giovedì 13 dicembre 2018

Diagnosi corretta

Victor ha una anamnesi abbastanza peculiare: ha sviluppato da un paio di giorni una distensione addominale notevole; inoltre la mamma dice che da più di una settimana non ha una defecazione normale, ma va di corpo con muco bianco. 
Le mozioni di muco sono molte durante la giornata odierna. Il bambino ha febbricola e qualche volta vomita.
Come al solito, nei vari dispensari a cui la madre si è rivolta lo hanno trattato per una fantomatica malaria. La mamma è però approdata a Chaaria oggi perchè è assolutamente preoccupata dalla distensione addominale di suo figlio.
Palpo la pancia che è parecchio dura, anche se non ci sono segni clinici di peritonte. Metto il fonendoscopio sull’addome e mi rendo conto che i movimenti intestinali sono praticamente assenti. La percussione rivela invece dei suoni timpanici che mi indicano un grande meteorismo.
Metto il sondino nasogastrico (manovra che non piace per niente a Victor, che piange disperatamente) e ne ottengo un po’ di liquido biliare.
Aiutato dalle mie inferiere faccio un clisteri ed ottengo solo del muco, bianco come il “moccio” che esce dal naso quando sei raffreddato.


Nonostante la distensione gassosa faccio comunque un’ecografia addominale; il test non mi fa vedere molto: tanto gas ed un’area con anse distese, ispessite e ripiene di materiale ecoriflettente nei quadranti di sinistra.
Siamo molto indecisi.
Operiamo o non operiamo?
Da una parte lo vorremmo evitare per paura che sia una condizione medica e che quindi facciamo un intervento inutile; dall’altra abbiamo però la certezza che non operare subito potrebbe essere una condanna a morte per Victor.
All’operazione, che abbiamo fatto subito dopo aver convinto la mamma a firmare il consenso, troviamo che si tratta in effetti di una patologia chirurgica per la quale siamo arrivati appena in tempo, prima che si instaurassero complicazioni ben più gravi.
Appuriamo infatti che si tratta di un’occlusione intestinale da invaginazione del colon a livello della flessura splenica (proprio là dove l’ecografia mi indicava la presenza di anse distese e contenenti materiale bianco).
Ridurre l’invaginazione non è però facile, ma fortunatamente ci riusciamo senza lacerare l’intestino, che appare sì sofferente, ma ancora vitale.
Victor quindi non subisce alcuna resezione intestinale, ma soltanto suture sulla sierosa che presenta piccole soluzioni di continuo.
L’operazione diventa comunque lunga, soprattutto in fase di chiusura, quando ci è toccato svuotare le anse ileali dilatate per poter suturare la pancia... ma il nostro umore è alle stelle dopo aver appurato che la diagnosi era giusta e che abbiamo fatto l’operazione appena in tempo per salvare le anse intestinali dalla necrosi.
“Se avessimo deciso di osservarlo fino a domani, questo bimbo sarebbe morto”, dico a Makena.
Non mi fermo in sala per la sutura della cute che lascio a lei ed alle altre infermiere: voglio andare subito da quella mamma che avevamo lasciato in lacrime fuori della sala: “Victor sta bene. Abbiamo trovato il suo problema e lo abbiamo risolto senza neppure tagliare l’intestino”.
“Quindi l’operazione è stata la scelta giusta! Io mi opponevo solo per paura di perderlo”.
“Lo avresti perso certamente se avessi rifiutato il consenso all’intervento”
“Ma che cosa avete trovato? Qual’è stato il problema che mi ha quasi portato via Victor?”
Mi rendo conto di quanto sia difficile spiegarle in termini semplici che cosa sia un’intussuscezione intestinale. Mi limito a dirle che si era creato un groviglio di anse intestinali come a volte capita con le prolunghe elettriche, e che tale groviglio aveva causato sia una mancanza di irrorazione sanguigna che una occlusione al passaggio fecale: “il muco che vedevi non erano feci. 
Victor non andava di corpo da una settimana. Quel muco era solo il segno di quanto il suo intestino fosse sofferente; è la stessa cosa che capita quando la mucosa del naso è irritata dal raffreddore: si gonfia e non respiri più; e poi il naso comincia a colare”.
“Quando posso vederlo?”
“Ci metterà almeno venti minuti ad essere completamente sveglio, ma tra poco lo riavrai”.
Siamo tutti stanchi. Di nuovo usciamo dalla sala alle ore 19... ma che botta adrenalica e che pace interiore ti dà la consapevolezza di aver salvato la vita di quel bambino!

Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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