Tutte le realtà
cominciano con un periodo entusiasmante e pionieristico in cui tutti sono sotto
l’afflato carismatico dei momenti fondazionali: è così per una congregazione
religiosa finchè il fondatore è vivente: tutti sembrano volare sulle ali della
carità; lo stesso accade per una nazione che lotta per l’indipendenza e
finalmente la raggiunge con i propri eroi.
Credo che la medesima affermazione
calzi alla perfezione per i primi anni di Chaaria: tutto era affascinante, e
noi eravamo super-motivati ed entusiasti, quasi sotto la spinta dello Spirito
Santo che ci suggeriva di andare avanti.
Spesso però poi capita
che, morto il Fondatore, l’afflato carismatico di una congregazione religiosa
pian piano si affievolisca... a volte fino all’aridità; ci sono nazioni che,
raggiunta l’autonomia, dimenticano i traguardi raggiunti e distruggono tutto
quello che i predecessori hanno costruito, magari sacrificando le proprie vite:
come non pensare al Sud Sudan, che, dopo decenni di lotta per l’indipendenza,
ora si sta autodistruggendo in una guerra civile senza senso, che soddisfa
soltanto la sete di potere di due leader politici?
Pure Chaaria sta correndo
un rischio simile, anche se io penso che dobbiamo credere che gli ideali si
possono mantenere alti, nonostante tutto.
All’inizio i dipendenti che
lavoravano con noi erano pochissimi: solo quattro infermiere e poche signore
della pulizia.
Con loro era facile instaurare rapporti di amicizia e
soprattutto era quasi naturale trasmettere loro i valori in cui crediamo e per
cui spendiamo le nostre vite: si poteva parlare di spiritualità cottolenghina,
di servizio al povero fino al sacrificio della vita, di dedizione e di
gratuità. Loro ci comprendevano e condividevano queste grandi idee-forza.
Qualcuna addirittura donava del tempo al volontariato o a volte pagava i
farmaci per qualche poveraccio.
Poi però è arrivato il
momento della grande scelta di fondo: continuiamo a rimanere pochi in modo da
non distruggere questo spirito di famiglia e riuscire a condividere non solo le
ore di lavoro ma anche gli ideali di vita? Oppure ci ingrandiamo e di
conseguenza diventiamo una struttura più anonima, con rapporti interpersonali
meno veri, e soprattutto con il continuo arrivo di nuovi membri selezionati in
base soprattutto alle necessità del momento e non in base alla condivisione
dello spirito che ci anima?
Da una parte sarebbe
stato bello non perdere lo spirito di famiglia, ma questo ci avrebbe impedito
di aumentare i nostri servizi: con quattro infermiere come unico staff non
avremmo mai potuto pensare a qualcosa più impegnativo di un dispensario:
impossibile sarebbe stato il servizio ventiquattr’ore su ventiquattro come
richiesto dalla maternità, dal pronto soccorso o anche solo dai reparti in cui
i malati ci sono di notte e di giorno. Impensabile sarebbe stata una sala
operatoria che operi sei giorni alla settimana per la routine... e sempre per
le emergenze.
Abbiamo quindi scelto di
privilegiare il servizio che potevamo offrire e di puntare sempre di più verso
l’eccellenza, perchè una vita salvata ha un valore incommensurabile ed una vita
perduta senza lottare è una sconfitta inaccettabile: ecco quindi che i posti
letto sono sempre aumentati, le prestazioni offerte son divenute sempre più
complesse ed impegnative, la risposta ai problemi di salute della gente è via
via cresciuta sino alla situazione odierna in cui è raro dover trasferire una
persona in un’altra struttura perchè non riusciamo ad aiutarla.
Con i servizi, però, è
parallelamente aumentato il numero del personale: il fatto poi che Chaaria sia
un ospedale molto rurale ed isolato ha fatto sì che da sempre ci sia stato un
velocissimo turn-over, con dipendenti che sovente se ne vanno senza preavviso,
e lasciandoci quindi nella necessità di assumere persone nuove con urgenza e
senza possibilità di conoscerle prima o di selezionarle adeguatamente.
Tale fatto ha pian piano
eroso alcuni pilastri essenziali della nostra identità missionaria: prima di
tutto si è tremendamente abbassato il livello ideale.
Mentre all’inizio tutti
credevamo nelle stesse cose ed avevamo lo stesso sogno per Chaaria, ora poche
sono le persone che davvero condividono il nostro ideale missionario di
servizio ai poveri: tanti lavorano solo per i soldi, cercando di fare il meno
possibile e con pochissimo entusiasmo ed impegno.
E’ frequente per me
sentire questa critica da parte dei volontari e onestamente non posso negare
che sia alle volte sia proprio vero: oggi i dipendenti sono più di cento, e
quindi per Fr Giancarlo ed il sottoscritto è difficile far giungere a tutti,
con l’esempio di vita e con la parola, quello in cui crediamo. In pratica
bisogna ammettere che oggi una buona fetta del personale vive Chaaria come un
normale posto di lavoro, e non come una missione... e vive noi solo come datori
di lavoro e non missionari che si sacrificano per i poveri. In pratica tutto
questo significa che l’afflato ideale ed emotivo del servizio si è grandemente
indebolito, anche se noi continuiamo a crederci e ci sforziamo di instillarlo
in chi vive con noi, sacrificandoci di notte e di giorno.
Un altro tarlo che pian
piano si è intrufolato nella nostra vita è quello del furto: e qui ne parlo in
senso un po’ lato.
