martedì 19 luglio 2016

Fissazione interna di frattura scomposta di omero

Si tratta di una paziente di 71 anni che ha riportato la frattura di omero dopo una caduta.
La lastra è di qualità scadente, ed è stata eseguita in un altro centro.
I familiari non hanno avuto possibilità economiche per l’intervento in altri ospedali e sono aprodati a Chaaria.
Siccome nessun altro aveva fatto niente per l’anziana signora, abbiamo deciso di operarla, scegliendo un approccio chirurgico laterale per l’apertura del braccio e l’esposizione dell’omero.
Trattandosi di una frattura del terzo medio dell’omero destro, abbiamo dovuto rinunciare al tourniquet che non avrebbe trovato posto (il tourniquet pediatrico infatti non funziona). Ci siamo quindi semplicemente affidati ad un guanto sterile, stretto attorno alla radice del braccio vicinissimo all’ascella: questo ha causato un sanguinamento leggermente più copioso del solito e ci ha dato qualche problema tecnico nella esecuzione dell’intervento, senza però inficiarne l’esito.
Abbiamo esposto l’omero cercando di spostare i muscoli con tecnica smussa, ed abbiamo individuato la rima di frattura: era lunga e obliqua. 
C’era anche un frammento posteriore che ci ha dato molti problemi nella riduzione. Si siamo comunque riusciti e lo abbiamo messo in posizione fissandolo poi con una vite obliqua. Abbiamo isolato i monconi, li abbiamo ripuliti con curette ed abbiamo cercato la riduzione migliore possibile. 
Abbiamo quindi scelto di usare la fissazione interna con placca.


La lastra di oggi ha dimostrato un buon allineamento della rima di frattura, e la paziente sta bene anche se lamenta un po’ di dolore nella zona operata. Ha una doccia gessata, e contiamo di tenerla in ospedale sotto antibiotici fino alla rimozione dei punti di sutura tra otto giorni. Faremo quindi un gesso completo per quattro settimane.
Alla rimozione del gesso provvederemo alla fisoterapia per il recupero della motilità del gomito.
Oggi, guardando la lastra di controllo mi sono commosso e rallegrato.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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