lunedì 26 maggio 2014

Gli odori di Chaaria

Non so se molti ci fanno caso, ma Chaaria è forte anche nei suoi profumi e nei suoi odori: da quello meraviglioso del glicine che ti schiaffeggia prepotente quando passi vicino al bananeto, a quello a volte insopportabile che respiri in un reparto colmo di pazienti.
Ma più dell’odore dei fiori o dei frutti maturi, quello che mi attira e mi imprigiona è il forte odore di umanità che a Chaaria ispiriamo ogni giorno a pieni polmoni: penso all’odore inconfondibile dei “Buoni Figli”, un odore che è uguale a tutte le latitudini e che da giovane novizio chiamavo “il profumo tipico del Cottolengo”.
Mi sovviene poi dell’alito irrespirabile di un paziente affetto da carcinoma dell’esofago, che vuole assolutamente parlare con te e spiegarti che non riesce a deglutire nulla, neppure la saliva... mentre tu non ce la fai a stargli vicino e lotti contro la nausea che ti soverchia.
Non posso non avvertire una mano che mi chiude lo stomaco quando passo vicino ad un poveretto che ha un ano artificiale o avverto l’odore insopportabile di una donna che ha una fistola urinaria sin dall’ultimo parto.



Vorrei lasciare ad altri la toeletta chirurgica della piaga da decubito purulenta e piena di vermi, ma poi sono contentissimo l’indomani quando, passando per la camerata, mi accorgo che quel malato non puzza più e può stare con gli altri e chiacchierare tranquillo.
Come dimenticare l’acre profumo del sudore che a volte avverti in sala parto mentre con la ventosa assisti una poveretta che ha travagliato per ore ed ore ed adesso è davvero esausta; oppure l’olezzo nauseabondo di latte cagliato che sovente aleggia nel nido dove tante mamme tribolano con il tiralatte per poi nutrire i loro microscopici bimbi pretermine con un contagocce od una siringa.
Quante volte nel mio piccolo studio entra una donna di etnia nomade: è colma di collane e braccialetti; ha il bimbo in braccio e lo allatta serenamente di fronte a me. Quando ti si avvicina ha indosso un odore forte ed un po’ repellente che è tipico di quelle zone: è un misto di puzza di sterco, odore di latte materno, sudore e grasso animale che loro si spalmano sulla pelle come emolliente. 
Quante volte poi mi capita di visitare un poveraccio che ha nei piedi degli scarponi lerci e completamente a brandelli: quando gli chiedi di togliersi le calzature per mettersi sulla barella, ti sembra di svenire, ed immediatamente gli dici di rimettersi gli scarponi.
I pazienti islamici invece, insieme all’henné con cui gli uomini si colorano la barba e le donne si adornano di greche e tatuaggi, hanno indosso un balsano dal promumo indefinito, che non sai spiegare, che ti piace e ti aiuta ad identificare il tuo paziente con quel particolare gruppo etnico che proviene dal Nord.
E poi la candeggina! Ne senti il profumo un po’ ovunque. La usiamo per pulire e per disinfettare gli ambienti.. ma spesso la impieghiamo anche per i malati e per noi stessi. All’inizio quell’aroma acre ti dà alla testa e ti dsgusta un po’; poi pian piano inizia a piacerti quando te lo senti sulle mani lavate e rilavate nel disperato tentativo di eliminare quei testardi residui di cattivo odore che stranamente riescono a passare anche attraverso i guanti sterili quando fai un’operazione od una medicazione molto sporca.
Ieri mattina ho fatto un intervento per addome acuto: il peritoneo era pieno di feci, perchè l’intestino era stato ridotto ad un colabrodo dalla febbre tifoide. 
La sala era piena di quel fetore che poi purtroppo nel nostro immaginario si è identificato con la morte del malato. La sala è stata poi disinfettata e pulita, ma quel fetore persistentemente nelle mie narici mi ha ricordato a lungo dell’intervento finito male. Io poi ho lasciato la divisa nello spogliatorio: era pulita perchè mi ero protetto bene con sovra-camici impermeabili, e pensavo di poterla usare ancora, almeno nell’ambito della stessa giornata. 
Stanotte all’una mi han chiamato per un cesareo. Nello spogliatoio ho trovato la mia divisa appesa all’attaccapanni e l’ho indossata tra uno sbadiglio e l’altro: l’odore di quell’intervento e della persona che non ero riuscito a salvare al mattino mi hanno improvvisamente invaso le narici di nuovo, come se invisibili molecole si fossero piantate nei tessuti di quell’abito verde. 
E’ stato troppo doloroso ripensare a quella morte ed ho buttato la divisa a lavare, più per il ricordo che evocava che non per l’alone di fetore che vi avvertivo.
Molte volte un odore particolare mi riporta ad una persona, ad un caso clinico, ad un succeso o ad una sconfitta professionale... quasi sempre ad una grande sofferenza mia ed altrui.
E poi c’è l’odore della notte che a Chaaria è dominato dai fumi alla diossina del nostro inceneritore: non possiamo usarlo di giorno perchè puzza troppo e quindi incendiamo i rifiuti di notte: “ma voi vi avvelenate con tutti i fumi derivanti dalla combustione di guanti in lattice e siringhe di plastica”, qualche amico italiano ci dice. Sarà pur vero, ma non abbiamo alternative  per lo smaltimento!
Però poi, vicino a casa, l’albero di guava colmo di frutti ci riempie le narici del suo profumo dolce ed attraente.
Mille altri sono i profumi od i fetori che ci colpiscono ogni giorno.
Sono spesso odori di sofferenza, di esistenze difficili, di malattia e di povertà.
Sono gli odori della vita della nostra gente, per cui son felice di sacrificarmi ogni giorno.


Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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