Sta correndo disperata con il suo pesante fardello
avvolto in un una copertina. Corre ed ansima, come se un esercito di facinorosi
la stesse inseguendo. Si muove a piedi nudi; talvolta scivola e quasi cade.
Silenziosamente le lacrime le scendono copiose sulle giovani gote.
Appena giunta all’ospedale si mette a gridare disperata e
ci affida il suo dolore. Accorriamo in molti per vedere cosa stia succedendo.
Lei apre il fagotto ed appare una bambina di circa un anno. E’ in preda a
convulsioni continue, che la scuotono soprattutto nella parte sinistra del
corpo.
Le metto una mano sul pancino: e’ rovente! Tiro giu’ un po’ le palpebre
inferiori e mi rendo conto che la piccola e’ terribilmente anemica.
“Facciamo del valium per retto, per fermare gli attacchi
comiziali. Diamole della tachipirina per abbassarre la febbre. Poniamo delle
spugne bagnate sul suo corpicino, per accelerare la defervescenza. Testiamo la
malaria e l’emoglobina. Chiamate Jesse per la vena”.
“Kiende, non abbiamo sangue in emoteca e la tua
figlioletta ne ha un bisogno estremo. Nessuno di noi puo’ donare perche’ lo
abbiamo fatto la settimana scorsa.
C’e’ qualche parente per strada? Qualcuno
potra’ dare sangue nelle prossime ore?”
“Non c’e’ nessuno a casa, ma posso donare io stessa”
“Mugambi, prendi un po’ di sangue dalla paziente e dalla
madre e vediamo se sono compatibili”
Il laboratorista buca immediatamente il polpastrello
della bimba che ora non ha piu’ convulsioni, anche se presenta un respiro
terribile, simile al suono di una locomotiva a vapore:
“Zero positivo per entrambi. Procedo con lo screening e
le prove crociate”
“La bimba ha alta densita’ di malaria. Ci sono trofozoiti
e gametociti di plasmodium falciparum”
“Jesse, come va con la vena?”
“Penso di esserci con la giugulare… gli altri vasi erano
gia’ tutti collassati!”
“Bene, mettiamo su il chinino e poi, quando il sangue
sara’ pronto, trasfonderemo in seconda via”.
Ma le cose precipitano rapidamente mentre la Kiende e’
sulla barella, e Mugambi le sta prelevando il sangue da donare alla figlia.
Ancora convulsioni. Il respiro si fa sempre piu’
difficile. Una schiuma inquietante appare alla bocca ed alle narici della
bimba. Poi, ecco improvviso un conato di vomito che porta alla luce del
materiale color caffe’.
Jesse scatta come un felino: “aspiratore ed ambu…
massaggiamo… c’e’ attivita’ cardiaca?... aspiriamo ancora… adrenalina…
cortisone… zantac… ossigeno… Per favore, fate in fretta”.
La mamma e’ sdraiata sul lettino a pochi metri da noi.
Sta in silenzio; ci guarda e non ritira il braccio da cui continua a scendere
il sangue nella sacca che probabilmente non potremo usare per la sua creatura.
In un attimo la stanza in cui operiamo si trasforma in un
grande caos, in cui tutti corrono; danno o ricevono ordini; si agitano fino
allo spasimo.
Ma il destino della bambina e’ segnato… e Kiende, col suo
sesto senso di madre, lo ha gia’ compreso. Mugambi ha staccato l’ago, ed esce
con la sacca piena. La mamma si gira sul fianco, si copre la testa e piange
silenziosamente. Mi volto di tanto in tanto ed osservo i suoi sighiozzi che
muovono il suo addome in modo ritmico.
“Jesse, basta con la rianimazione. Non c’e’ attivita’
cardiaca: stai pompando aria in un morto”.
“No, continuiamo! Inietta adrenalina intracardiaca”
“Okay, Jesse, ecco fatto… ma le pupille sono gia’
dilatate e fisse!”
Ci vogliono altri 10 minuti prima che il nostro
anestesista si arrenda. Come al solito, a questo punto non sa piu’ cosa dire, e
se ne va in un’altra camera a lavare il suo ambu, boffonchiando qualcosa e
scuotendo la testa.
C’e’ quindi l’usuale momento di gelo, in cui tutti si
guardano e non hanno il coraggio di andare dalla madre.
Ci vado io, come sempre. Le metto una mano sulle spalle
senza dire una parola.
“Se n’e’ andata?”
“Si’, purtroppo… se puoi, fatti coraggio!”
Kiende non risponde, ma nemmeno rifiuta la mia carezza
sulla spalla: vorrei prendere su di me un po’ del peso terribile che le e’
piombato addosso all’improvviso. Lei piange per vari minuti ed il suo lamento
mi ricorda una nenia del Medio Oriente.
“Vuoi vedere la tua bambina prima che la portiamo in
obitorio?”
“No! desidero andare a casa subito. Prima pero’ voglio
sapere che cosa ne farai del mio sangue”.
“Non ti faccio pagare niente per le medicine che abbiamo
usato fino ad ora per tentare di salvare la tua bambina, ma tu mi devi
permettere di tenere il tuo sangue in ospedale, e di usarlo poi per qualcuno
che ne avra’ bisogno”.
“Non me lo puoi infondere nuovamente?”
“Non credo che abbia molto senso. In pochi giorni ti
rifarai tutto il sangue di cui hai bisogno. Lasciami salvare qualche vita con
la sacca che ti abbiamo prelevato.”
“OK, ma usalo per
un bimbo piccolo come la mia amata Mwendwa che ora e’ volata via”.
“Te lo prometto; anzi il tuo sangue sara’ sufficiente per
due bimbi”.
Fr Beppe Gaido
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