisione; oppure quando si deve
ricorrere al taglio cesareo a causa di danni permanenti causati dalle cicatrici
conseguenti alle mutilazioni.
Come sempre pero’ devo ricordare a me stesso che io non sono venuto per
giudicare, e devo invece cercare di aiutare la gente, senza mai interferire in
cio’ che crede profondamente.
Passo un attimo dalla bambina. Non ha male e dorme. Guardo fuori e mi accorgo
che e’ notte fonda. Dico a Roberto: “anche oggi siamo riusciti a saltare sia la
preghiera che la cena. Siamo proprio dei discoli. Vieni, passiamo un attimo in
cappella e raccontiamo a Gesu’ quello che abbiamo visto. Penso che questa sia
la preghiera migliore: non c’e’ bisogno di alcuna formula. Lui capira’
benissimo quello che abbiamo nel cuore”.
Fr Beppe Gaido
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