mercoledì 19 settembre 2018

Storia vera

Era l'inizio di settembre.
E' arrivata in ospedale in un bagno di sangue.
Giaceva su una barella con un mucchio di stracci intrisi di sangue sulla pancia. Una donna glieli comprimeva con forza per fermare l'emorragia.
Stava malissimo.
La pressione era imprendibile ed era molto anemica.
Un gruppo di parenti urlava attorno a lei.
Siamo intervenuti immediatamente cercando di capire cosa fosse successo.
La storia e' stupefacente.
Si tratta di una donna all'ottavo mese di gravidanza, accoltellata nella pancia dal marito ubriaco.
Storia triste di violenza domestica! Purtroppo non un caso isolato!
Dopo aver stabilizzato le condizioni generali con liquidi, antibiotici e trasfusioni, siamo entrati in sala.
Fortunatamente non abbiamo trovato anse intestinali perforate.
Il coltello era entrato direttamente dalla cute all'utero, perforandolo.
C'era molto sangue in addome ma noi eravamo abbastanza sollevati dalla situazione che si presentava non cosi' disastrosa come ci saremmo aspettati. 
Potevamo salvare anche l'utero!


Abbiamo quindi continuato come per un cesareo.
Il nostro cuore pero' ha avuto un tonfo quando abbiamo raggiunto il bimbo. Il liquido amniotico era insanguinato. Il feto era morto, con tutto l'intestino fuori: l'arma usata da suo padre aveva attraversato la parete uterina e lo aveva ucciso sventrandolo.
L'operazione e' terminata senza particolari problemi, ma tutti in sala erano tristissimi.
La donna non ha avuto complicazioni nel post-operatorio, anche se e' entrata in un grave stato depressivo.
So che e' stata dimessa oggi e che non vuole denunciare il marito.

PS. A San Francisco giornata intensa su fissatori esterni e Ilizarov.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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