venerdì 18 gennaio 2019

Meditazioni a Chaaria

A noi che lavoriamo nei Paesi in via di sviluppo, spesso viene detto che dobbiamo assolutamente puntare sulla SELF RELIANCE, e cioe’ su una gestione sostenibile, su una graduale autosufficienza dai donatori internazionali.
In molti seminari ci viene ricordato che senza questo occhio teso allo “svezzamento” delle nostre strutture dal flusso di denaro che proviene dall’Europa, gradualmente le condanniamo all’ autodistruzione: a tutti e’ chiaro infatti che gli aiuti internazionali non possono durare per sempre, e verra’ di conseguenza il momento in cui bisognera’ farne a
meno.
Noi comprendiamo certamente questo discorso, ma non e’ cosi’ facile metterlo in pratica. Ero recentemente con un amico del Sud Sudan, il quale mi ha parlato della sua situazione, certamente molto diversa dalla nostra.
Laggiu’ la gente non ha proprio nulla e ancora vive completamente sotto l’egida degli aiuti internazionali: ci sono elargizioni di cibo, in quanto i campi sono spesso ancora minati, e nessuno ha soldi liquidi per comprare le medicine o pagare un ricovero.
Il Sudan e’ pero’ al momento al centro della attenzione internazionale ed e’molto sponsorizzato, per cui questo amico mi diceva che l’importante e’ fare dei buoni progetti e spendere bene i soldi che comunque arrivano. 
La cosa essenziale e’ la trasparenza, ma normalmente non ti trovi nella situazione di non avere denaro in cassa. 


