Cap
2: “Chaaria mi ha cambiato profondamente
la vita… A Chaaria ho scoperto che cosa è la felicità”.
Cap
7: “Oggi mi sono svegliato con un umore
pessimo e una sensazione di fallimento e di solitudine…”
Cap
25: “Nella vita ci sono dei momenti
oscuri, smarrimenti… ci sentiamo soli…”
Fr.
Beppe si presenta così nel suo secondo libro in cui racconta la sua esperienza
di vita, come religioso e come medico, nel profondo Kenya.
Apparentemente,
questa confessione ci appare come una grande contraddizione, in realtà al
termine della lettura queste parole ci mostrano la sua fragilità umana, ma
anche la sua profonda fede.
Questo
secondo libro è la conferma di una testimonianza di come si può vivere
integralmente la vocazione al dono della propria vita agli altri.
L’equilibrio
che, in fondo, caratterizza l’azione di Beppe è riassunto in un’altra sua
frase: “Il futuro è certamente nelle mani
di Dio, ma anche un po’ nelle nostre ”. Egli non si tira indietro per nulla
di fronte alle mille difficoltà, anche sconvolgenti, che incontra
instancabilmente giorno e notte nel suo ospedale, perché dentro di sé ha la
forza della fede.
I
vari capitoli raccontano episodi fortemente commoventi che descrivono
l’incontro con la sofferenza delle donne, delle mamme e dei bambini, ma anche
episodi al limite della tolleranza che descrivono con una certa crudezza il
contatto con la violenza e i suoi effetti sul corpo delle vittime (il capitolo
28 “non si può leggere!”).
Poiché ho avuto modo di conoscere Beppe,
l’ospedale, l’ambiente periferico del Kenya, le problematiche di “convivenza”
come mzungu (uomo bianco) in mezzo
alla popolazione africana, mi sento di confermare la testimonianza sulla triste
realtà dei ragazzi di strada, sulla fragilità e sottomissione delle donne nei
confronti degli uomini dispotici e violenti, sul dramma dei malati di AIDS.
La
perdita di un paziente, sia uomo, donna o neonato, viene descritta con sincera
afflizione, fino al tormento di non sentirsi adeguato ai bisogni di quella
gente.
“Donarsi senza riserve”
include anche il senso di fallimento della propria opera, allorché il risultato
non corrisponde alle attese rispetto alla propria disponibilità totale.
L’accettazione
dei limiti è frutto della consapevolezza di aver fatto tutto il possibile,
nonostante le contrarietà riscontrate in persone forse disperatamente ingrate.
Le
riflessioni che scaturiscono dalla lettura del libro ci inducono a non
continuare a ignorare l’esistenza di un mondo, quello africano, bisognoso di
aiuti ben più essenziali e concreti da parte di tutti, in primis dai governanti
del Paese, oltre che dai wazungu, come
Beppe, che mettono la loro vita a
disposizione, talvolta a rischio, dei poveri e dei malati, che appaiono
abbandonati al loro destino.
L’ammirazione
per l’opera meritoria di Fr. Beppe è bene che si trasformi in partecipazione
concreta non solo per il sostegno e la continuazione di questo immane lavoro,
che si protrae da quasi 18 anni, ma anche in vista di un inevitabile futuro di “africanizzazione”
di Chaaria, come di tutte le iniziative attualmente sostenute dagli
occidentali.
L’ultima
parola del libro non per nulla è “sperare”,
e non poteva essere altrimenti, ma
sappiamo bene che oggigiorno anche
sperare non è facile.
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