lunedì 18 febbraio 2019

Questa volta viene dalla nostra maternità

Il piccolo orfano nella foto ha circa una settimana di vita.
Sta bene, mangia e non ha problemi, a parte il fatto di essere qui con noi in orfanotrofio, ed a parte il fatto che la sua mamma e' morta di parto proprio qui da noi nella nostra maternita'.
Non ha ancora un nome.
Aspettiamo che la sua famiglia ci dica un giorno come chiamarlo, appena superato lo shock della morte della sua mamma.
Chi mi legge con costanza, sa che il fattaccio e' successo qui nel nostro ospedale, nel cuore della notte..esattamente alle 4.20 di mattina.
Parto apparentemente tranquillo e poi rapida perdita di coscienza della donna che non sono riuscito a salvare perche' e' morta quando ancora facevo le prove crociate per la trasfusione. L'abbiamo rianimata, ma tutto e' risultato invano.
Ora la mamma e' sepolta ed il piccolino e' con noi nel piccolo reparto orfanelli, per volere della famiglia, fino a quando riusciranno a riorganizzarsi ed a riprenderselo a casa.
Sono molto abituato a ricevere orfani da altre strutture.
Lo sono un po' meno, quando gli orfani arrivano dalla nostra maternita'...provo un grandissimo senso di colpa.
Mi spiace per quella giovane donna, e cerco di raddoppiare il mio amore a questo bambino, a cui mi sento ancor piu' legato, perche' ero la' quando e' nato ed ero ancora la' quando la sua mamma ha dato l'ultimo respiro. 


Le mie mani sono state capaci di tirarlo fuori dal ventre materno, ma sono state inutili nel tentativo di non far morire sua madre.
Anche se non ho coscienza di aver fatto alcuno sbaglio, anche se ero presente nel cuore della notte, mi sento di dire a questo piccolino che ora tengo in braccio: "perdonami per non essere stato capace di salvare la tua mamma!"

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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