sabato 25 giugno 2016

La maledizione di Judith

La conosco da quando era una bambina.
L'ho vista crescere e diventare prima una bella ragazzina e poi una giovane davvero attraente: alta e snella, carnagione chiara per queste latitudini, capelli lisci e vagamente somali.
La sua bellezza fisica non era mai andata di pari passo purtroppo con tanta voglia di studiare: ha a mala pena finito le scuole primarie, sempre l'ultima della classe.
Era però molto attiva in parrocchia ed era una dei membri più bravi del gruppo addetto alle danze durante le celebrazioni eucaristiche.
Adesso ha all'incirca 25-26 anni, ma onestamente ne dimostra 80.
La sua bellezza è rapidamente sfiorita, mangiata da una malattia che non perdona, nonostante le terapie che oggi abbiamo a disposizione.
Da quando le ho fatto diagnosi di HIV sei anni or sono, Judith è diventata sempre più magra: in lei ho sempre visto uno dei quadri più tipici dell'AIDS africano, quello che qui comunemente chiamiamo la "slim disease". 
Era diventata uno scheletro che cammina: alta, ma con pelle raggrinzita dalla disidratazione e dalla malnutrizione che a mala pena ricopriva la sue ossa sporgenti. L'aspetto del volto era diventato vecchieggiate, gli occhi incavati e quasi scomparsi in fondo alle orbite.
Quando apriva la bocca, un tanfo insopportabile ti assaliva: i suoi denti, ormai rotti e cariati, erano diventati neri; le sua gengive, il suo palato e la sua lingua erano ricoperti da uno spesso strato di mughetto che puzzava tremendamente, le dava un senso terribile di cattivo gusto per tutti i cibi e le provocava intenso dolore tutte le volte che provava a deglutire.


Gli antiretrovirali con lei non funzionavano tanto bene: forse sarà stato perchè insieme si era presa anche la tubercolosi, o forse perchè sovente dimenticava di assumere le compresse.
La sua infezione da HIV ha radici antiche, quando, giovanissima adolescente, si sentiva tanto bella da essere invincibile ed inattaccabile: era corteggiata dai ragazzini della zona; lei sapeva di piacere a tutti, e la cosa non le dispiaceva affatto.
Un'intensa e spericolata vita sessuale in adolescenza non le ha soltanto procurato l'AIDS, ma putroppo anche una gravidanza extrauterina quattro anno orsono.
Era arrivata in ospedale anemica e collassata e l'avevamo salvata per un pelo: avevamo però dovuto toglierle una tuba, ormai distrutta dell'ectopica rotta.
L'avevo poi seguita ancora nella clinica HIV.
Terminata la terapia per la TBC, anche i farmaci per l'HIV parevano funzionare un po' meglio. Per lei il carico di pastiglie da deglutire era nettamente diminuito, e pian piano aveva ripreso un po' di chili: anche il suo aspetto fisico era migliorato...era ritornata decisamente bella!
Negli ultimi due anni Judith era anche riuscita a trovare un partner stabile: anche lui sieropositivo, ma convinto che avrebbero potuto vivere insieme, volersi bene e sostenersi a lungo, se avessero preso la terapia con dedizione certosina.
La loro è diventata una relazione bella e direi anche molto romantica: venivano in ospedale insieme per i controlli; si vedeva a distanza di chilometri che si volevano un gran bene.
Alcuni mesi fa Judith è però tornata nuovamente in ospedale durante la notte in condizioni gravissime. Di nuovo abbiamo fatto diagnosi di gravidanza extrauterna rotta: stavolta era successo nell'unica tuba superstite. E' stata durissima per me dire a Judith che in sala, nonostante tutti i nostri sforzi, non era stato possibile evitare la salpingectomia perchè la situazione era disastrosa.
L'avevano desiderato tanto quel bambino, lei e suo marito!
Sapevano che con le terapie a nostra disposizione oggi, il bimbo avrebbe potuto nascere sano, senza contrarre l'HIV dalla madre!
Oltre a tutte le altre sventure, le era capitato anche di essere diventata sterile, senza figli e senza possibiltà di averne...situazione davvero tremenda per una donna africana!
Judith è caduta in una profonda depressione.
Abbiamo tentato in tutti i modi di aiutarla ad accettare la situazione, ma la depressione se la stava portando via inesorabilmente, nonostante i nostri "counseling" e le nostre medicine antidepressive.
Pure il marito non riusciva più a farla mangiare; era totalmente riluttante ad assumere le terapie; in pratica si stava lasciando morire...credo che non le interessasse più vivere.
Purtroppo l'ho saputo solo oggi: alla fine Judith non ce l'ha fatta e se n'è andata, lasciandosi alle spalle un marito che le ha davvero voluto bene anche se per un tempo troppo breve.
Non la seguivo più io da un po' di tempo perchè ad un certo punto avevano deciso di spostarsi e di andare a vivere lontani...forse per sfuggire alla stigmatizzazione ed ai giudizi dei benpensanti.
E' morta in un altro ospedale ed io lo sono venuto a sapere per caso.

"Una preghiera per te, piccola e sfortunata Judy! La tua vita piena di dolore e sventure mi fa sentire tanto triste. Ti auguro un posto stupendo in Paradiso!"

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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