Piove. Fortissimo. Fa un
rumore come di risacca.
Dopo tanto pregare, è
arrivata la stagione delle piogge, e quest’anno pare davvero pesante a causa
del fenomeno El Nino.
Un muro d’acqua, come una
cascata dal cielo tutta la notte e gran parte della giornata.
Difficile da descrivere:
immaginate un cielo sereno, pieno di stelle, con una luna grande e luminosa da
fare ombra. E di colpo non qualche goccia, ma milioni di milioni di pezzi di
nuvola, che non si capisce da dove sian saltati fuori.
Il problema è che adesso piove troppo. Campi allagati, case portate via,
persone annegate.
Da una parte la pioggia è certamente un dono di Dio, perché acqua è
sinonimo di buoni raccolti e di qualcosa da mettere sulla tavola anche per i
più poveri. Un buon raccolto assicurerà il pagamento delle rette scolastiche a
tutti quei genitori sempre angosciati dal fatto che i loro figli possono essere
mandati a casa dalla “Secondary School” se il denaro non arriva in tempo.
Pioggia vuol anche dire che le cisterne dell’acqua piovana vicino alle case
sono ora piene, e permetteranno di evitare i viaggi al fiume con la tanica
sulle spalle almeno per qualche mese.
Però indubbiamente la
pioggia è sempre un problema per il nostro Centro che si trova a più di 20 km
dall’asfalto ed è raggiungibile solo attraverso strade terribilmente sconnesse,
dove si sprofonda nella polvere durante la stagione secca e dove si annega nel
fango argilloso durante la “rainy season”. Sulla strada si aprono voragini
enormi che pian piano la trasformano in un torrente in piena. Spesso i
ponticelli crollano sotto il peso della corrente.
Le condizioni della nostra strada fanno sì che moltissimi pazienti decidano
di non intraprendere il cammino faticoso per raggiungere Chaaria, sempre così
sperduta e poco collegata. Quando possono si recano ad un centro vicino a casa,
ricevendo lì qualche cura del caso e rimandando di qualche settimana la visita
al grande ospedale.
Altri decidono di fare a
meno dell’ospedale completamente: si rivolgono a guaritori tradizionali o
decidono per esempio di partorire a casa, aiutate da levatrici non qualificate.
Anche per chi decide di andare in ospedale, a volte è comunque impossibile
nella stagione delle piogge: è di ieri la triste notizia di una donna che ha
tentato di andare in un altro ospedale per complicazioni legate alla gravidanza,
ma il mezzo da lei affittato si è impantanato. La mamma quindi non ha potuto
raggiungere quel centro di salute ed è stata riportata a casa, dove levatrici
tradizionali l’hanno aiutata a partorire un feto già morto. Putroppo poi, anche
la mamma è deceduta per emorragia post-parto.
C’è poi da dire che in una cultura di sopravvivenza come la nostra i lavori
dei campi prendono il primo posto su tutto: nessuno penserebbe ad una cura
odontoiatrica quando c’è da togliere l’erbaccia nel campo; e se ci sono alcune
ore di sole, si corre nella “shamba” con la “panga” in mano, cercando di
completare il lavoro prima che riprenda a diluviare.
Per noi poi tutto diventa
più difficile: il camion delle medicine non arriva fino a Chaaria perchè
altrimenti rimane impantanato. Siamo noi che dobbiamo andare a prendere i
farmaci a Meru con non pochi rischi per chi guida.
Alle volte poi dobbiamo uscire a salvare qualcuno dei nostri pazienti
perchè l’autista del matatu dove viaggiavano per raggiungere Chaaria si è
ritrovato fuori strada con l’albero motore completamente sepolto in una palude
di fango.
La pioggia in qualche
modo aumenta il senso di isolamento e di impotenza: siamo qui a disposizione,
con tutto il personale pronto, ma la gente non viene, o forse spesso non riesce
a raggiungerci.
Ma è pur vero che la stagione delle piogge porta altri aspetti positivi da
non sottovalutare, come la possibilità di studiare e di prepararci meglio a
curare i nostri pazienti, un po’ più di tempo per pregare e per chiedere al
Signore di essere sempre la nostra forza, una maggior tranquillità per
assistere e visitare i nostri malati già ricoverati.
Come rifiutare per esempio un’ecografia alla spalla di un vecchietto che mi
chiede di posare la sonda direttamente sul punto dolente? O come non fare
l’elettrocardiogramma al paziente iperteso che ha fatto magari 4 giorni di
viaggio per raggiungere Chaaria da Marsabit?
La
Missione è più silenziosa e riflessiva quando piove, quasi per prepararsi al
grande afflusso di pazienti che aspettiamo da metà dicembre in poi, fino almeno
alla fine di giugno. E’ anche molto più ricca di insetti di ogni tipo: dalla
mantide religiosa alle libellule, dagli scarafaggi agli scarabei, dai mosconi
alle anofeli portatrici di malaria.
Ora vi saluto e vi
abbraccio, chiedendo scusa per quanto forse questa breve lettera sarà confusa,
ma capitemi: è sera tardi e butto giù dei pensieri così come mi vengono, senza
filtri.
Fr Beppe Gaido
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