mercoledì 11 maggio 2016

Ritmi quasi sostenibili

La situazione lavorativa è davvero estrema.
La pressione delle persone da operare, soprattutto per l'ortopedico, ma anche per la chirurgia generale e per la ginecologia è davvero altissimo.
Siamo stremati ma cerchiamo di rispondere a tutti quelli che si rivolgono a noi per i loro bisogni di salute.
Oggi sono quasi incapace di scrivere sia per l'ora tardissima che per la grave stanchezza fisica, ma vi voglio accennare ad una delle belle storie che hanno costellato la nostra giornata.
Una donna aveva una frattura di femore mai guarita e mai operata da circa dieci anni.
Perchè mai guarita? Semplicemente perchè non era stata operata...e perchè mai operata? Ovviamente perchè non aveva soldi.
Queste sono le tristi situazioni che incontriamo tutti i giorni.
Camminava con stampelle rudimentali, senza poter appoggiare l'arto a terra. Infatti il femore era diviso in due monconi separati, ciondolanti ed estremamente mobili.
Mi chiedo come abbia potuto vivere così per tutto quel tempo.


Oggi siamo riusciti ad operarla ed a metterle un chiodo endomidollare: l'osso era fragile, dopo tutti quegli anni in una situazione patologica. Le abbiamo quindi anche messo un gesso che dovrà tenere per almeno un mese.
Nonostante le condizioni di quell'osso abbiamo comunque fondata speranza che, alla rimozione del gesso, essa potrà camminare.
E' una storia come tante, ma sono proprio le storie come questa che continuano a darci la forza di portare avanti quel fardello sempre più pesante che l'ospedale di Chaaria sta diventando.
Quando sono stremato come stasera, mi sento in comunione con le tante donne della nostra zona, schiacciate anche loro da pesi più pesanti di quanto le loro spalle possano portare.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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