giovedì 15 novembre 2018

Addome acuto

Antony si presenta in condizioni pessime. Ha gli occhi infossati e suda freddo.
La palpazione addominale e’ chiaramente suggestiva di peritonite. La diagnosi viene ulteriormente supportata dalla leucocitosi neutrofila all’emocromo. L’ecografia poi conferma l’ipotesi, indicando anse intestinali paralitiche e dilatate, ed una notevole quantita’ di fluido libero in peritoneo.
Abbiamo quindi optato per aprire quella pancia: dapprima ci siamo trovati di fronte solo ad un quadro estremo di peritonite, con abbondante materiale biliare e alimentare in cavita’ addominale. 
Dopo aver aspirato generosamente, ci siamo resi conto che tutta la matassa intestinale era estremamente eritematosa e dilatata; inoltre era avvolta da aderenze e fibrina che contribuivano al quadro occlusivo.
Il problema era che non riuscivamo a trovare il buco da cui tutta quella porcheria usciva… pensavamo ad una perforazione ileale da tifo (da noi relativamente frequente), ma le anse erano integre, seppur molto sofferenti.
Pero’, staccando le aderenze con calma, siamo lentamente arrivati alla zona sotto-epatica, ed abbiamo visto la causa della peritonite: si trattava di un’ulcera duodenale perforata.


La sutura del duodeno e’ stata piuttosto complicata in quanto Antony aveva anche una epatomegalia che copriva in parte la zona, riducendo quindi la visibilita’ e lo spazio di manovra del porta-aghi. Con calma ci siamo comunque riusciti.
Abbiamo quindi proceduto alla lisi di tutte le adesioni, ed allo svuotamento delle anse dilatate con sondino nasogastrico. Dopo abbondante lavaggio della cavita’ peritoneale con fisiologica sterile, abbiamo richiuso: sono state circa due ore e mezza di operazione.
Il risveglio dall’anestesia non ha dato problemi.
Il malato e’ ora in quarta giornata post-operatoria, e sta recuperando normalmente, anche se le sue condizioni rimangono gravi.

Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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