mercoledì 1 maggio 2019

International labour day

Quando e’ festa, per noi e’ sempre peggio degli altri giorni. Bisogna dare i dovuti riposi ai nostri collaboratori, e alla fin fine il lavoro e’ molto piu’ pesante che in un giorno feriale qualsiasi.
E’ successo anche oggi: alle 6 di mattina gia’ il sole faceva capolino. La sala d’attesa era piena dalle ore 9.
Mi occupo della coda che oggi prevedo quasi infinita.
Pazienza: ci vuole solo calma e sangue freddo. Uno dopo l’altro finiremo anche tutti questi malati che hanno deciso di venire in giorno festivo, con la “chimera” che durante le “public holidays” ci sia meno gente.
Mentre faccio del mio meglio per assistere per primi i pazienti provenienti dal Nord, a motivo del fatto che vengono da molto lontano, il ritmo delle visite viene interrotto da quattro tagli cesarei d’emergenza. 
Oggi abbiamo anche il Dr Nyaga che approfitta del giorno festivo per venire ad aiutarmi con i casi piu’ difficili. Lo staff della sala e’ ridotto. Ho solo Mbabu come anestesista perche’ Jesse è a riposo.Per cui mi tocca fare anche l’anestesia per i cesarei.
Abbiamo qualche problema perché una delle due mamme ha un arresto respiratorio transitorio, che fortunatamente si risolve per il meglio.
Anche oggi non è mancato lo psichiatrico che mi ha preso per un braccio ed è riuscito a lasciarmi i segni delle unghie prima che il watchman entrasse di corsa a darmi una mano.
Tra le altre cose oggi abbiamo operato molte fratture perche’ il numero dei casi ortopedici e’ sempre altissimo e l’attesa per l’intervento in reparto e’ ancora di almeno tre giorni.


Adesso comunque ho finito l’ultimo paziente. Osservo l’ambulatorio, ora così silenzioso e vuoto. Trascino i piedi ed ho la lingua impastata a motivo dello sforzo continuo di parlare in Kimeru o Kiswahili durante l’ambulatorio, ma offro tutto al Signore.
Oggi poi è San Giuseppe, ed è la festa dei lavoratori. Penso quindi che io abbia vissuto la giornata odierna nel modo migliore, in unità con tanta gente sfruttata e stremata da condizioni di lavoro che in molte parti del mondo non sono certo così rosee come in Europa.
Pregherò per tutti coloro che hanno la schiena spezzata e che per tanti sforzi magari ricevono uno stipendio da fame. Sono felice davanti a Dio di essere uno di loro.

Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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