mercoledì 19 novembre 2014

Dai primi parti a Chaaria, alla costruzione della nuova maternità

Quando a marzo 1998 arrivai dalla Tanzania, ero impaurito e onestamente incapace.
Sapevo qualcosa di Medicina Interna e poco di malattie Tropicali.
La Ginecologia e l’Ostetricia, tanto importanti per un medico in Africa, erano per me delle branche alquanto sconosciute.
Fr Lodovico mi diceva comunque che di un reparto di maternità a Chaaria non ce ne sarebbe stato bisogno perchè le donne preferivano partorire a casa.
La realtà dei fatti risultò però subito molto diversa dal quadro presentatomi dal nostro decano.
Udito che a Chaaria era arrivato un medico “bianco”, le donne in gravidanza cominciarono a fioccare, chiedendo di poter partorire nella nostra struttura.
Noi però non avevamo pianificato di iniziare con la maternità.
A tutte le donne dicevamo che il nostro era solo un dispensario, e che non avevamo servizi di ostetricia. Ma le donne africane hanno una concezione quasi onnipotennte del medico: il dottore, soprattutto se bianco, deve saper fare tutto!
E quindi non se ne andavano; stavano sedute al cancello e partorivano per terra.



Noi poi dovevamo accorrere per il bambino e per assistere le mamme nel post partum lì sulla strada; quindi dovevamo trasfortarle dentro il dispensario in barella.
Alcune volte dicevamo: “andate in un ospedale più grosso; ma esse rispondevano: perchè? C’è un ospedale più grande di questo?”
Decidemmo che questa situazione era insostenibile ed iniziammo l’avventura della maternità con tanta incoscienza.
Io non sapevo nulla, ma mi affidavo all’esperienza delle infermiere, soprattutto di Beatrice, che è colei che mi ha insegnato quasi tutto in questo campo.
Il primo parto in dispensario avvenne di notte in quella stanza vuota in cui precedentemente avevamo curato la malaria cerebrale di Karimi, su una semplice barella.
Beatrice per deferenza voleva che assistessi io la mamma, ma io mi sono elegantemente defilato perchè non avrei saputo dove mettere le mani. Il parto fu difficoltoso e, come buon inizio, avemmo una emorragia post-partum terribile con lacerazione della cervice: fummo impegnati tutta la notte, ma non ci scoraggiammo. Il mattino seguente, stanchissimi per non aver chiuso occhio, io e Beatrice ci dicemmo che avremmo potuto continuare.
All’inizio il vero problema era dove sistemare le pazienti, in quanto avevamo solo tre letti posizionati in corridoio, ed a volte dovevamo mettere una puerpera nel letto accanto ad un bambino ricoverato per diarrea. La cosa certo non era ottimale, ragion per cui in quei primi tempi, cercavamo di dimettere le donne poche ore dopo il parto, temendo il rischio di infezioni crociate per il neonato.
La situazione migliorò nel 2001 con il completamento del primo blocco di reparti, in quanto dedicammo da subito due stanze alla maternità: una più piccola, ricavata da quello che per il passato era stato l’ufficio del responsabile (attuale room 12),  ed una più grande (la room 20 nel “Blessed Paleari Block”).
Altro grattacapo che ci siamo portati avanti fino ad oggi è stato quello della sala parto, che è stata ricavata con una struttura prefabbricata nella vecchia sala d’attesa del dispensario: la sala parto è in sè abbastanza spaziosa e ci permette di seguire due travagli contemporaneamente, ma è a ridosso della nuova sala d’attesa dell’ospedale. Naturalmente ci sono vetri smerigliati, ma non c’è alcun isolamento acustico, per cui la privacy delle nostre mamme è un po’ un punto di domanda, soprattutto quando si lamentano ed urlano in preda alle doglie.
Per tanti anni però il nostro incubo è stata la maternità complicata.
Quando il travaglio non progrediva, o ci accorgevamo che c’erano controindicazioni assolute al parto naturale, dovevamo partire alla volta di un ospedale più grande, per portare la mamma in sala operatoria.
Spesso le complicazioni avvenivano nelle ore notturne, e solo Dio sa quante volte Fr Lorenzo doveva rischiare la propria vita uscendo di notte, per una strada accidentata nella stagione secca e terribilmente scivolosa nella stagione delle piogge. Solo Dio sa quante volte la macchina è andata fuori strada, o si è rotta di notte, obbligandoci a dormire nell’auto o a tornare a piedi camminando per vari chilometri...quante volte poi abbiamo rischiato di essere attaccati da ladri e malfattori.
Ma il vero problema era lo staff degli altri ospedali: spesso scortesi, ci mandavano fuori a comprare il necessario per l’operazione (guanti, fili, cotone, coperte, rasoi, ecc). Quasi sempre ci dicevano che avevamo seguito malamente il travaglio e che il bambino sarebbe morto al cesareo a causa del grave ritardo con cui avevamo portato la mamma per l’operazione.
A nulla serviva dire loro che il ritardo o le cattive condizioni del feto erano dovute più al terribile viaggio in macchina che a nostri errori clinici.
