domenica 2 settembre 2018

37 anni fa

Era il 1 settembre 1981 quando, subito dopo la maturita', ho lasciato mia mamma e mia sorella a casa, cinque mesi appena dopo la morte di mio papa'.
Le ho lasciate sentendo una forte chiamata a servire il Signore presente nei poveri e nei sofferenti.
Ho attraversato la porta della Piccola Casa alle 15 del pomeriggio per entrare nella famiglia di Fratelli Cottolenghini come religioso.
Ci sono stati alti e bassi in questi anni.
Ci sono state tantissime gioie e soddisfazioni.
C'e' stata anche la croce.
Ci sono stati momenti esaltanti ed altri in cui la tentazione di mollare tutto e di andarmene e' stata forte.
Ma sono ancora qui.
E dopo 37 anni ancora credo che sia una cosa stupenda servire il Signore, riconoscendolo presente nei piccolo e nei poveri.
L'entusiasmo non e' calato ed ancora oggi desidero dedicare tutta la mia vita al servizio di chi soffre, senza risparmiarmi.
Ringrazio il Signore per questi anni di grazia. So che la perseveranza vocazionale e' un dono suo, perche' le esigenze della vocazione sono molto piu' grandi di quello che la natura umana puo' da sola reggere.
Gli chiedo di continuare a tenermi una mano sulla testa, a dirigere il mio cammino, ad aiutarmi nella mia scelta vocazionale fino al mio ultimo respiro.
Mio sento fragile e peccatore, ecco perche' a lui chiedo ogni giorno solo la capacita' di essere fedele per quella giornata, lasciando al domani il suo affanno.



Grazie a coloro che mi sono stati vicini in questi lunghi anni.
Pregate per me, perche' possa perseverare fino alla fine, nonostante le crisi che sovente si affacciano e turbano il mio cuore.
E' Dio che e' fedele...a me tocca solo di non chiudergli la porta.

Fr. Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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