Quella e’ comunque una situazione particolare, giustificata dal fatto che solo ora il Sud Sudan sta uscendo da una ventennale guerra civile.
Qui da noi gli aiuti ci sono si’, ma su scala molto diversa; si tratta di amici, volontari, parrocchie, e naturalmente la Piccola Casa di Torino.
Noi dobbiamo far pagare qualcosa ai nostri pazienti perche’ altrimenti non ce la faremmo davvero a tirare avanti. E’ vero che le offerte ci aiutano molto, ma e’ anche vero che esse non posso coprire tutti i nostri fabbisogni.
Senza volerlo, siamo spesso sull’orlo della bancarotta, e dobbiamo essere molto oculati nel gestire le enormi spese che l’ospedale comporta.
Spesso siamo in “profondo rosso”, ed anche se sappiamo che i nostri amici dall’Italia continueranno a sostenerci, questo dato non puo’ lasciarci tranquilli. 
Si lavora dal mattino alla sera, si e’ di guardia tutte le notti, ed alla fine della settimana si guarda il portafoglio e lo si trova estremamente vuoto: i soldi vanno a velocita’ supersonica. 
I prezzi sono aumentati molto, e questo fa si’ che dopo una settimana traboccante di pazienti e di interventi chirurgici, io guardi la cassa e mi trovi nella situazione critica di decidere: “pago prima la luce o prima le medicine, perche’ non ho denaro per pagare entrambe?... 
Sono venuti degli esperti che hanno cominciato a darmi dei consigli su come migliorare la situazione economica: molti dicono che devo aumentare i prezzi. 
Questa soluzione mi contorce le budella e mi manda in crisi esistenziale. Infatti, da una parte io credo nell’importanza del “cost sharing”(condivisione dei costi) con i pazienti, perche’ in tanti anni ho ormai maturato che il dare gratuitamente non aiuta: i pazienti che non si sono sacrificati neppure un po’ per comprarsi della tachipirina, la butteranno via senza problemi, oppure penseranno che, siccome e’ gratis, non vale niente (anche qui la gente ritiene che quella particolare medicina deve essere molto potente perche’ costa veramente tanto)... inoltre il distribuire gratuitamente le medicine favorisce il nascere di un
mercato nero, in cui i farmaci ricevuti vengono poi rivenduti a gente che abita lontano e non ha avuto la possibilita’ di viaggiare fino all’ospedale (anche i matatu costano parecchio, tra l’altro).
Pero’ ho sempre voluto che i prezzi di Chaaria fossero i piu’ bassi possibile; questo per due ragioni:
1) la prima e’ che, tenendo i prezzi bassi ed eliminando totalmente le parcelle, speriamo di non tagliare fuori i piu’ poveri, quelli che non avrebbero i soldi per pagare il dottore o non ce la farebbero a comprarsi le medicine.
2) La seconda e’ di ordine puramente economico: io ho sempre creduto che noi siamo venuti in Africa per lavorare, e non per grattarci le ginocchia... ora e’ chiaro che se terremo i prezzi alti, vedremo la gente che affluisce a Chaaria ridursi molto velocemente, ed i pochi che continueranno a venire non saranno certamente i piu’ poveri: non avremo quindi ottenuto un risanamento del budget, e non riusciremo piu’ a trovare un senso al nostro stare qui. Se invece i prezzi sono minimi, allora vedremo centinaia di malati, e alla fine della giornata, l’ “income” sara’ ancora maggiore. 
In termini matematici io ragiono cosi’: se il prezzo medio e’ 1000, e’ chiaro che io non mi potro’ aspettare piu’ di 20 pazienti al giorno, e quindi alla sera avro’ raccolto solo 20000. Se invece il mio prezzo medio e’ 100, avro’ almeno 400 pazienti al giorno e quindi alla sera mi aspettero’ 40000.
Cio’ mi sembra anche in linea con lo Spirito del Cottolengo che diceva che, per sanare una situazione di ammanco economico, bisognava aumentare il numero dei letti. 
Lui ragionava certo da uomo di fede che crede fortemente nella Provvidenza, e che quindi non puo’ dubitare sull’aiuto del Padre Celeste, se ci vede impegnati nel servizio degli altri fino allo stremo delle nostre forze. 
A volte pero’ fede ed economia parlano lingue leggermente diverse...
Infatti spesso mi trovo ad un crocevia, senza riuscire a trovare il bandolo della matassa: uno nodo irrisolto e’ certamente quello dei paralizzati per varie ragioni (lesioni della colonna, malattie neurologiche, tubercolosi, traumi, violenze). 
Sono senza dubbio dei poveri, perche’ sono abbandonati da tutti, spesso anche dalle loro famiglie, che li considerano ormai dei pesi morti e delle zavorre economiche.
E’ pero’ sempre piu’ chiaro, in vari anni di esperienza, che, una volta ricoverati, sara’ quasi impossibile dimetterli: avranno piaghe da decubito, saranno incontinenti, avranno bisogno di continua fisioterapia... mandarli a casa sara’ quasi impossibile, a meno di portarli noi con l’ ambulanza... ma poi, mandarli a casa a fare cosa?
Ad essere mangiati dalle pulci penetranti? Allora li si tiene in ospedale. Dei parenti neppure l’ombra. Anche quando riusciamo a trovarli, non avranno quasi mai la possibilita’ di pagare il “cost sharing” per un ricovero durato circa un anno. 
Ogni paziente paralizzato e’ un “buco nero” per i nostri bilanci, ma il Cottolengo ci direbbe che proprio lui deve essere la nostra perla preziosa, perche’ e’ il piu’ abbandonato.
Un ragionamento puramente economico mi dovrebbe convincere che e’ meglio stabilire che a Chaaria non si ricoverano casi di paralisi... ma sono sicuro che in questo caso io sarei ancora fedele all’intuizione del Cottolengo? 
Lui mi ripeterebbe che sono proprio loro le cambiali che dobbiamo presentare a Dio, perche’ ci mandi piu’ aiuti.
Inoltre, lo stesso discorso dovremmo applicarlo per i tumori in stadio terminale, per gli AIDS conclamati: anch’ essi sono spesso abbandonati, e nessuno paghera’ per loro se magari muoiono in ospedale dopo sei mesi di degenza... ma anche in tal caso, io credo che il Cottolengo mi dica che sono proprio i terminali ad avere la precedenza, se quello di Chaaria deve essere un ospedale fedele allo spirito del Fondatore. 
Come si fa a non ricoverare un gravissimo solo perche’ saprai che ti costera’ una fortuna e nessuno ti verra’ incontro? E’ proprio accettandoli che possiamo esercitare un po’ di abbandono alla Divina Provvidenza e vivere la sfida della nostra fede che deve portarci ad una speranza anche contro l’evidenza.
Molte delle vostre offerte vanno proprio a finire in questo calderone. Le uso per pagare il ricovero di una poveretta che e’ in coma diabetico e non ha nessuno; o per comprare l’insulina ad un altro paziente che non se la puo’ permettere; o per permettere il ricovero a lungo termine di un AIDS terminale. 
Non so se sono riuscito a comunicarvi quello che sento: la conclusione e’ comunque che, pur comprendendo che ci voglia una amministrazione oculata, e pur riconoscendo che ci sara’ sicuramente un futuro in cui questo ospedale dovrebbe essere in grado di funzionare senza le offerte e gli aiuti internazionali, voglio comunque lasciarmi sempre guidare dallo spirito del Cottolengo, che non chiude la porta a nessuno, soprattutto se povero e abbandonato. 
Con lui voglio credere che sono proprio i poveri che non pagano a far commuovere la Provvidenza, la quale poi si servira’ di tanti cuori buoni per venire in nostro soccorso.
Attualizzando l’episodio della vita del nostro Fondatore in cui egli tranquillamente risponde agli inquisitori governativi che la ragione della imminente bancarotta della Piccola Casa era la sua mancanza di generosita’, in quanto alcuni letti erano ancora liberi e lui non si era dato abbastanza da fare per riempirli di poveracci, io credo che sia opportuno per noi a Chaaria non aumentare i prezzi e non dire di no a nessun tipo di patologia, soprattutto se grave e accompagnata da un alto livello di abbandono sociale e stigmatizzazione... anche se cio’ portera’ ad una perdita economica certa.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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