martedì 12 settembre 2017

Che tristezza!

E' arrivata da noi ormai in fin di vita.
Aveva deciso di andare a partorire in un dispensario governativo non lontanissimo da qui.
Aveva atteso per ore nella vana speranza che qualcuno prima o poi aprisse.
"Ma come si fa a vivere cosi' isolati dal mondo da non sapere che la sanita' pubblica e' paralizzata da mesi a causa degli scioperi?" mi chiedo io con una punta di sdegno.
Ma ovviamente nei villaggi piu' remoti puo' capitare anche questo, soprattutto se non sei stato malato per mesi, se non hai fatto visite antenatali e se non hai la radio in casa.
Fatto sta che dopo ore di inutile attesa la poveretta ha partorito fuori.
La bambina e' nata bene, con l'aiuto dei vicini e dei familiari, ma la donna ha avuto una placenta ritenuta ed ha cominciato a sanguinare tremendamente.
Prima che i parenti avessero trovato un matatu la donna era anemizzata e collassata.
Da noi e' giunta davvero alla fine: non aveva pressione, era fredda, pallidissima ed in coma profondo.
Abbiamo rimosso la placenta ritenuta, fermato l'emorragia uterina con ossitocina, infuso liquidi ed efedrina per tentare di riprendere la pressione, ma e' stato invano.
Avremmo avuto bisogno di sangue, ma non ne avevamo. 


Lo abbiamo cercato in tutti gli ospedali del Meru, ma non ne abbiamo reperito neppure una sacca: dopo l'ebola, non possiamo piu' testare il sangue prelevato dai donatori...lo dobbiamo mandare per gli esami necessari a delle strutture governative preposte...che sono paralizzate per il motivo detto sopra.
Fatto sta che nessuno puo' trasfondere anche se ci sono donatori disponibili, in quanto non siamo autorizzati a fare i test, e le strutture competenti sono disfunzionali.
Morale della favola: questa donna che e' approdata a Chaaria troppo tardi perche' non sapeva che c'era l'interminabile sciopero della sanita', e' morta dopo appena tre ore, ed ora siamo rimasti con la sua bambina nel nostro piccolo orfanotrofio.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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