Purtroppo abbiamo un
grandissimo problema di furto reale: spariscono medicine, equipaggiamento
ospedaliero, materiale di consumo, soldi. Qualcuno alle volte riusciamo a
sorprenderlo con le mani nel sacco e lo licenziamo (con un grande senso di
delusione e di tradimento ricevuto), ma poi le ruberie continuano
apparentemente su scala sempre più estesa: ci rendiamo quindi conto che non si
tratta di una “mela marcia” tra lo staff, ma di un sistema in cui c’è un vero
racket dello svaligiamento. Forse è un sistema composto da pochi facinorosi, ma
purtroppo è come protetto da una stranissima cultura dell’omertà (che
impercettibilmente diventa connivenza), per cui nessuno vuole venirci a riferire
chi in effetti sono i ladri tra di noi. Questi furti continui, uniti alla
cultura del silenzio, è per noi molto deprimente e scoraggiante e quasi ci
porta a non fidarci più di nessuno: chissà se colui che ti sorride in questo
momento è anche quello che alla sera in qualche modo riesce a far uscire
dall’ospedale uno scatolone di farmaci molto costosi!
All’inizio dell’avventura
ospedaliera a Chaaria, Fr Maurizio ed io non chiudevamo mai il magazzino delle
medicine: lo avremmo considerato una grave mancanza di fiducia verso le nostre
quattro infermiere; oggi i ladri sono così articolati che riescono a portare a
termine i loro “svaligiamenti” anche con tutte le porte chiuse a chiave.
Ma questo non è tutto, in
quanto c’è poi anche il furto del tempo: si arriva in ritardo; si va via prima
del tempo prefissato (soprattutto se io e Giancarlo non siamo presenti), si
allungano a dismisura le pause per il caffè o per il pranzo, si dorme quando si
è in servizio di notte. Io e Giancarlo non possiamo fare pure i carabinieri di
giorno e di notte (anche se qualche giretto inaspettato alle 4 di mattina ci ha
permesso di comprendere molte cose sull’irresponsabilità di qualcuno che dorme
alla grande lasciando l’ospedale completamente scoperto): abbiamo quindi l’inquietante
sensazione di non poter far nulla per una situazione che pare sfuggirci di
mano. A volte paragoniamo la situazione di oggi ad una barca piena di buchi:
tenti ripararne uno e si apre una falla più grande altrove... Ricordo che nei
primi tempi potevamo uscire alla domenica pomeriggio e lasciare le infermiere
da sole in dispensario: eravamo sicuri che nè si sarebbero assentate e neppure
avrebbero rubato. Oggi questa certezza non è più così solida, almeno per una
fetta dei nostri collaboratori.
C’è anche il problema
della mancanza di motivazioni in molti che lavorano qui: quando passo per il
reparto e vedo i pazienti sporchi, oppure mi rendo conto che un malato
paralizzato ha il piatto vicino al letto e nessuno si preoccupa di imboccarlo;
quando le terapie prescritte non vengono eseguite o i malati non ricevono
l’attenzione che si meritano, sovente provo a chiedere a chi è in servizio: “ma
se in quel letto ci fosse tuo padre o tua madre, ti farebbe piacere che fosse
trattato così come tu fai per gli altri?” Vorrei dire loro di più, perchè,
secondo la spiritualità del Cottolengo, nel malato serviamo Gesù stesso; ma
sarei già contento se sempre tutti a Chaaria fossero trattati come i genitori
di chi li serve.
Inutile dire che la tentazione
dello scoraggiamento e della depressione è sempre alle porte sia per me che per
Fr Giancarlo, ma dobbiamo lottare ogni giorno e continuare a credere, ad aver
fiducia e ad aver fede in Dio Padre Provvidente che ci ha ispirato questo
progetto di servizio e ci sostiene ogni giorno nelle nostre fatiche.
E’ vero: i momenti
carismatici degli inizi non possono durare per sempre, ma io credo che il nostro
compito sia quello di mantenere alti gli ideali, soprattutto con il nostro
esempio di vita donata senza riserve per i poveri ed i sofferenti.
Io vedo tutti questi
problemi, ma ostinatamente continuo a pensare che Chaaria sia una stupenda
realtà di servizio dove cerchiamo di dare il massimo e di fare tutto quello che
è in nostro potere per aiutare gli altri. Nessuno può negare che tanta gente
guarisce, trova una risposta ai suoi problemi, è contenta di noi e benedice Dio
per l’aiuto ricevuto qui in ospedale.
Onestamente continuo ad
essere un sognatore per Chaaria, così come lo ero all’inizio, anche se forse
oggi sono un po’ meno idealista ed ho i piedi un attimino più per terra: sogno,
mi dedico incondizionatamente, servo i malati e vorrei fare sempre di più per
loro... ma non ho le fette di prosciutto sugli occhi ed i problemi cerco di
vederli, di accettarli, e, quando possibile, di trovarvi una soluzione.
Chaaria è infatti una
realtà stupenda ma anche problematica e con forte necessità di correzioni e di
guida ed a volte di re-indirizzamento: e come possiamo assolvere a questo
compito non facile ed assolutamente poco gratificante?
Ho sempre creduto che il
nostro servizio incondizionato, il nostro buon esempio, il nostro impegno per
gli altri debbano essere la nostra “predica” quotidiana che ancora possa
indicare a chi lavora con noi che siamo una missione e che vogliamo essere
portatori di un ideale di amore per il quale siamo disposti a donare la vita.
Purtroppo l’essere umano
tende sempre a voler volare basso, ad abbassare gli ideali; ma il nostro
compito è quello di far riprendere quota al nostro servizio ogni volta che
tutto sembra crollare.
Aiutateci con la vostra
preghiera.
Lascio decidere a voi se
la foto rappresenta un’alba od un tramonto,
Fr Beppe
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