Sono le 3.15 del mattino di domenica scorsa, ed il cicalino
suona con insistenza. Mi viene un accidente perchè è la seconda notte di fila
che mi chiamano e sono davvero stanco.
Questa volta al walky-talky non dicono subito la parola
magica: “cesareo”; la spiegazione è più lunga: parlano infatti di una persona
con addome acuto.
Mi avvio in ospedale sonnolento e preoccupato: se è davvero
un addome acuto, devo svegliare Jesse perchè sicuramente bisogna intubare il
paziente, e non posso gestire la situazione senza anestesista; e poi devo
ovviamente chiamare anche Makena perchè un’occlusione od una perforazione
intestinale non sono certo situazioni che posso gestire con lo staff della
notte.
Arrivato in ospedale mi viene detto che si tratta di una ragazza
di 16 anni, e questo aumenta lo spettro delle ipotesi diagnostiche: si
potrebbe trattare di una gravidanza extrauterina.
Scoprendo la pancia della giovane mi rendo conto della
ragione che ha reso nervosi gli infermieri del turno di notte: la malata ha una
lunga cicatrice sull’addome. Le chiedo di che cosa si tratti, e la sua risposta
mi aiuta a riconoscerla: è un caso di violenza in cui la nostra azione era
stata determinante! Era stata accoltellata da un ubriaco ed avevamo dovuto fare
delle anastomosi intestinali circa due mesi fa.
La pancia però al momento non sembra distesa, anche se la
ragazza piange di dolore.
Le metto con cautela una mano sul ventre e mi rendo conto
che non c’è alcuna rigidità: l’addome è ragionevolmente trattabile e non c’è
difesa. Il punto appendicolare è negativo e non mi pare di apprezzare alcun
segno di peritonite.
L’anamnesi mi conferma che la donna va di corpo normalmente
anche se ha vomito; inoltre urina senza problemi.
A questo punto mi verrebbe voglia di classificare la
paziente come psicosomatica, ma la cicatrice e la possibilità di aderenze mi
rendono prudente.
Faccio a questo punto la domanda più importante e chiedo
alla ragazza la data dell’ultima mestruazione: il giorno esatto non se lo
ricorda, ma sa che ha un’amenorrea sin dall’inizio di ottobre.
“Non può essere un’ectopica perchè di solito questa
patologia causa rottura ed emoperitoneo entro le otto settimane di gravidanza,
e non oltre”.
Per sicurezza faccio comunque l’ecografia e la ragione del
dolore mi appare davanti agli occhi in tutta la sua evidenza e semplicità.
Non c’è bisogno di chiamare Jesse o Makena, e non andremo
neppure in sala!
L’eco mi mostra infatti di un piccolo feto di circa 16
settimane di età gestazionale. La gravidanza è endouterina; la placenta è
inserita regolarmente sul fondo; il liquido amniotico è regolare, e la cervice appare
chiusa e lunga.
La ragazza ha quindi delle contrazioni pretermine.
Le prescrivo la terapia seguendo il protocollo per la
minaccia d’aborto; richiedo un esame della malaria (che dalle nostre parti è la
causa principale dei parti prematuri), e ritorno a letto verso le ore 4.45.
Naturalmente, continuo a rigirarmi ed a far la guerra con il
cuscino fin verso le 6.15, ora in cui inesorabile suona la sveglia e mi obbliga
ad alzarmi con gli occhi gonfi e la testa confusa.
E’ stato un falso
allarme: i dolori erano reali, ma dovuti alle contrazioni uterine, e non ad un
addome acuto. Certo la cicatrice ha in qualche modo sviato l’attenzone dei
nostri infermieri. Anche il vomito (legato anch’esso alla gravidanza) li ha
confusi. Essi inoltre hanno dimenticato la domanda più importanteda fare quando
si ha di fronte una donna in età fertile, e cioè la data dell’ultima
mestruazione.
E’ stato comunque corretto che mi abbiano chiamato, al fine
di escludere subito una complicazione chirurgica che avrebbe richiesto un
intervento urgente anche di notte.
Pure nel caso di stanotte vale quanto spesso dico a tutti i
volontari che vengono ad aiutarci a Chaaria: “per noi è necessario pensare che
tutte le donne sono gravide, a meno che non ne dimostriamo il contrario”.
Tale assioma ci aiuta sempre tanto ad evitare farmaci potenzialmente
pericolosi, ed a non “mancare” diagnosi
pericolose per la vita dei pazienti.
Fr Beppe
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