Quando arrivai a Chaaria
nel 1998, la gente neppure sapeva che esistesse l’AIDS. Molti dubitavano
addirittura della sua esistenza.
Vedevo bembini ed adulti
estremamente emaciati, con la bocca piena di infezioni micotiche.
Visitavo uomini e donne
devastati da diarree irrefrenabili o distrutti dalla tubercolosi. Nella mia
testa sapevo che si trattava di infezione da HIV, ma non avevo a disposizione
neppure gli esami di laboratorio per fare diagnosi.
Un anno dopo riuscii a
procurarmi i primi test HIV e mi resi conto che l’AIDS era una vera epidemia
che stava portando via adulti e bambini: vedevo famiglie distrutte e
letteralmente cancellate dai villaggi attorno a Chaaria; incontravo bambini
rimasti orfani ed abbandonati per la strada, in quanto i loro genitori erano
morti.
In me nacque un forte
senso di frustrazione: a che scopo fare l’esame diagnostico a persone a cui poi
non potevi offrire alcuna possibilità terapeutica? Era come una condanna a
morte data mesi prima del decesso! Non era forse meglio neppure saperlo, visto
che poi non offrivamo nulla?
Molti mi incoraggiavano a
continuare con i test: era importante sapere chi era portatore del virus, allo
scopo di prevenirne la diffusione, per insegnare misure preventive e comportamenti
adeguati; inoltre, curando le malattie intercorrenti, si poteva comunque
allungare di un po’ la sopravvivenza dei pazienti.
Rimaneva comunque il
fatto che tutti i nostri pazienti soccombevano alla malattia, e per noi non
c’era altro che accettare la sconfitta e vivere la nostra missione come un
accompagnamento alla morte, secondo lo stile di Madre Teresa di Calcutta. La
trasmissione materno-infantile al parto era altissima e nulla potevamo fare per
prevenirla.
I farmaci antiretrovirali
arrivarono più tardi, ma i prezzi erano molto costosi: quasi nessuno se li
poteva permettere, e ciò aumentava ulteriormente le mie frustrazioni,
soprattutto quando pensavo che anni prima all’Amedeo di Savoia di Torino, prescrivevamo
i farmaci gratuitamente a tutti i pazienti.
Questa situazione è
continuata per molti anni, e migliaia di persone sono state travolte dalla
pandemia AIDS, senza avere la possibilità di alcun trattamento: si tratta di un
numero incalcolabile di vite umane perse a motivo degli alti prezzi di medicine
già presenti sul mercato e gratuite in altre parti del mondo.
Ora la situazione è molto
migliorata.
Grazie agli sforzi
dell’organizzazione mondiale della sanità (OMS) e di altri grandi organismi
internazionali, i test HIV ed i farmaci antiretrovirali sono oggi gratuiti ed
il numero di persone che ne possono beneficiare aumenta anche in Kenya anno
dopo anno.
L’AIDS, da malattia
mortale e senza speranza, si è gradualmente trasformata in una condizione
cronica che permette lunghe sopravvivenze, anche se molto rimane ancora da
fare, sia nel campo della prevenzione che in quello della terapia.
A Chaaria, grazie alla
comunità di Sant’Egidio, oggi riusciamo ad offrire gratuitamente anche le
terapie per le malattie opportunistiche ed addirittura il supporto nutrizionale
per i malati più defedati... ma non è così ovunque. In tanti posti queste
medicine sono ancora a pagamento e costituiscono un peso economico importante
per i malati.
E noi siamo in una
situazioni privilegiata rispetto a tante altre parti dell’Africa: ci sono
Nazioni perennemente dilaniate dalla guerra in cui i soldi vengono spesi per gli
eserciti e per gli armamenti, invece di pensare ai bisogni di salute della povera
gente.
Penso alla Repubblica
Democratica del Congo, al Sud Sudan o alla Somalia, non perchè esse siano gli
unici Paesi con problemi in tale settore, ma semplicemente perchè ho amici che
vi lavorano e mi dicono che la gente spessissimo non ha ancora accesso ai test
HIV, e certamente non può avere i farmaci antiretrovirali.
E’ sempre triste per me
pensare che la possibilità o meno di curarsi per l’HIV, così come l’opportunità
di sopravvivere e di avere un figlio sano dipendano da dove si nasce e dalle
condizioni di povertà delle Nazioni in cui si vive.
Fr Beppe Gaido
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