venerdì 29 marzo 2019

Erano le 23...

...ed ero appena salito in camera dopo l'ultimo cesareo della giornata. Avevo ancora addosso la divisa della sala.
Suona il telefono e spero che non sia nuovamente la maternita'.
Sono invece i guardiani al cancello che in modo concitato mi dicono che c'e' una persona che crea problemi.
A malavoglia scendo nuovamente in ospedale, pensando che questa non sia una mansione propriamente medica o chirurgica.
Si tratta di un giovane evidentemente ubriaco. Mi dicono che ha accompagnato un paziente con frattura, ormai ricoverato ed in attesa di intervento.
Non se ne vuole andare. Insulta i guardiani che cercano di accompagnarlo gentilmente al cancello. Quando riescono a portarlo fuori a forza, lui salta la recinzione e torna dentro insultando tutti nuovamente.
E' a questo punto che mi chiamano.
Io ci provo con le buone e tento di convincerle quella persona ad uscire, dicendogli che del paziente ci prendiamo cura noi.
All'improvviso pero' lui mi sferra un pugno nel fianco che mi fa accasciare a terra, mi strappa la casacca che indosso e poi scappa fuori.


I guardiani lo vogliono rincorrere e picchiare, ma io li scoraggio.
In realta' abbiamo ottenuto quello che volevamo: l'ubriaco sta correndo per strada e si allontana dall'ospedale.
Ovviamente il paziente (suo padre!) non ne puo' nulla e non gli abbiamo neppure riferito dell'accaduto. Oggi lo abbiamo operato ed e' andato tutto bene.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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