Arrivarono addirittura ad augurare la chiusura di Chaaria. Dicevano che non avevamo le capacità e le conoscenze per gestire una maternità. Dicevano che erano di più i pazienti che facevamo morire, di quelli che in qualche modo aiutavamo.
Ma Chaaria non è nostra. E’ della Divina Provvidenza, e quindi a nulla valsero tutti i tentativi di bloccare l’operato della nostra piccola Missione. Arrivarono quindi i dispetti: lasciarci fuori ad aspettare per un’ora prima di farci entrare. Chiederci di sorreggere il bottiglione di una flebo finchè essi avrebbero trovato un posto letto per la paziente, e poi lasciarci lì per due ore.
La situazione era per noi psicologicamente molto difficile, ma poi la Provvidenza ci mandò una volontaria chirurga, che con coraggio decise di insegnarmi la tecnica del taglio cesareo. All’inizio ci fu tanta paura, ma poi prendemmo la mano ed ora siamo felicissimi di essere in grado di fornire anche questa prestazione alle mamme che vengono da noi fiduciose di essere aiutate pure in caso di complicazioni. 
E le donne semplici e povere della nostra zona hanno davvero apprezzato i nostri sforzi, visto che ora abbiamo circa 6-7 parti al giorno, ed una media di 8-9 cesarei alla settimana. La nostra maternità poi è gradualmente cresciuta, insieme alle nostre competenze, ed oggi possiamo seguire le pazienti per ogni tipo di problematica relativa alla gravidanza, incluse le minacce, gli aborti incompleti, le rotture intempestive delle membrane, le emorragie antepartum, i travagli pretermine, le ectopiche, ecc
Fino al 2012, per le pratiche chirurgiche avevamo solo una piccola stanzetta che ci ostinavamo a chiamare sala operatoria: era angusta e soffocante, senza presala e senza camera per il risveglio; ora però il nuovo dipartimento chirurgico ci dà sicurezza e confort anche quando dobbiamo operare.
Una grave problematica fino ad oggi è comunque stata la sistemazione in reparto delle nostre donne: a volte abbiamo dovuto mettere due pazienti per letto; sempre comunque le abbiamo dovuto “strizzare” in cameroni molto congestionati. 
L’ambiente per il post-cesareo è ancora oggi quello dell’inizio, e quindi troppo piccolo; il nido infine è gravemente insufficiente sia dal punto di vista della sterilità che delle attrezzature a disposizione.
La costruzione  di un padiglione completamente dedicato alla maternità, in cui i percorsi ed i servizi potessero essere organizzati in modo più razionale, è stato da sempre un nostro sogno, anche come risposta al numero elevatissimo di mamme che si affidano alle nostre cure nell’importante evento della nascita del loro figlio.
Per anni ed anni abbiamo dovuto posticipare il progetto per dare precedenza ad altre realizzazioni più urgenti ed anche perchè non avevamo i fondi necessari.
Ora invece, grazie alla cordata di solidarietà realizzata da tanta gente buona, la costruzione della nuova maternità sembra in dirittura d’arrivo.
In essa per la prima volta avremo un ambulatorio in cui visitare le nostre gestanti: finora le abbiamo sempre visitate in sala parto!
L’altra novità è che avremo stanze di degenza separate per le donne in travaglio e per quelle che già hanno avuto il loro bambino. Queste poi avranno una visione diretta con vetrina sul nido dove terremo i bimbi pretermine.
La sala parto sarà più grande ed avremo tre barelle a disposizione. Inoltre la collocazione della nuova maternità garantirà la necessaria privacy anche acustica, essendo lontana dai reparti e dall’ambulatorio.
Non abbiamo previsto una sala operatoria nel nuovo dipartimento, dal momento che la nuova maternità è adiacente al blocco operatorio: in caso di complicazioni e necessità di cesareo, ci sposteremo rapidamente dall’altra parte.
La nuova maternità ha anche una sua lavanderia separata, in cui inizieremo la pulizia degli strumenti e della biancheria insanguinati.
Abbiamo dedicato la nuova maternità a Sr Oliva, perchè in lei vediamo un esempio da imitare e perchè nei suoi decenni di missione in Kenya si è dedicata sempre con passione al servizio della maternità. In vita Sr Oliva è stata una grande sostenitrice del progetto di costruire a Chaaria un reparto dedicato esclusivamente alla maternità. Ci farà bene ripensare a Sr Oliva ogni volta che enteremo nel nuovo dipartimento.
Ringrazio di cuore i benefattori che hanno permesso a questo sogno di materializzarsi, e fratel Giancarlo che continua a seguire i lavori in prima persona. Sempre ringrazio il Signore per la continua protezione e per l’aiuto che ci dà ogni giorno.
Quando sarà finità la maternità?
Onestamente non lo sappiamo con precisione, ma ormai non manca molto.

Fr Beppe Gaido

PS: nella foto vedete Beatrice (al centro della foto in divisa bianca e golfino blu). E’ da lei ho imparato i rudimenti della ostetricia.





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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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