Avevo sei anni di eta’, e da alcuni mesi mi sentivo sempre piu’ affaticata.
La mia pancia diventava ogni giorno piu’ prominente, quasi come se fossi
incinta, anche se non mangiavo quasi nulla.
La mamma mi ha portata tante al dispensario ed hanno continuato a darmi
delle medicine per la malaria. Io pero’ non miglioravo affatto. Ho cominciato a
sentire il cuore battere fortissimo e alla velocita’ di una locomotiva. Anche
il mio respiro e’ divenuto via via piu’ affannoso, quasi come se non riuscissi
ad inspirare abbastanza ossigeno.
Sono arrivata a Chaaria venerdi’ scorso, sulle spalle della mia mamma,
perche’ non riuscivo a camminare: le mie gambe non hanno piu’ forza; sono
diventate sottilissime ed i miei muscoli sono quasi del tutto scomparsi.
La mia mamma era stanchissima, anche se io non peso piu’ di 20 kg.
Hanno iniziato subito a farmi tanti
esami che per il passato non avevo mai visto. Prima di tutto l’ecografia, che
e’ una specie di televisore che vede dentro di te, anche senza bucarti la
pancia: ho sentito che parlavano di milza molto ingrandita, fin sotto il
livello dell’ombelico. Inoltre insistevano anche sull’epatomegalia, e mi pare
di aver capito significhi che il mio fegato e’ tutto gonfio. Poi parlavano di
ascite, ed ho capito che intendevano acqua nel mio addome. Ecco perche’ sono
diventata grossa come la mamma quando aspettava il mio fratellino, ma allo
stesso tempo ho perso tutta la ciccia dalle braccia e dalle gambe.
Non sono grassa; sono gonfia come un pallone pieno di liquido.
Ho sentito dire che non ho praticamente sangue e che ho bisogno di
trasfusioni. Parlavano anche di piastrine molto basse che avrebbero reso la
puntura splenica molto pericolosa.
Ho cominciato a tremare: vorranno mica per caso bucarmi la pancia con un
ago!!!
Io pero’ stavo di male in peggio. Anche dopo aver ricevuto due pinte di sangue,
il mio respiro rimaneva molto difficoltoso. Non riuscivo a stare sdraiata ed ho
fatto capire alla mamma che avevo bisogno almeno di tre cuscini… se no, mi
sentivo soffocare.
Ho capito di essere un caso molto difficile perche’ tutti venivano a
visitarmi e poi scuotevano la testa, come a dire: non ci capisco niente. Più
tardi ho sentito uno col camice bianco iniziare a parlare di leucemia. Mi hanno
“tirato” del sangue da una vena, ma poi hanno concluso che anche quel test era
risultato negativo.
Io volevo dire a tutti che la cosa più importante era farmi respirare.
Mamma questo lo ha capito ed ha chiesto che mi mettessero l’ossigeno.
Poi domenica mattina, dopo una notte terribile spesa a trovare una
posizione in cui poter fare entrare un po’ di ossigeno nei mie polmoni, ho
visto che il dottore “bianco” insisteva nuovamente sulla puntura splenica. Ho
iniziato a piangere disperata, ma devo ammettere che mi ha fatto piu’ male la
anestesia locale che non il singolo buco praticato nella massa dura che ho
nella parte sinistra del mio pancione. Hanno estratto un po’ di sangue scuro.
Alle due del pomeriggio già c’era il risultato, ed il dottore “mzungu” e’
venuto a parlare con la mia mamma. Io continuavo ad essere agitata e a
respirare malissimo, nonostante la maschera dell’ossigeno. Il medico ha detto a
mia madre che avevo il Kala Azar, e che bisognava iniziare con una terapia
molto costosa ed anche tossica. Bisognava però ordinarla a Nairobi, in quanto a
Meru non la si poteva trovare.
Io non avevo la piu’ pallida idea di che cosa fosse quella malattia, ma il dottore
insisteva sul fatto che era grave e che bisognava tentare la cura anche a costo
di vendere una mucca o un pezzo di terra.
Mamy piangeva e diceva che non avrebbe potuto decidere da sola. Bisognava
aspettare il mio papy l’indomani. Però lo “mzungu” la incalzava, aggiungendo
che avrebbe comunque ordinato la medicina immediatamente, telefonando al
farmacista.
Mentre ancora parlavano, io ho sentito che la forza nei muscoli del mio
torace veniva meno. Tiravo con tutta me stessa, ma non creavo alcun mantice per
succhiare dentro ossigeno: con un filo di voce ho detto:
“Ngakwa”, che significa “sto morendo”.
Di scatto il medico e la mia mamma si sono girati. Poi l’uomo bianco si e’
messo a correre ed e’ tornato con altre due infermiere. Io mi sentivo agitata.
Non potevo stare in nessuna posizione. Mi mancava il respiro. Volevo dimenarmi
e buttarmi giu’ dal letto.
“Ngakwa, mumy… Ngakwa”.
Mia madre piangeva e continuava a ripetermi di non dire quella parola, ma
io me lo sentivo. E’ qualcosa che non riesco a spiegare; ma tutti, anche i bambini,
avvertono quando la vita sta loro sfuggendo. E’ qualcosa che ti esce dalle
membra, e che non vuoi lasciare andare, ma non ci riesci. Allora ti agiti, ti
dimeni, cerchi di attivare i tuoi muscoli respiratori piu’ che puoi, perche’ lo
sai che “fin che c’è respiro c’è speranza”.
Ma alla fine ti lasci andare. E’ un oblio dolce, un riposo che senti
meritato al termine di una agonia che sembrava non finire mai. E poi avverti la
pace del Paradiso, e le tue membra contratte dal dolore si rilassano. Diventi bella
come prima di essere malata e ti addormenti nel Signore. Questo e’ quanto mi e’
successo oggi in meno di un’ora: pero’ ora sto bene e sono felice. Vedo mia
madre che continua a piangere, ma la raggiungero’ e le parlero’ dal profondo
del cuore: le faro’ coraggio e lei capira’ che, se quello che ha sempre voluto
per me e’ la mia felicita’, allora non deve essere triste, perche’ il luogo in cui
mi trovo e’ gioia infinita.
PS: (la storia e’ completamente vera, ed esprime quello che l’esperienza
sempre mi ha posto davanti agli occhi: i malati lo sentono quando la vita li
sta lasciando… a qualunque età)
Fr Beppe
Nessun commento:
Posta un commento