mercoledì 16 aprile 2014

Pamela e Sharon

Sono venute a trovarmi oggi insieme alla mamma.
La mamma, Kinya di nome, mi cerca sempre e solo quando vuole altri soldi: oggi è venuta a dirmi che non ha più nulla da mangiare a casa e che i vestiti delle bambine sono tutti stracciati.
Mi fa un po’ male questa cosa perchè significa che questa donna è veramente poco responsabile: le abbiamo dato aiuti alimentari che avrebbero dovuto coprire il fabbisogno di cibo fino a maggio inoltrato; abbiamo comprato vestiti per le bambine; abbiamo pagato l’affitto della stanza dove Kinya vive con le figlie; abbiamo offerto tutte le medicine gratuitamente quando sia Pamela che Sharon sono state curate per una malaria piuttosto complicata nelle ultime settimane.
Le bimbe sono più trasandate perchè è vacanza (qui in Kenya per un mese), e quindi gli insegnanti ed il preside non possono far pressione su questa mamma che proprio non ci arriva. 
E’ poco pulita lei, e certo non le interessa che le figlie siano sporche e stracciate.
Noi facciamo quello che possiamo ed ho già incaricato il nostro dipendente Joseph di andare a vedere la situazione a domicilio: se davvero non hanno più nulla da mangiare, certamente li aiuteremo nuovamente.



Domani stesso ho promesso di dare a quella mamma dei nuovi vestiti per le bambine... anche se ho paura che poi Kinya li venda e lasci le piccole nei vestiti logori. 
Quella donna non beve ed è anche una grande lavoratrice che molti prendono a giornata in campagna, ma è così tonta che tutti la possono fregare e sottopagare.
Aiutare i poveri è spesso molto difficile, soprattutto quando essi mancano di quel minimo di quoziente intellettuale che permetterebbe loro di responsabilizzarsi, dopo aver ricevuto tanti doni dai generosi benefattori italiani.
Noi continuiamo comunque il nostro impegno, anche se oggi il vederle così mi ha un po’ intristito. 
Lo facciamo per Pamela e Sharon ed anche per dovere di onestà per coloro che hanno avuto fiducia in noi e ci hanno mandato del denaro.


Fr Beppe




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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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