Ho fatto nascere migliaia di bambini; li ho tenuti tra le
mie braccia al primo vagito, li ho guardati negli occhi prima ancora del loro
padre biologico; li ho consegnati alla mamma radiosa per il trofeo che riceveva
da Dio dopo nove mesi di attesa spesso angosciante: le mamme mi hanno guardato
con sorrisi sgargianti; qualcuna mi ha promesso di mettere il mio nome al loro
bambino e di portarmelo a vedere man mano che cresceva.
Poi però tutte sono
state dimesse; normalmente quasi nessuna è passata a saluarmi quando si portava
il figlioletto a casa; normalmente non rivedo più le mie puerpere, se non in
caso di complicazioni o di un altro cesareo in gravidanze successive.
Ho fatto
nascere migliaia di bambini, ma poi alla sera, nel buio della cappella dove
spesso mi rifugio per un attimo prima della nanna, mi rendo conto che di
bambini non ne ho affatto.
Ne ho toccati tanti, ma tutti se ne sono andati.
Quando il loro piccolo è in coma per una malaria cerebrale,
quando ci sono convulsioni ricorrenti che fanno temere per la vita, o quando si
diagnostica un’anemia severa ma non c’è sangue in frigo, le madri della
pediatria ti rincorrono e vogliono che tu visiti il loro bambino anche sette
volte al giorno.
Non hanno pudore a chiederti addirittura di donare il tuo stesso
sangue, adducendo a scusa il fatto che il padre è lontano e quindi non può
donare, mentre loro devono allattare o sono già incinte di un altro figlio. Poi
questi piccoli pazienti migliorano; si mettono a correre ed a giocare in reparto
e nei cortili dell’ospedale. Le mamme a questo punto non ti cercano più; le
vedi ridere insieme alle altre e magari cantare e danzare; a loro non viene
neppure in mente di passare a dirti grazie.
Era tuo dovere fare ciò che potevi
per il loro figlioletto.
Per la lettera di dimissione poi, a loro basta un
infermiere od un clinical officer... ed anche loro spariscono, portandosi il
piccolino sulla schiena e lasciandoti nel cuore quel senso di solitudine che
qui in Africa ben conosciamo.
Passi ore ed ore in ambulatorio e sempre devi ascoltare i
problemi ed i dolori degli altri, ma sovente arrivi a sera alle 23 e ti domandi
quando mai qualcuno chiederà a te come stai e se hai qualche problema.
Con i volontari si vivono giorni intensi, si condividono
esperienze e si porta insieme il peso del lavoro.
Normalmente è una fatica
enorme conoscerci, accettarci e capirci nell’arco di tre settimane.. e quando
il rapporto comincia a funzionare ed a diventare più fruttuoso, i volontari
tornano in Italia e molti di loro non ti scriveranno mai più, neppure per dirti
che l’aereo è arrivato bene a destinazione.
Scherzando io dico sempre: “meno
male che c’è la BBC!” Infatti, visto che pochissimi me lo scrivono, io ormai so
che, se non ci sono notizie di disastri aerei, questo implica che i volontari
sono arrivati a casa... senza la BBC non lo verrei quasi mai a sapere. Anche
questo fa parte della nostra solitudine, una solitudine che dobbiamo accettare
come prezzo della nostra missione.
Indubbiamente la nostra è una vita intensa entusiasmante e
stupenda; però è anche molto solitaria.
Ecco perchè è estremamente importante che in comunità
riusciamo a sostenerci ed a darci una mano a vicenda con l’ascolto, l’amicizia,
la fraternità e la stima vicendevole.
Fr Beppe Gaido
Nessun commento:
Posta un commento