Mancare alcuni giorni da Chaaria è sempre un'esperienza bella ed entusiasmante per le persone che incontri, ma il peso del lavoro arretrato quando ritorni è davvero massacrante.
Stavolta poi la Dottoressa Khadija mi ha appena aspettato per darmi le consegne ed è andata in ferie.
Mi sono ritrovato da solo, con un carico di appuntamenti, di ecografie e gastroscopie davvero impressionante.
Non mi sembra di esagerare se dico che è una attività che toglie il respiro: si inizia prestissimo e si finisce veramente tardi (ieri la seduta operatoria è incominciata alle 6.30 del mattino ed è terminata alle 22.30 con un raschiamento urgente).
Difficilissimo è bilanciare tra attività chirurgica, ambulatorio e problematiche di reparto.
Mi viene sempre in mente il paragone della cavalletta; sì, mi sento proprio come una cavalletta. La giornata è un continuo saltare dal tavolo operatorio, al gastroscopio, al reparto, all'ascolto di un malato che ti espone i suoi mali, alla sala parto dove qualche mamma ha problemi a partorire. Salti e cerchi di dare sempre il meglio di te, anche quando sei sfinito.
Le pause pranzo sono brevissime e poi si deve ritornare nella bolgia, per tentare di finire la coda dei malati entro sera.
Purtroppo finora ho sempre lavorato in "overbooking": ho così tanti pazienti ricoverati per intervento che non ce la faccio a smaltire la lista di attesa...alcuni attendono vari giorni prima di entrare in sala.
Faccio sempre delle liste operatorie generose ed ottimiste, sperando riuscire a finirle; ma poi capita sovente l'emergenza o l'intervento complicato che dura più del previsto, e quindi qualcuno della lista salta all'indomani.
Posticipare un'operazione è per me una sconfitta e per il malato una bruttissima notizia, visto che è rimasto digiuno tutto il giorno e pieno di tensione e paura.
A poco valgono per consolarlo le mie rassicurazioni che sarà il primo nella lista del giorno seguente: tutti a Chaaria sanno che basta un'emergenza e primo della lista non lo sei già più.
Indubbiamente mi sembra di fare tanto, sia in ambulatorio, che in reparto, come anche in sala: alla sera sempre riesco sempre a vedere tutti i pazienti ambulatoriali, ma quello che ricevo in cambio non è il grazie per il sacrificio che ho fatto nel visitarli anche se ero stremato e se era ormai tardissimo; al contrario, mi devo sorbire lamentazioni da parte dei pazienti che dicono di aver aspettato sin dal mattino.
In sala mediamente facciamo 8 o 9 operazioni, ma chi è operato ha troppo male per dirti grazie: sono molto rumorosi invece quelli che non sono ancora entrati nella lista operatoria e si lamentano di aver aspettato molti giorni in ospedale.
A rendere più difficile la situazione ci si mettono anche alcuni pazienti che non stanno andando troppo bene nel decorso post-operatorio: per esempio ho due prostate che sanginano; un paziente prostatectomizzato che ha una fistola urinosa; una tirodectomia ed una frattura che han "fatto" pus dopo l'operazione.
Queste complicazioni mi deprimono e stendono un alone di depressione sulla mie giornate già così farraginose e faticose.
Questa sera sono particolarmente stanco ed ho la testa davvero ridotta a mozzarella: ho fatto il giro del dopo-cena come un automa, sperando di finire al più presto ed andare a letto.
Ad un certo punto mi ha chiamato un paziente di recente gastrectomizzato.
Mi è venuto un colpo: "avrà complicazioni anche lui? Cosa sarà successo?"
Mi avvicino titubante a chiedere quale fosse il problema: temevo una deiscenza della ferita o cose del genere.
Invece lui candidamente mi ha chiesto: "dopo quanto tempo potrò nuovamente espletare i miei doveri coniugali con mia moglie?"
A questa domanda, stanco me ero, non sapevo se mettermi a ridere a crepapelle o ad urlare di rabbia. Mi sono comunque trattenuto, felice soprattutto che non ci siano complicazioni post-operatorie (almeno finora).
Gli ho messo una mano sulla spalla e gli ho semplicemente detto: "pensa solo a guarire. I tuoi doveri coniugali li potrai espletare presto, e molto presto"
Fr Beppe Gaido
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