Le richieste di fare
qualcosa per gli orfani ci vennero dal Vescovo di Meru già dal 1998. Il vero
problema era assistere i piccolissimi. La diocesi infatti aveva già un
orfanotrofio a Nkabune, fondato negli anni cinquanta dal primo Vescovo di Meru
Monsignor Bessone.
Tale struttura però non era attrezzata per neonati ed
infanti, che restavano quindi disattesi in case private o nell’ospedale
pubblico.
Molti bambini quindi
morivano per mancanza di attrezzature specializzate necessarie alle loro cure.
Anche in quel caso mi
sono mosso con prontezza e con coraggio, ed ho detto di sì.
Ero disponibile ad
accogliere orfani da zero a 12 mesi... li avrei accolti anche se pretermine,
perchè già allora avevamo due incubatrici importate dall’Italia.
Questa era la
necessità espressaci, ed a questa intendevamo rispondere, proprio come ci
insegnava il Cottolengo.
Il problema più grande,
sin dagli inizi, è stato quello della sistemazione logistica: fino ad oggi non
abbiamo ancora potuto avere un reparto separato per loro, ma li teniamo in un angolo della pediatria.
La ragione
principale è stata naturalmente la mancanza di fondi.
La sistemazione in
pediatria ha avuto comunque anche i suoi vantaggi: ha permesso infatti di
utilizzare il personale di quel reparto anche per la cura degli orfani;
inoltre, siccome in pediatria normalmente ricoveriamo le mamme con i loro bimbi
malati, sempre abbiamo trovato una donna disponibile a prendersi cura di un
orfanello che piange e che vuole il biberon o qualche coccola per addormentarsi.
Anche su questo aspetto le donne africane mi affascinano e mi ispirano tanta
ammirazione: non sono egoisticamente ripiegate sul loro figlio, neppure quando
questo è ammalato, ma sanno sempre avere uno sguardo che va oltre, verso le
sofferenze ed i bisogni degli altri.
Abbiamo deciso di darci
come limite massimo di sei orfanelli, sia per motivi di spazio fisico e sia per
altre ragioni legate all’assistenza.
Eccezionalmente, in emergenza, ne abbiamo
avuti anche otto contemporaneamente, ma ci rendiamo conto che un numero più
alto poi porta ad un servizio meno attento e meno personalizzato.
Al momento i bimbi sono
tre nelle culle ed uno incubatrice, mentre subito dopo Pasqua dovremmo accoglierne
altri due, per i quali stiamo attendendo alcuni documenti necessari per
l’affidamento.
Quando gli orfanelli sono
pretermine abbiamo a diposizione due incubatrici espressamente per loro. Con la
prossima ristrutturazione del reparto pediatria, intendiamo allestire un luogo
separato ed espressamente dedicato agli orfanelli, il cui numero potrebbe anche
aumentare grazie a benefattori che ci aiutano in tale settore.
Quando i bimbi non sono
malati, io non sono direttamente coinvolto nel loro servizio: a me le
infermiere si rivolgono in caso di attacchi di malaria o altre patologie
ricorrenti.
E’ ormai un’abitudine
comunque per me passare a salutarli ogni mattina alle 8, prima di iniziare la
giornata di servizio, e poi ritornare a vederli dormire dopo le 22,30, quando
lascio l’ospedale.
Andarli a trovare e chiedere al personale come stanno mi
aiuta molto e riempie quel piccolo vuoto che a volte sento nel cuore: un po’ con
loro mi sento papà, ed onestamente la cosa mi riempie di tenerezza, anche se
poi viene il momento in cui i bimbi vengono trasferiti all’orfanotrofio di
Nkabune, ed allora il distacco è sempre accompagnato da un certo dolore e senso
di solitudine.
Sì perchè questo è quanto
possiamo fare per adesso: un bambino che cammina a quattro zampe sui pavimenti
spesso contaminati dei reparti, che salta le sbarre dei lettini e cade, che va
a rovistare nell’immondizia dei cestini dell’ospedale potrebbe essere un problema
per noi ingestibile... il nostro personale non è sufficiente per stare loro
dietro!
Siamo stati capaci di
salvare la vita a vari orfani pretermine e denutriti che pesavano un
chilogrammo alla nascita; abbiamo tirato fuori molti di loro dalla malaria cerebrale;
abbiamo gestito con successo situazioni di abbandono (come quella volta in cui
un neonato era stato buttato nella fogna ed era stato trovato pieno di vermi
dopo più di ventiquattr’ore)... ma non abbiamo le capacità e la formazione per
gestire quegli aspetti educativi e relazionali che un bimbo più grandicello
necessita: ecco perchè il nostro è un orfanotrofio di passaggio, e tristemente
i bambini ci lasciano prima di imparare a riconoscerci e ad affezionarsi
personalmente a noi.
E’ normale che, se li
rivediamo più avanti perchè sono malati, essi non si ricordino delle cure che
da noi hanno ricevuto per più di un anno, e piangano disperatamente se tentiamo
di prenderli in braccio.
Il nostro è un lavoro in
perdita; lo facciamo per loro, ma poi sappiamo che essi si dimenticheranno di
noi.
Non li trattiamo però
come bimbi malati, anche se sono ospitati in un reparto dell’ospedale. Il
personale li porta a passeggio sui passeggini, li mette al sole e li sa anche
coccolare.
Dal 1998 ad oggi ne sono
passati così tanti che non mi ricordo i nomi di ognuno.
Quasi tutti sono vivi e
forti; qualcuno di loro è già grandicello e va a scuola.
alcuni sono morti (per
fortuna una esigua minoranza): ricordo Ken che era gemello di Bonface ed al
quale abbiamo diagnosticato una malattia cardiaca congenita; altri non ce
l’hanno fatta a superare una malaria cerebrale, una diarrea grave od una
polmonite.
Gli orfani sono un
piccolo settore, se lo paragoniamo ai grandi numeri del nostro ospedale, ma
sono un servizio importantissimo perchè siamo l’unica struttura nel Meru che li
accoglie così piccoli.
Fr Beppe Gaido
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