La Dottoressa Khadija ed il clinicl officer della pediatria stanno facendo
di tutto per trovare la quadra nell’alimentazione dei bimbi pretermine che
affollano il nostro nido: il piu’ piccolo pesa cira 500 grammi, mentre il piu’
grandicello al momento arriva a circa 1800 grammi.
Nella stanza accanto, dove normalmente giacciono le donne cesarizzate il
primo giorno dopo l’intervento, la nostra Eunice sta offrendo alla mamma il suo
primogenito: un maschione di 4 chilogrammi che abbiamo fatto fatica ad estrarre
dalla breccia operatoria, tanto era enorme.
Facendo due passi, si entra in sala parto, dove il clima e’ mesto perche’
una paziente ha appena partorito un feto morto: era una morte annunciata, in
quanto l’ecografia lo aveva sentenziato poche ore prima. Il travaglio che ne
era seguito era stato un tempo tremendo, in cui la mamma aveva pianto disperata,
non tanto per le doglie del parto, quanto per la “mortale angoscia” di aver
portato in grembo un bimbo per nove mesi, solo per poi vederlo ormai cadavere.
Sono impatti duri per la nostra psicologia. A volte ci si vorrebbe
estraniare da un tale concentrato di umano.
Ma la pediatria non ci risparmia sentimenti analoghi; e’ vero che tanti
piccoli si riprendono e vanno a casa, ma il nostro cuore viene attratto da chi
non ce la fa... sempre per la vecchia storia che “fa piu’ rumore un albero che
cade di una foresta che cresce”.
In una cullina piccolissima vediamo una bambinetta di quattro giorni, che
dalla nascita sta facendo una fatica tremenda a respirare, a causa di un parto
distocico e prolungato. Fino a ieri la pensavamo praticamente gia’ morta, ed
anche i nostri sforzi di rianimazione facevano parte piu’ di un automatismo
meccanico teso a placare i rimorsi della nostra coscienza, che di vera
convinzione di potercela fare. Oggi pero’ il respiro sembra un po’ migliore, e
la madre e’ riuscita a farle trangugiare un pochino di latte che lei stessa si
era tirata dal seno ed aveva posto in una siringa.
Sotto il letto di questa bimba morente ci sono due bimbi di circa 2 anni, i
quali, ignari dell’aura di morte che si aggira per la camera, giocano
rincorrendo un palloncino che lo staff ha loro preparato con un guanto di
lattice: li ricordo all’arrivo questi due bimbi! Una malaria cerebrale tremenda
in entrambi i casi... ma a loro e’ andata bene, ed ora aspettano solo di essere
dimessi, e schiamazzano imperterriti tra i letti dell’ospedale.
Vedo in un angolo della pediatria una madre mesta; ha l’occhio perso nel
vuoto e sembra lontanissima con il pensiero. Non ha alcun bambino da
accudire... Ma adesso ne ricordo la ragione! Suo figlio e’ morto ieri sera. E’
avvenuto tutto in un attimo: una convulsione tremenda ha contratto il corpo del
bambino dodicenne, che ha anche smesso di respirare.
La madre e’ corsa a cercarci portandosi in braccio questo umano fardello
rannicchiato in una posizione grottesca; abbiamo fatto del valium, ed il
piccolo paziente si e’ rilassato... pero’ non ha mai ripreso a respirare. Jesse
lo ha rianimato, ma non e’ servito a nulla. Il bimbo se ne era gia’ andato, e
davanti a noi avevamo un cadavere ed una genitrice disperata che batteva la
testa sul pavimento in un pianto dirotto.
Ora e’ piu’ calma di ieri, ed aspetta che qualcuno dei familiari venga a
prenderla, poiche’ viene da molto lontano.
Anche il reparto di medicina e’ pieno di
questi contrasti, in cui pare di toccare gli estremi della vita: un
quindicenne vestito di bianco e pieno di vitalita’ adolescenziale e’ stato
ricoverato per una circoncisione tradizionale, e prende il sole come una
lucertola, seduto a fianco di un ultra novantasettenne con un catetere a
permanenza e con i piedi infestati da pulci penetranti.
Il giovane aspetta i genitori per la dimissione; il vecchio e’ stato
abbandonato qui dai familiari, e credo che con noi ci rimarra’ fino alla
sepoltura.
Qualche letto piu’ avanti, Karembo pare uno scheletro di Mathausen, ma non
sono stati i nazisti a ridurla cosi’; e’ stato l’AIDS. Karembo e’ una persona
nata sotto una cattiva stella: la sua era una buona famiglia ed il padre era
insegnante. Karembo ha due fratelli maggiori che suo papa’ ha fatto studiare
fino all’universita’; ma a poche settimane dalla laurea entrambi hanno dato
segni di malattia psichiatrica, ed ora sono girovaghi nei dintorni di Chaaria; si
vestono di stracci e tutti li temono in quanto dediti allo stupro sistematico.
Per fuggire da questa situazione familiare tremenda, Karembo si e’ sposata
presto, ma anche li’ e’ stata perseguitata dalla sfortuna: ha tentato per due
volte di rimanere incinta, ma entrambe le volte la gravidanza era extrauterina.
Per due volte l’abbiamo operata, ma la situazione delle sue tube era tale che
non abbiamo potuto fare altro che reciderle; prima una e poi l’altra. L’avevamo
in effetti resa sterile, condannandola ad un ostracismo psicologico assicurato
in una societa’ come la nostra, che non ha alcun rispetto per le donne incapaci
di generare... ma in quei momenti in sala bisognava salvarle la vita e decidere
in fretta!
Poi, come se non bastasse, e’ arrivato l’AIDS a completare la sua opera
distruttiva sulla sua vita miserabile.
Karembo non riesce a mangiare da sola perche’ e’ troppo debole; ma la sua
vicina di letto e’ molto contenta perche’ l’abbiamo operata di ernia ed ora
attende la dimissione. E’ lei ad averla adottata, si prende cura della sua alimentazione con
amore veramente materno, anche se alcuni giorni fa neppure si conoscevano.
Chaaria e’ un conglomerato di estremi, che sempre si incontrano, si
mescolano e si confondono. E’ l’aspetto duro di Chaaria, ma e’ anche il suo
fascino...
Vorrei stare ancora con voi a raccontarvi tante altre storie altrettanto
pregnanti, ma mi han chiamato in sala per un cesareo urgente. Anche questo e’
Chaaria: non c’e’ orario, non c’e’ week end, non c’e’ tempo libero quando un’emergenza
ti obbliga a lasciare qualunque cosa tu stia facendo, per dare il primo posto a
chi soffre.
Quando stavo per decidere sulla mia scelta di vita nel lontano 1980, venni
colpito da un manifesto a sfondo vocazionale sul quale era raffigurato un vecchio
orologio a cipolla privo di lancette. Lo slogan di quel poster diceva: “Per
Cristo a tempo pieno”.
Ecco, anche questo e’ uno degli estremi di Chaaria: un orario di servizio
che non conosce orario.
Fr Beppe Gaido
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