domenica 9 settembre 2018

Amos

Amos ha 7 anni ed e’ cosi’ piccolo da dimostrarne 5.
E’ impolverato e sporco, cosi’ come la mamma che non ha un solo dente sano.
Sono arrivati alle 8 di sera e mi han trovato ancora alle prese con l’ambulatorio.
Vengono dal Tharaka, e sono poveri... ragione fondamentale per una immediata intesa psicologica non verbale tra di noi.
Chiedo alla madre di dove sono, e mi dicono che provengono da Kathangacine. Gia’ la parola suscita in me un rispetto incommensurabile: 80 chilometri di sterrato che la donna si e’ fatta spendendo un sacco di soldi per essere trasportata fin qui a cavallo di una motocicletta cinese.
Ha viaggiato con Amos legato alla schiena in un pareo.
“Ad ogni asperita’ del terreno si metteva a strillare di dolore!”, mi ha confidato con le lacrime agli occhi.
Visito rapidamente il piccolo, e non mi ci vuole molta scienza per comprendere che il femore sinistro e’ spezzato in due. La madre insiste che si tratta invece del ginocchio, e non della coscia.



Continuiamo a dissentire per un po’, ed alla fine devo ricorrere ad un metodo un po’ rude per convincerla: le metto una mano su quello che io penso sia il focolaio di frattura; poi premo la sua mano con la destra, mentre la mia sinistra solleva lentamente il piedino di Amos, che strilla in un attimo di dolore intensissimo. La donna ritrae l’arto con una smorfia di orrore; ha avvertito lo scroscio dei monconi ossei che andavano in collisione.
A questo punto si convince sul tipo di frattura, ma ancora dissente sull'approccio terapeutico.
Vuole un gesso e basta.
Insisto sul fatto che questa non sarebbe la scelta giusta e che il bambino soffrirebbe per mesi e non guarirebbe, rimanendo magari zoppo per la vita.
E' una lotta estenuante, ma poi accetta il ricovero e l'intervento.
Ha paura che costi troppo, ma poi si rilassa quando le dico che con "Sign" il chiodo endomidollare non si paga e che le spese ospedaliere a Chaaria sono bassissime.
Operiamo Amos l'indomani mattina e l'intervento va liscio come l'olio.
Il giorno seguente il bimbo e' gia' in piedi con delle piccole stampelle, ed in quinta giornata post'operatoria lo dimettiamo sorridente, mentre ci saluta e cammina da solo verso il matatu.
Questa e' la rivoluzione che "Sign" ha portato a Chaaria anche in campo ortopedico.
Alcuni anni fa per Amos avremmo optato per la trazione. Lo avremmo tenuto in ospedale per almeno un mese e mezzo, non sarebbe andato a scuola e forse non sarebbe guarito bene.
Ora con i chiodi endomidollari di "Sign", i bambini camminano prestissimo dopo l'operazione, guariscono benissimo e tornano rapidamente alle loro attivita' ludiche e di studio.
Siamo felici ed orgogliosi di questo.

Fr. Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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