giovedì 4 agosto 2016

Fare il medico

Fare il medico in Africa, significa essere sempre disponibili, ma accettare con umiltà i propri limiti, sapendo che non possiamo sempre farcela dinanzi alla sterminata folla di persone che si rivolgono a noi, anche se siamo lì per loro, dal mattino alla sera. 
Mi consola quanto disse un giorno Madre Teresa di Calcutta a un
giornalista che le chiedeva come si sentisse di fronte alla massa di poveri che non riusciva comunque a raggiungere sulle strade della città: “Dio non mi chiede di risolvere tutti i problemi, né di sradicare la povertà dalla faccia della terra. Lui mi chiede la fedeltà”.
A mia volta penso che Dio non mi chiede di guarire tutti gli ammalati di Chaaria. A lui basta la nostra dedizione fedele a chi soffre.
Sono a pezzi; sono le 23; ieri notte mi hanno chiamato alle 3 in pediatria. 
Non ci vedo quasi più dalla stanchezza, ma anche stasera dico il mio sì costoso: vorrei andare a letto ed invece c'è un cesareo urgente ed entro di nuovo in sala.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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