venerdì 29 luglio 2016

Esperienza dura

Antony è un ragazzo che seguo da un po' di tempo per una gravissima forma di cardite reumatica.
Ha 14 anni e viene regolarmente con il papà per le visite di controllo.
E' venuto anche questa mattina, come da appuntamento.
Il nostro sogno sarebbe stato quello di farlo operare di sostituzione valvolare con l'aiuto della Associazione Ndugu Zangu, ed attendevamo la possibilità di avere uno screening cardiochirurgico alla prossima occasione.
Questa mattina Antony è arrivato decisamente presto con il suo babbo, e mi ha trovato in sala operatoria per una amputazione di gamba.
Ha quindi dovuto attendere un po' prima che io potessi visitarlo.
Uscito di sala e recatomi in ambulatorio per cominciare le visite, sono stato però colpito da due dei nostri infermieri che spingevano una barella su cui era steso un cadavere coperto da un lenzuolo bianco.
Incuriosito li ho seguiti per sapere di cosa si trattasse: le morti in ambulatorio sono in effetti piuttosto rare e sempre inquietanti.
Sono rimasto di sasso quando, a fianco della barella, ho visto il papà di Antony.
Non piangeva ed aveva un'espressione triste ma assolutamente dignitosa.


Ho alzato un angolo del lenzuolo ed ho visto la faccia distesa e quasi serena di quel povero ragazzo: è stata una pugnalata vedermelo davanti morto e sapere che stava aspettando di essere visitato da me quando la morte lo ha colto all'improvviso.
Certo, il suo cuore era sconquassato!
Certamente la mia visita fatta un'ora prima non gli avrebbe salvato la vita!
Ma esperienze del genere fanno sempre male.
Oggi non sono arrivato in tempo a visitarlo, ma soprattutto non sono riuscito a farlo operare al cuore, nè a salvargli la vita.

Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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