lunedì 8 ottobre 2018

Normale routine

Sto finendo la cena con i Fratelli, e mi sto godendo un’ottima macedonia, ma ecco che l’ospedale chiama nuovamente: si tratta di una mamma con un aborto a cui bisogna fare immediatamente un raschiamento.
Ci attiviamo e risolviamo il problema della paziente in pochi minuti… vado quindi in cappella per l’ultima preghiera della giornata, non senza preoccupazione per il generatore che ancora continua a bruciare diesel.
Spero tanto di poter andare a letto presto, ma subito dopo l’ultima antifona di compieta mi rendo conto che anche stasera sara’ improbabile. Vengo chiamato da Madidia che mi dice: “ vieni! Ci sono nuovi casi di violenza!”.
Giunto in ospedale vedo il corridoio dell’ambulatorio pieno di gente.
Due uomini sono completamente coperti di sangue.



Sulla barella invece vedo un cadavere: e’ un uomo sulla sessantina.
Gli agenti mi dicono di porlo in cella frigorifera fino a quando si decidera’ sull’autopsia. E’ stato ucciso da suo figlio durante un litigio riguardante un pezzo di terra...
Gli uomini insanguinati invece si sono presi a “machetate” in un incidente simile anche se non correlato al precedente.
Anche loro si sono assaliti vicendevolmente durante il pagamento di un’altra “shamba” (campo in kiswahili). Succede spessissimo a causa della terra, che e’ per gli Africani allo stesso tempo una benedizione ed una maledizione.
Tra tutto questo disastro vediamo entrare un’altra carrozzina… questa sera e’ peggio che al Pronto Soccorso delle Molinette!
Questa volta pero’ si tratta di un incidente: una vecchietta che si e’ ustionata una larga superficie corporea versandosi addosso l’olio incandescente della lampada. Beatrice vede i miei occhi disperati, e mi dice: “alla bruciatura ci penso io”.
Ora inizio a suturare… Speriamo che Dio ci conceda una notte un po’ piu’ tranquilla di questa tarda serata.

Fr. Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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