Non so se molti ci fanno caso, ma Chaaria è forte anche nei
suoi profumi e nei suoi odori: da quello meraviglioso del glicine che ti schiaffeggia
prepotente quando passi vicino al bananeto, a quello a volte insopportabile che
respiri in un reparto colmo di pazienti.
Ma più dell’odore dei fiori o dei frutti maturi, quello che
mi attira e mi imprigiona è il forte odore di umanità che a Chaaria ispiriamo
ogni giorno a pieni polmoni: penso all’odore inconfondibile dei “Buoni Figli”,
un odore che è uguale a tutte le latitudini e che da giovane novizio chiamavo “il
profumo tipico del Cottolengo”.
Mi sovviene poi dell’alito irrespirabile di un paziente
affetto da carcinoma dell’esofago, che vuole assolutamente parlare con te e
spiegarti che non riesce a deglutire nulla, neppure la saliva... mentre tu non
ce la fai a stargli vicino e lotti contro la nausea che ti soverchia.
Non posso non avvertire una mano che mi chiude lo stomaco
quando passo vicino ad un poveretto che ha un ano artificiale o avverto l’odore
insopportabile di una donna che ha una fistola urinaria sin dall’ultimo parto.
Vorrei lasciare ad altri la toeletta chirurgica della piaga
da decubito purulenta e piena di vermi, ma poi sono contentissimo l’indomani
quando, passando per la camerata, mi accorgo che quel malato non puzza più e
può stare con gli altri e chiacchierare tranquillo.
Come dimenticare l’acre profumo del sudore che a volte
avverti in sala parto mentre con la ventosa assisti una poveretta che ha
travagliato per ore ed ore ed adesso è davvero esausta; oppure l’olezzo
nauseabondo di latte cagliato che sovente aleggia nel nido dove tante mamme
tribolano con il tiralatte per poi nutrire i loro microscopici bimbi pretermine
con un contagocce od una siringa.
Quante volte nel mio piccolo studio entra una donna di etnia
nomade: è colma di collane e braccialetti; ha il bimbo in braccio e lo allatta
serenamente di fronte a me. Quando ti si avvicina ha indosso un odore forte ed
un po’ repellente che è tipico di quelle zone: è un misto di puzza di sterco,
odore di latte materno, sudore e grasso animale che loro si spalmano sulla
pelle come emolliente.
Quante volte poi mi capita di visitare un poveraccio che
ha nei piedi degli scarponi lerci e completamente a brandelli: quando gli
chiedi di togliersi le calzature per mettersi sulla barella, ti sembra di
svenire, ed immediatamente gli dici di rimettersi gli scarponi.
I pazienti islamici invece, insieme all’henné con cui gli
uomini si colorano la barba e le donne si adornano di greche e tatuaggi, hanno
indosso un balsano dal promumo indefinito, che non sai spiegare, che ti piace e
ti aiuta ad identificare il tuo paziente con quel particolare gruppo etnico che
proviene dal Nord.
E poi la candeggina! Ne senti il profumo un po’ ovunque. La
usiamo per pulire e per disinfettare gli ambienti.. ma spesso la impieghiamo
anche per i malati e per noi stessi. All’inizio quell’aroma acre ti dà alla
testa e ti dsgusta un po’; poi pian piano inizia a piacerti quando te lo senti
sulle mani lavate e rilavate nel disperato tentativo di eliminare quei testardi
residui di cattivo odore che stranamente riescono a passare anche attraverso i
guanti sterili quando fai un’operazione od una medicazione molto sporca.
Ieri mattina ho fatto un intervento per addome acuto: il
peritoneo era pieno di feci, perchè l’intestino era stato ridotto ad un
colabrodo dalla febbre tifoide.
La sala era piena di quel fetore che poi
purtroppo nel nostro immaginario si è identificato con la morte del malato. La
sala è stata poi disinfettata e pulita, ma quel fetore persistentemente nelle
mie narici mi ha ricordato a lungo dell’intervento finito male. Io poi ho
lasciato la divisa nello spogliatorio: era pulita perchè mi ero protetto bene
con sovra-camici impermeabili, e pensavo di poterla usare ancora, almeno
nell’ambito della stessa giornata.
Stanotte all’una mi han chiamato per un
cesareo. Nello spogliatoio ho trovato la mia divisa appesa all’attaccapanni e
l’ho indossata tra uno sbadiglio e l’altro: l’odore di quell’intervento e della
persona che non ero riuscito a salvare al mattino mi hanno improvvisamente
invaso le narici di nuovo, come se invisibili molecole si fossero piantate nei
tessuti di quell’abito verde.
E’ stato troppo doloroso ripensare a quella morte
ed ho buttato la divisa a lavare, più per il ricordo che evocava che non per
l’alone di fetore che vi avvertivo.
Molte volte un odore particolare mi riporta ad una persona,
ad un caso clinico, ad un succeso o ad una sconfitta professionale... quasi
sempre ad una grande sofferenza mia ed altrui.
E poi c’è l’odore della notte che a Chaaria è dominato dai
fumi alla diossina del nostro inceneritore: non possiamo usarlo di giorno
perchè puzza troppo e quindi incendiamo i rifiuti di notte: “ma voi vi
avvelenate con tutti i fumi derivanti dalla combustione di guanti in lattice e
siringhe di plastica”, qualche amico italiano ci dice. Sarà pur vero, ma non abbiamo
alternative per lo smaltimento!
Però poi, vicino a casa, l’albero di guava colmo di frutti
ci riempie le narici del suo profumo dolce ed attraente.
Mille altri sono i profumi od i fetori che ci colpiscono
ogni giorno.
Sono spesso odori di sofferenza, di esistenze difficili, di
malattia e di povertà.
Sono gli odori della vita della nostra gente, per cui son
felice di sacrificarmi ogni giorno.
Fr Beppe Gaido
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